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7.12.2024

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Il dito di Dio nella storia
3 Febbraio 2014

Il dito di Dio nella storia

Per secoli la filosofia ha cercato, senza successo, di trovare un senso alle vicende degli uomini. Finalmente il cristianesimo elabora una compiuta teologia della storia, che ispira tutta la letteratura occidentale. Eugenio Corti è il campione contemporaneo di questa lettura dei fatti umani 

Nella storia, sia individuale che collettiva, appaiono sempre in primo piano quei tre mali supremi e inevitabili indicati dal Buddha: la vecchiaia, la malattia e la morte. Sono i mali che ogni individuo, prima o poi, si trova a sperimentare come prospettiva esistenziale e che reclamano una spiegazione, l’indicazione di una via d’uscita, una speranza che vinca l’angoscia e consenta di affrontare la “fatica di vivere”. 

Una storia senza senso 
La filosofia stoica, soprattutto con Seneca, ha tentato invano di fornire una risposta filosofica al problema del male. Tanto il buddismo quanto lo stoicismo si affidano a un’ipotesi di soluzione arbitraria e sostanzialmente contraria alla ragione: l’indifferenza, fino all’annullamento dell’individuo nell’impersonalità della vicenda cosmica, nell’identificazione con il Tutto che è il Nulla (Nirvana). Religione e filosofia, prima del cristianesimo, non conoscono l’escatologia, un fine immanente alla storia, sia individuale che collettiva, ma immaginano un “eterno ritorno dell’identico”. Nietzsche, nell’Ottocento, riesumerà e riproporrà questa visione ciclica, proprio in vista di un neopaganesimo da opporre alla verità del cristianesimo con l’eliminazione delle categorie cristiane del “tempo lineare” che è fecondo di progresso e tende a una perfezione ultima, la salvezza eterna di ogni persona. 

Cristianesimo e senso della storia 

Il pensiero cristiano, già nell’epoca tardo- antica, con sant’Agostino, aveva superato l’irrazionalità di ogni concezione della storia che ignori l’iniziativa di Dio che mira al vero bene di ogni sua creatura. Sulla base della filosofia cristiana, basata sulla nozione metafisica di Trascendenza, sant’Agostino aveva fissato nel De civitate Dei i principi fondamentali della teologia della storia, principi che hanno poi orientato tutto il pensiero medioevale e moderno. Anche la filosofia della storia di Hegel dipende dalla teologia cristiana, sia pure adulterata con la dialettica dell’immanenza, e per questo il suo storicismo prospetta il superamento dei mali dell’esistenza attraverso una finalizzazione positiva di tutte le vicende umane. La letteratura occidentale è tutta impregnata di categorie esistenziali derivate dalla teologia cristiana della storia: basti pensare alla Divina commedia di Dante, al teatro di Shakespeare o a quello di Calderón de la Barca, al Quijote di Cervantes, alla lirica di Leopardi, ma soprattutto al romanzo storico dei grandi autori francesi (Victor Hugo con Les Misérables), italiani (Alessandro Manzoni con i Promessi sposi, Ricardo Bacchelli con Il mulino del Po, Tomasi di Lampedusa con Il Gattopardo) e russi (Lev Tolstoi con Guerra e pace, Alexandr Solgenitsin con Arcipelago Gulag). In effetti, mai come nel romanzo storico la letteratura mostra l’inevitabile dipendenza dalle premesse filosofiche e teologiche presenti nella coscienza dello scrittore, quali che siano la vicenda storica narrata e il modo di narrarla. 

Eugenio Corti e il XX secolo 
Nella coscienza dello scrittore Eugenio Corti, sia per l’argomento trattato – le vicende drammatiche del ventesimo secolo – che per il modo in cui esso è trattato – la testimonianza diretta dei fatti, inclusa l’autobiografia – sono presenti e operanti le premesse della ragione naturale e le premesse della fede cristiana, e per questo preciso motivo i suoi romanzi storici sono scritti in un’ottica che non è solo filosofica ma anche propriamente teologica. E in effetti, la critica letteraria ha unanimemente rilevato che quelle opere costituiscono una profonda riflessione sulla vita, una ricerca della verità orientata dalle categorie, forti e convincenti, di una filosofia della storia che trova la sua piena razionalità nella teologia cristiana. 
La prima di queste categorie interpretative degli eventi è che le vicende umane non hanno alcun significato razionale se vengono ridotte alla dimensione sociale. Eugenio Corti, anche quando smette di narrare le proprie vicende personali e passa dall’autobiografia alla storia politica, non perde di vista che i protagonisti reali (metafisicamente parlando) non sono i gruppi sociali (popoli, nazioni, Stati, famiglie, partiti politici) ma le singole persone, alle quali vanno riferite sostanzialmente (cioè, come a “sostanze”) le passioni dell’amore e dell’odio, la ricerca o il rifiuto di Dio, le speranze e le delusioni, i drammi della sofferenza e della morte, la responsabilità morale e l’anelito alla vita eterna. Tutto l’intreccio delle relazioni sociali (che la sociologia contemporanea fatica ad analizzare e a catalogare, data la loro crescente complessità) altro non è che un insieme di “accidenti”, la cui realtà è tutta nel loro immediato riferimento alle persone. 

