Hanno un reale fondamento quei “diritti sessuali e riproduttivi” spesso reclamati? Oppure esprimono il rifiuto della natura umana? Educare alla vita e all’amore per invertire una rotta che ci sta portando verso un modo di vivere senza gioia e senza speranza.
Riguardo al tema "diritti sessuali e riproduttivi" vanno tenuti nel debito conto alcuni punti fondamentali senza i quali si corre il rischio di trasformare la politica nel triste compito di regolamentare la vita civile a prescindere dal soggetto di quella stessa vita, cioè l'uomo, quando non addirittura contro l'uomo.
Va detto anzitutto che parlare di "diritti", sia nel campo della sessualità che in quello della riprodu-zione, è decisamente sviante. Il diritto, in temi così delicati, deriva dall'identità dell'uomo e non da eventuali concessioni o proibizioni da parte dello Stato. La Dichiarazione internazionale dei diritti dell'uomo non contempla, perché non esistono, presunti "diritti sessuali", ma in primis il diritto alla vita e tutto quello che vi è naturalmente connesso. L'esercizio della sessualità non è un diritto se non nell'ambito di specifiche relazioni sociali, quelle matrimoniali, dell'uomo come "animale sociale". Laddove tra le relazioni che una persona stabilisse non ci fosse nessuno disposto a intessere anche una relazione matrimoniale e perciò sessuale, non sussisterebbe alcun "diritto sessuale", tanto quanto non esiste nessun "diritto ad essere amato" al di fuori della microcellula sociale che è la famiglia, innanzitutto da parte dei bambini cui si è data la vita.
È evidente quindi che non esiste nemmeno alcun "diritto riproduttivo", per due motivi: 1) se non c'è nessuno che voglia perpetuare il proprio DNA mediante l'unione carnale con il Tale, ne consegue che il Tale non ha alcun diritto a perpetuarlo contro la volontà di chicchessia; 2) se madre natura non ha messo in grado il Tale di riprodursi per cause naturali, non esiste diritto che tenga, contro l'impossibilità naturale.
La difesa di un diritto è necessaria quando il diritto sussista, e in modo particolare nelle occasioni in cui esso venga calpestato. Ma se il diritto non esiste, e perciò, come abbiamo visto, non ècalpestato (a meno che non si voglia processare madre natura per aver fatto nascere qualcuno sterile, storpio, sordo, cieco od altro), continuare a parlare di tal diritto cercando di ottenerlo contro la realtà e contro la natura, è non solo irrealistico, ma, nel peggiore dei casi, un'opera contraria al l'uomo e alla sua dignità. Per due motivi: 1) perché violentare la natura per trasformare l'uomo o la donna in una cavia da laboratorio è inumano anche per chi, nel dramma della sterilità, giunge al desiderio di ciò che la realtà gli ha precluso; 2) perché ci vanno di mezzo quel 90% di embrioni, cioè persone che, con dnliberato consenso e piena avvertenza, vengono assassinati per conseguire il desiderio egoistico di un figlio (questa è la percentuale di impianti che "falliscono" in rapporto al 10% di "riuscita"). Sarebbe un po' come se il Tale, cieco nato ed inguaribile, fosse disposto a cavare gli occhi ad un numero considerevole di persone vedenti per tentare di impiantarsi i loro occhi.
