Il cristiano che per la prima volta affronta la letteratura islamica si meraviglia nel costatare e leggere le pagine che il Corano stesso dedica alla Beata Vergine Maria. L’intera Sura 19 di quel libro è addirittura dedicato a lei, alla madre di Gesù.
Contro gli ebrei e i razionalisti, Maometto difende persino il dogma della sua perpetua verginità. Pur fidandosi ingenuamente dei Vangeli apocrifi, in molti capitoli si insiste nel medesimo tono. Eppure, nonostante la venerazione che essa riscuote da parte di Maometto e dei suoi seguaci, noi cristiani – Cattolici e Ortodossi – non possiamo condividere quel tipo di venerazione; poiché il Corano fa di Maria la madre di un profeta, mentre per il Vangelo e per i cristiani essa è “la madre di Dio”; non nel senso assurdo che l’eterna persona del Verbo Eterno derivi da quella prediletta creatura, ma perché madre della santa umanità da Lui assunta, come narra il Vangelo (Lc 1,28ss). L’Angelo Gabriele nell’annunziare a Nazareth tale evento le rivolge queste parole: «… ecco concepirai e partorirai un figlio che chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo… Lo Spirito Santo verrà su di te perciò colui che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio». – L’Arcangelo naturalmente non è d’accordo con il Corano.
Maometto invece, o chi per lui, fa nascere il Verbo come tale dalla Vergine Maria, senza distinguere la nascita di Gesù quale “Figlio dell’uomo” dalla sua eterna figliolanza divina.
L’Islam ha l’attenuante di aver accolto le critiche anticristiane della numerosa diaspora ebraica, che in Arabia aveva trovato rifugio dopo la distruzione di Gerusalemme e la violenta espulsione dalla Palestina nei secoli precedenti. D’altra parte gli arabi furono messi fuori strada anche dalle eresie di non pochi cristiani che si erano fidati di falsi maestri. Perciò nessuno oggi è in grado di lanciare accuse di volontaria manipolazione verso coloro che nel secolo VII pensarono di condividere con il profeta arabo il tentativo di una terza maniera di praticare la religione verso l’unico Dio creatore. Tuttavia, niente impedisce di ricercarne le origini mediante lo studio delle fonti di cui disponiamo.
Meno scusabili però sono i musulmani istruiti e nostri contemporanei, quando insistono a rilanciare contro i cristiani l’accusa di aver manipolato e falsato il testo evangelico.
Poiché lo studio dei manoscritti più antichi che possediamo ancora in carte di papiro o in pergamene (i quali hanno un’origine ben più antica dell’Egira) mostrano la perfetta consonanza con il Vangelo stampato e ristampato ai nostri giorni. Stando a queste verifiche inoppugnabili, la presunta manipolazione cristiana denunziata dall’Islam ha il valore della denuncia assurda di un maniaco, il quale affermasse che la Divina Commedia è stata manipolata da Giacomo Leopardi.
Orbene, basta aprire il vangelo di Marco per leggervi questa prima frase: «Inizio del vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio».
La fede che Gesù esige dai suoi discepoli è ben diversa: anche per la mariologia, essa va desunta dall’insegnamento di Cristo, quindi degli apostoli che l’appresero dalla sua bocca.
Come testimone diretto l’evangelista Giovanni ricorda tra l’altro il seguente particolare dell’ultima cena di Cristo con i suoi discepoli: «Filippo allora gli chiese: Signore, mostraci il Padre e ci basta. Gesù rispose: “Sono con voi da tanto tempo e tu non mi hai ancora conosciuto Filippo? Chi vede me vede anche il Padre… Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me?”» (Gv 14,8-11): E prima di salire al cielo ordina al piccolo gregge: «Andate per tutto il mondo… insegnate a tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (cfr Mt 28; Mc 16).