Contro ogni ideologia: il primato del singolo uomo nella storia 

L’ipostatizzazione delle relazioni sociali cui ci ha abituato il pensiero idealistico (compreso il materialismo storico di Marx, che da Hegel deriva) ha portato a vedere come protagonisti assoluti della storia la Società, il Popolo, lo Stato, la Classe, il Partito, il Progresso, ossia ciò che sostanzialmente non esiste proprio, e quindi non può essere di per sé soggetto di desiderio o di timore, di amore o di odio, di perversione o di redenzione. 
Eugenio Corti, ispirandosi agli insegnamenti divini sulla storia umana contenuti nel Libro dell’Apocalisse di Giovanni (le cui espressioni simboliche forniscono al suo romanzo più noto, Il Cavallo rosso, il titolo dell’intero libro e delle sue tre parti) non perde mai di vista che l’escatologia cosmica è in funzione dell’escatologia personale, e così, quando descrive le vicende del suo passato e del suo presente storico, così come quando prospetta il futuro del suo Paese, parla come un cristiano consapevole che la sua esistenza, come quella degli altri uomini, è una trama di accadimenti nei quali l’amore provvidente di Dio interagisce sempre con le libere scelte del singolo uomo. Ed è ben presente, nell’ottica cristiana dello scrittore, quello che scrive san Paolo, ossia che «Dio desidera che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (Prima Lettera a Timoteo 2,4). 
Corti, così, aiuta i lettori dei suoi romanzi a comprendere come l’intervento di Dio nella storia sia sempre sostanzialmente indirizzato alla salvezza di ogni singolo uomo. Rifacendosi ancora all’Apocalisse di Giovanni, lo scrittore mostra come i protagonisti dei suoi romanzi, quando sono convintamente cristiani, vivono i drammi della guerra e della pace, la fatica del lavoro e dell’impegno sociale senza mai perdere di vista che Dio, il “loro Dio”, ha creato ogni singolo uomo, dunque anche loro, proprio perché la vicenda terrena di ognuno, al di là di tutto ciò che è sociologicamente rilevabile, si concluda con il pieno e definitivo riscatto dal peccato e dalla morte, dal dolore e dall’angoscia: «Ecco il tabernacolo di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro, essi saranno suoi popoli e Dio stesso sarà con loro e sarà il loro Dio. Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non ci sarà più la morte, né cordoglio, né grido, né dolore, perché le cose di prima sono passate » (21,4-5). Queste coordinate teologiche sono immediatamente riscontrabili in tutta l’opera di Corti, a cominciare da I più non ritornano, pubblicato per la prima volta nel 1947. Il libro (diario di guerra sul fronte russo durante l’inverno 1942-1943) rivela, oltre alla straordinaria efficacia narrativa dell’autore, come egli sia impegnato a comprendere, a partire dagli orrori della guerra, il mistero del male che affligge in tanti modi diversi ogni uomo. Per sondare il mistero, l’autore sa di dover interpellare innanzitutto la rivelazione cristiana, e per questo mette in esergo al suo libro un versetto del discorso escatologico di Gesù: «Pregate affinché quel giorno non vi raggiunga quando è inverno» (Vangelo secondo Marco 13,18). 