Quando poi si tratta di presunti "diritti sessuali e riproduttivi" delle dibattute coppie omosessuali, si sfocia nel paradosso di vantare, contro ogni buon senso e morale, il diritto ad avere figli che scaturiscano da atti che per natura non sono fecondi. Come se si avesse la pretesa di sfamarsi con le pietre. Senza tener conto del fatto che, poiché l'educazione si svolge innanzitutto nel contesto familiare, un nucleo omosessuale trasmetterebbe necessariamente la propria formazione psicosessuale ai bambini che dovessero convivervi. La qual coI sa si configurerebbe pienamente come corruzione di minori. Tanto più che, nella letteratura psichiatrica di sempre, sino a pochi anni fa, l'inversione sessuale è sempre stata considerata patologia psichiatrica. Il fatto che per motivi ideologici, mai suffragati da alcuna dimostrazione scientifica, si sia indebitamente eliminata l'omosessualità dall'elenco delle patologie, non ha comportato che tale tendenza abbia cessato di essere patologica. Uno dei primi diritti che lo Stato ha il dovere di tutelare nel cittadino è quello alla salute, anche quella psicosessuale. Affermare che la patologia, per quanto possa essere diffusa, anche ad opera di mezzi d'informazione debitamente manipolati, sia normalità e non patologia, rassomiglia alla legge italiana che ha dichiarato che non esistono più i pazzi ed ha aperto i manicomi. Con le gravissime conseguenze sociali, penali e di cronaca nera che questo ha comportato.
Visto che non esiste alcun "diritto sessuale", tanto meno esiste alcun "diritto omosessuale", che caso mai sarà un'opzione individuale senza necessità di riconoscimento legislativo.
Soltanto un ritorno all'ordine inscritto nella natura, anche solo biologica e quindi psicologica dell'uomo, può comportare un reale aiuto ad una società del benessere che tutto ha trasformato in merce scambievole: la persona, l'embrione, il sesso e l'identità sessuale, quasi che quest'ultima fosse un vestito da indossare e cambiare a seconda della moda. Un tale ordine prevede una sana educazione all'amore e alla fedeltà ed è fonte di gioia individuale e di pace sociale.
Di fronte a patologie sociali così diffuse non è più sufficiente pensare di dover solo regolamentare la realtà accettandola come un dato ineluttabile: si configura la necessità di attuare una terapia sociale a misura d'uomo, e non a misura delle sue debolezze. È necessario mirare in alto e non al minimo comune condiviso. Va da sé che le terapie non possono avere successo se non vengono inserite in un contesto educativo, che deve partire dalle giovani generazioni. Se si sbandierano presunti ed irreali diritti sessuali, togliendo i limiti ai giovani, ai quali si insegna che il sesso è un piacere cui si ha diritto, si deve poi riconoscere che le conseguenze che ne derivano non sono frutto del caso: stupri, violenze di gruppo sui minori e non, pedofilia, aborti sin dall'adolescenza…
Un capitolo a parte, ma a questo tema connesso, è quello della denatalità europea, che ha anch'esso costi sociali ed economici pesantissimi. Solo in Italia si perpetrano "legalmente" almeno 120.000 aborti all'anno. A parte il lato morale di questa ecatombe silenziosa, c'è anche il costo medico rilevantissimo che comporta il fatto che, proprio per mancanza di nuove nascite, l'Italia e l'Europa hanno estremo bisogno di una quantità enorme di manodopera straniera per far funzionare l'industria e l'economia. Effetto pesantemente costoso anch'esso sul piano economico e sociale. Le tensioni sociali, il crimine e tutto quello che ne consegue, che sempre va pagato economicamente dallo Stato ma subìto psicologicamente dai cittadini, potrebbe essere senza dubbio molto inferiore se invece che sterminare i propri figli, per poi aver bisogno degli stranieri, si facesse in modo che, innanzitutto mediante azioni educative, la vita non fosse più soppressa ma accolta. Più che di diritti sessuali e riproduttivi sarà quindi meglio parlare di educazione all'amore e all'acceoglienza della vita, che è sempre dono e non dovrebbe mai divenire rapina.
Conclusione: «Viviamo sotto la grave minaccia della guerra nucleare, cerchiamo di scacciare il pensiero dell'Aids, ma non impediamo che vengano uccisi i bambini non ancora nati. L'aborto è una grave minaccia per la pace. Quando eliminiamo un bambino non nato stiamo cercando di eliminare Dio» (Madre Teresa di Calcutta, Discorso al Palazzo di Vetro dell'Onu, New York, 26 ottobre 1985).
IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 52 – 53