Dai suoi discepoli Gesù ha dunque preteso la fede in questo ineffabile mistero: nell’unico vero Dio creatore del mondo esistono tre Persone divine. Ma non si tratta di tre individui e meno che mai possiamo ammettere nella triade divina differenza alcuna di dignità, di età o di potenza. Affermare che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono individui distinti è considerato una vera bestemmia anche da noi cristiani.
Nessun vero credente presume di comprendere come sia la persona in Dio, distinta dalla sua sostanza. Al cristiano basta l’affermazione di Gesù: «Io e il Padre siamo una cosa sola». E questo ineffabile mistero è la riprova dell’autenticità della sua religione; poiché essa è l’unica religione in cui Dio si rivela come realtà infinitamente trascendente e impenetrabile per l’intelligenza umana. Tuttavia, per criterio di discernimento, ossia per autenticare il suo intervento nella storia umana, Gesù è ricorso all’onnipotenza divina, ossia ai miracoli che si mostrano a noi come opera superiore alla potenza di tutto ciò che è creato.
Gli apostoli e i primi cristiani contemporanei a Gesù di Nazareth hanno creduto a lui per aver assistito a guarigioni prodigiose, alla moltiplicazione dei pani, alla risurrezione di morti e soprattutto perché, dopo la sua tragica morte, lo hanno potuto vedere vivo fino al punto di mangiare con lui; senza che i suoi stessi increduli nemici in Gerusalemme potessero contestare validamente la sua fuga dal sepolcro militarmente custodito.
La pretesa di quanti hanno cercato di negare la verità di queste pagine del Vangelo è smentita clamorosamente dal fatto che non pochi testimoni oculari per lui affrontarono la persecuzione e la morte per essere fedeli al divino Maestro. E ligi al suo comando: «Andate in tutto il mondo insegnando a tutti i popoli e battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,19ss), senza mezzi e senza costrizione da parte di nessuno, essi fondarono la Chiesa.
Dopo aver preso coscienza di queste pagine evangeliche, non è possibile sostenere che i misteri fondamentali del cristianesimo (unità e trinità di Dio, incarnazione, passione, morte e Resurrezione di Cristo) siano dovuti all’elaborazione dei teologi vissuti alcuni secoli dopo la sua morte. Accettare per fede misteri così grandi, impenetrabili per ogni creatura non è mai stato possibile, senza ispirazione di Dio che trascende infinitamente la piccola intelligenza umana, la quale per raggiungere una passabile conoscenza delle cose terrestri ha impiegato secoli e secoli di studi e ricerche. E non è finita!
Perciò la vera saggezza già nell’Antico Testamento consigliava massima prudenza e modestia nel parlare di Dio e delle cose di Dio. Per bocca del profeta il Signore ammonisce: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri e le mie vie non sono le vostre vie» (Is 55,8). Mai più l’uomo avrebbe potuto immaginare l’esistenza di tre ipostasi o persone nell’unico vero Dio senza una rivelazione soprannaturale. Intelligenze profonde come quelle dell’antichità ebraica, greca e latina (Paolo di Tarso, Atanasio, Basilio, Agostino) accettarono tale concetto di Dio calato dal cielo, perché tra l’altro non poteva venire dal pensiero umano. Ma essi, nella loro saggezza e onestà, ben capivano di non poter respingere la prova dei miracoli evidenti di Gesù e dei suoi santi. Capivano anche però che le tre Persone divine non dovevano essere concepite come incompatibili col dogma dell’assoluta unicità e individualità di Dio.
Cosicché dal Vangelo stesso apprendiamo che all’unico creatore dell’universo non si può associare una qualsiasi creatura. Gesù di Nazareth rientra nel creato ed è figlio di Maria non in quanto alla sua divinità, ma solo in quanto alla sua umanità. Invece come Verbo Figlio di Dio è eterno Creatore come il Padre e come lo Spirito Santo.
Fin dai primordi della sua missione salvifica egli inculca questa verità: distinguendo bene in sé stesso, unica persona, due nature, quella divina e quella umana.
