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12.12.2024

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Il dono dello stupore

Il dono dello stupore

 

 

 

 

La fede è il frutto di una rinnovata e continua meraviglia davanti alla bontà amorevole di Dio. E questa meraviglia genera gioia.

 

C'è un sentimento, quasi un grido, che attraversa tutta la Scrittura sia nell'Antico come nel Nuovo Testamento: "Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia" (8a/126,3). È come una sorta di grande stupore che subito si scioglie in felicità ogni volta che il popolo eletto si rende conto delle "mirabili a Dei" nei suoi confronti: la liberazione dall'Egitto, il dono dell'Alleanza e della Legge, la manna nel deserto, la costante misericordia nonostante le ripetute infedeltà, l'ingresso nella Terra promessa, il ritorno dall'esilio…
Nel Nuovo Testamento questo stupore misto a gioia ruota fin dall'inizio attorno a Gesù. Giovanni il Battista, il precursore, "esulta di gioia" nel grembo di Elisabetta; Maria, la Madre, dopo lo stupore dell'Annunciazione "magnifica il Signore" ed "esulta in Dio Salvatore"; ai primi testimoni della nascita, i pastori, sorpresi e spaventati, viene annunciata "una grande gioia che sarà di tutto il popolo".
La predicazione e i miracoli compiuti da Gesù non sono da meno. Gli evangelisti riferiscono costantemente dello "stupore" delle folle di fronte e quel che e operava: "Chi è costui, da dove viene, da dove trae il suo potere?", si chiedevano di fronte a quell'uomo che conoscevano come il carpentiere di Nazareth e che ora ridava la vista ai ciechi, guariva i lebbrosi e i paralitici, risuscitava i morti, liberava gli indemoniati, perdonava i peccati, annunciava la buona novella del Regno.
Ma forse nulla come le Apparizioni del Risorto testimoniano appieno dello stato d'animo di meraviglia e di gioia che esse sono capaci di suscitare. "Rabbuni" sarà il grido felice della Maddalena piangente quando riconoscerà Gesù in quello che credeva essere il giardiniere. "Mio Signore e mio Dio", é l'esclamazione stupita e gioiosa dell'incredulo Tommaso quando, da sospettoso qual era, può porre il dito nelle piaghe del Maestro paziente e comprensivo. "Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversavamo con Lui?" è la costatazione felice dei due discepoli di Emmaus quando finalmente "i lori occhi si aprirono e lo riconobbero".
Stupore e gioia che accompagnano, dunque, tutta la Rivelazione e che la Scrittura, come in una eco continua, ha fatto giungere e risuonare fino a noi. Così, anche oggi chi vede l'azione di Dio e sa riconoscerla nel mondo e nella propria vita, prima stupisce e poi, accettandola e prestandole fede, sente nascere nel proprio cuore un sentimento nuovo e intenso mai provato prima: "gioia piena nella tua presenza, letizia senza fine alla tua destra" (Sal 16, 11). La buona novella che Dio ci ama come un Padre buono che provvede a noi, che, tramite il Figlio, ci redime e ci libera dal peccato, che nello Spirito ci santifica e ci introduce nella vita trinitaria non può non stupire e non colpirci nel profondo. Se ci lasciamo avvolgere e penetrare da questo stupore, riconosciamo che quello è l'invito che il nostro cuore attendeva, il messaggio di cui la nostra angoscia profonda, legata alla mancanza di un senso per la vita e per la morte, aveva bisogno per sciogliersi definitivamente come neve al soIe. Allora i nostri occhi interiori vedono, le nostre orecchie odono, cadono di colpo le nostre idolatri e per un istante almeno, avvolti dall'Amore di Dio, intuiamo la Via, la Verità, la Vita. La gioia non è altro che il frutto spontaneo e naturale di questa esperienza interiore.
Questo stupore sconvolgente è dunque un grande dono che dobbiamo ripetutamente invocare perché ci sia donato ogni giorno. Esso è la base di ogni conversione, la prima ma anche quelle successive che dobbiamo affrontare nel corso della nostra vita. Sì, perché è anche possibile vedere e non stupirsi a causa del peccato che attanaglia il nostro cuore e offusca il nostro sguardo. Oppure stupirsi e non convertirsi come accadde a Nazareth ai compaesani di Gesùche, invece di credere in Lui, "si scandalizzavano per causa sua". Tanto che proprio in quel luogo, che certamente gli era più caro di altri, "non fece molti miracoli a causa della loro incredulità".
Oppure è possibile esserci stupiti la prima volta in cui abbiamo inteso la Buona Novella della salvezza e poi esserci accomodati su una tiepidezza senza slanci poco compatibile con l'intensità dell'amore divino. Purtroppo ci si può abituare a tutto. Diceva Ignazio Si Ione che spesso i cristiani gli sembravano attendere la Risurrezione con lo stesso entusiasmo con cui si aspetta un tram. Frase terribile. Eppure temo vera in molti casi. Forse anche nel nostro?
Il Vangelo non è un brodi no tiepido, una blanda pozione buona per sopravvivere. È una "porta stretta" che però porta alla vera vita e che, per questo, richiede impegno e sentimenti forti: la rinnovata capacità di stupirci per questo Padre che ci ama teneramente fino al punto di inviarci il Figlio e, tramite Lui, donarci una rinascita nello Spirito. Così la lettura e la meditazione della Scrittura che ogni giorno dovremmo fare, dovrebbe avere proprio lo scopo di rinnovare in noi quello stupore iniziale che ci colse la prima volta in cui sentimmo proclamare il Vangelo. Occorre che quegli eventi risuonino in noi con la medesima intensità. Che il grido gioioso della Maddalena davanti al Risorto diventi nostro, così come la liberante ammissione di fede di Tommaso. Occorre che anche il nostro piccolo cuore come quello dei discepoli di Emmaus, vibri al fuoco dell'immenso amore divino affinché, a differenza che a Nazareth, Gesù possa operarvi il miracolo continuo della nostra conversione.
Anche la liturgia ha questo compito nel corso del suo ciclo che ogni anno si ripete: riattualizzare la salvezza, renderla presente oggi per ognuno di noi. Farci rivivere lo stupore dell'Annuncio, l'attesa umile e fervida dell'Avvento, la gioia della nascita, la ricchezza sorprendente del messaggio predicato per le vie di Palestina e oggi riecheggiante nella Scrittura, le sofferenze della Passione, la tragedia della morte in Croce, il trionfo della Risurrezione, la consolazione e la forza della Pentecoste. Permettere così alla nostra fede, e dunque anche alla nostra gioia, proprio attraverso il rinnovato dono dello stupore, di crescere, di consolidarsi, di approfondirsi sempre più.