Corti e la Provvidenza 

Lo scrittore propone così ai suoi lettori la verità che egli ha compreso, cioè che Dio, malgrado il suo apparente silenzio, è vicino a ciascun uomo anche quando tra gli uomini stessi non c’è più amore; e la storia vera narrata dimostra come la sofferenza individuale, condivisa con gli altri in quelle circostanze storiche, fa emergere tra le persone non solo l’inevitabile solidarietà umana, ma anche la presa di coscienza del valore espiatorio che il dolore porta con sé, come se servisse a risarcire di tanti altri crimini che tutti noi commettiamo. Si spiega così il comportamento dei contadini russi che, pur provati da tante sofferenze loro inflitte (prima dal regime comunista e poi dalle truppe tedesche), mostravano tanta fede nell’uomo e tanta speranza in Dio da prodigarsi nell’assistenza ai soldati “nemici” in procinto di morire per gli stenti e per il freddo. 
L’impegno di scrittura autobiografica di Corti continua con il racconto di ciò che decise di fare al rientro in patria, nel 1943, quando riuscì a raggiungere il Sud dell’Italia, dove si stava riorganizzando l’esercito regolare italiano alleato con gli anglo-americani. 
Nelle file dell’esercito fedele alla monarchia, lo scrittore brianzolo combatté fino alla conclusione della Seconda Guerra mondiale, prendendo così parte attiva alla liberazione dell’Italia dall’occupazione nazista. La riflessione su questa nuova esperienza diede poi origine al secondo libro autobiografico, Gli ultimi soldati del Re. 

Il capolavoro di Corti 
Ma il capolavoro narrativo di Corti è il grandioso romanzo storico che già dal titolo, Il cavallo rosso, intende collegare la vicenda di un gruppo di giovani lombardi, scelti come protagonisti della storia italiana tra il 1940 e il 1974, al severo messaggio escatologico del Nuovo Testamento: «Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada» (Apocalisse di Giovanni 6,4). 
Messaggio escatologico, come ho già rilevato, che Corti interpreta rettamente, avendo ben compreso che l’escatologia cosmica è sostanzialmente in funzione dell’escatologia personale. Proprio per questo presupposto personalistico Corti rifugge dalle elucubrazioni idealistiche e non ha nemmeno bisogno di ricorrere alla fiction: gli basta il riferimento costante al proprio metodo narrativo, quello della testimonianza diretta. Nell’esperienza di una storia collettiva (la campagna di Russia, l’orrore delle stragi naziste, la scoperta dei gulag comunisti, la guerra di Resistenza nell’Italia del Nord, la vita politica degli anni Cinquanta e Sessanta), lo scrittore in persona condivide con altri individui drammi e speranze, illusioni e delusioni, ma soprattutto la ricerca del senso vero della propria esistenza. 
Il messaggio di Corti è che, nella storia, al di là di sconfitte o di vittorie che sembrano tali solo agli occhi di chi si limita a registrare i mutamenti relativi alle entità impersonali (lo Stato, le classi sociali, i partiti politici), il senso vero dell’esistenza va cercato nella propria coscienza, dove avviene in ogni momento l’incontro tra la nostra libertà e l’iniziativa salvifica di Dio.  

UNA VITA SPESA PER LA BUONA BATTAGLIA

Per comprendere le opere di Eugenio Corti è buona cosa guardare seppure per un attimo alle sue radici storiche e culturali. Nasce in Brianza, a Besana, nel 1921, e suo padre è un industriale che “si è fatto dal nulla”, come si dice in questa terra cattolica e laboriosa, certo attenta al lavoro e al guadagno ma senz’altro più fedele di altre alle proprie radici. Corti non recepisce l’aspetto commerciale della sua gente quanto invece ne eredita la profonda fede. 
Nel 1941 parte per il fronte russo, dopo l’inizio della Seconda guerra mondiale, e lì farà l’esperienza fondamentale che sta alla base delle sue opere e in particolare del suo capolavoro, Il cavallo rosso. Conosce la tragedia della guerra e la realtà ignobile dell’ideologia comunista che domina la Russia e si rende conto che soltanto la fede permette di «uscire indenne dalla sacca», per usare la metafora del suo racconto della ritirata di Russia nell’opera I più non ritornano, cioè di superare l’illusione comunista senza cadere nell’odio dei suoi avversari storici che le si sono contrapposti. Così nasce il Corti scrittore e letterato, che dopo la guerra si laurea, lavora nella ditta paterna, ma soprattutto scrive e dà una espressione letteraria alle sue esperienze. Dopo i cinquant’anni decide di dedicarsi completamente alla scrittura e in questo periodo nasce Il cavallo rosso, un voluminoso libro di 1274 pagine che trova solo un piccolo editore disposto a investire tempo e denaro per un autore sconosciuto e per un’opera molto costosa. Ma il libro incontra il grande favore del pubblico e pur partendo da una piccola casa editrice raggiunge tante tirature e molte traduzioni, così che viene conosciuto in tutto il mondo.
Corti continua poi a scrivere mettendo in circolazione altre opere, ma il suo nome rimane per sempre legato soprattutto a quell’epopea narrata nella sua principale opera, di uomini e donne fieri di testimoniare la fede cattolica e di combattere per quest’ultima di fronte alle seduzioni di un mondo ostile.

Dossier:  EUGENIO CORTI

IL TIMONE  N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 36 – 38

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