Alla Madre Santissima che gli chiedeva, dopo il ritrovamento nel tempio: «Figlio mio, perché ci hai fatto questo?», rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo interessarmi delle cose del Padre Mio? (cfr. Lc 2,41-50). Egli si espresse così – dice San Cirillo Alessandrino – per far comprendere che egli era al di sopra della misura umana, mentre accennava al fatto che la Vergine santa aveva svolto solo un compito ministeriale quando lo partorì nella carne» (S. Thom. Catena Aurea in Luca, c. 2,13).
Giunto alla piena maturità, il Nazareno, stando all’esegesi più attendibile, volle ribadire subito questa dottrina alla presenza dei primi discepoli, quando a Cana si trovò con sua Madre alle nozze di parenti, o conoscenti. Stando ai massimi rappresentanti del pensiero teologico cattolico (S. Agostino, S. Tommaso) ciò avvenne con le parole che Gesù rivolse a sua Madre che gli aveva suggerito di compiere un gesto di benevolenza divina a favore dei due giovani sposi: «Non hanno più vino». Gesù rispose, come narra l’evange-lista Giovanni: «Che cosa io ho a che fare con te, o donna? Ancora non è giunta la mia ora» (Gv 2,4).
A quei pochi modesti pescatori del lago egli si riserbava di mostrare ben altri prodigi prima di dichiarare che quella sua umanità, la quale li aveva attratti con squisita benevolenza, era impersonata dal Verbo di Dio, eterno figlio del Padre. L’evangelista ricorda la violenta reazione dei monoteisti giudei quando Gesù dichiarò: «Io e il Padre siamo uno», un unico individuo (Gv 10,30). Quelle parole provocarono lo sdegno fino alla minaccia di morte e alla raccolta di pietre per la lapidazione. Il divino Maestro allora a sua difesa fece appello alle sue opere prodigiose… Ma i suoi uditori ribattono: «Non ti lapidiamo per le opere buone bensì per la bestemmia perché tu, pur essendo uomo, pretendi di essere Dio» (ibid. v. 33).
Per gli apostoli stessi l’accettazione del mistero fu un’impresa difficile che avvenne soltanto per la lunga serie di miracoli strepitosi compiuti dal Maestro nel lungo periodo di tre anni, e soprattutto per la sua resurrezione dopo la morte straziante sulla croce. L’apostolo Tommaso si rifiutò di credere ai colleghi già testimoni oculari prima di toccare con mano il suo Maestro risorto. Soltanto allora si arrese: «Mio Signore e Mio Dio» (Gv 20,28).
La Beata Vergine Maria invece conferma la sua condizione di umile creatura con il suo comportamento anche dopo la morte e risurrezione del Figlio. Accetta l’ospitalità del discepolo prediletto che l’accoglie in casa sua, essendo rimasta vedova e derelitta. Partecipa alla preghiera comune, con essi invoca lo Spirito Santo promesso da Gesù.
Sappiamo per fede, secondo la tradizione, che Maria fu Assunta in cielo; mai però esercitò potere gerarchico alcuno nella Chiesa nascente, pur avendo secondo tutti i credenti «una dignità quasi infinita», come si esprime un altro Tommaso in pieno Medioevo (Summa Theol. I,25,6 ad 4). Ma l’esaudimento è proporzionato al merito dell’orante. Per questo rivolgiamo la preghiera ai santi e specialmente alla Madonna, perché essi presso il trono di Dio sono intercessori assai più affidabili ed efficaci di noi, carichi di peccati e deboli nella fede. Il culto che rivolgiamo a queste creature degne della patria celeste e capolavori di Dio non è un atto di idolatria, come ci accusano protestanti e islamici; come non è idolatria lodare Dio ed esaltarne la grandezza mediante la contemplazione delle opere da lui compiute nell’univer-so, a imitazione del Salmista.
IL TIMONE – N. 62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 52-53