RICORDA

 
"La gioia, appunto. «Che ti è successo? Ti sei fatto la plastica alla faccia?». Questa, mi dice, la domanda che gli pose la prima moglie vedendolo un giorno. Solo un'operazione chirurgica, sospettava la donna, poteva avergli atteggiato i lineamenti in quel largo, costante sorriso che ora gli scopriva e che non aveva negli anni precedenti. La soluzione dell'enigma stava nella risposta che diede a Paola: «Si, ho fatto la plastica: ma all'anima». Addirittura, aggiunge ridendo, a un certo punto si era diffuso, tra Milano e Roma, Il sospetto che si drogasse o che bevesse: come spiegare altrimenti che "Il Mondadori" fosse sempre cosi allegro, cordiale, sorridente? Gioioso, per dirla in una parola".
(Leonardo Mondadori – Vittorio Messori, Conversione. Una storia personale, Mondadori, Milano 2002, pp. 46-47).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Leonardo Mondadori – VIttorio Messori, Conversione. Una storia personale, Mondadori, 2002.
Eugenio Zolli, Prima dell'alba, a.c. di Alberto Latorre, San Paolo, 2004.
André Frossard, Dio esiste. lo l'ho incontrato, Sei, 1969.
Clive S. Lewis, Sorpreso dalla gioia. I primi passi della mia vita, Jaca Book, 1994.

 

 

 

IL TIMONE  N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 56 – 57

 

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