15.12.2024

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Il dovere di essere ‘intelligenti’
31 Gennaio 2014

Il dovere di essere ‘intelligenti’

La formazione dell’intelligenza è un obbligo, lo dice anche la Rivelazione. Fa parte della crescita nell’identificazione con Cristo e richiede la pratica di alcune virtù. Viceversa incombono la dittatura del relativismo e la crisi della religione



La ragione è per sua natura orientata alla verità ed è fornita dei mezzi necessari per raggiungerla: coltivando questa sua tendenza naturale, essa ha generato il sapere filosofico. La filosofia si fonda sulla relazione di familiarità tra realtà e pensiero e, procedendo mediante la ragione, nonché secondo i propri principi e il proprio metodo, aiuta l’uomo ad acquisire nel proprio intimo l’immagine della realtà, a coglierne il senso, in modo da poter ben vivere e ben morire.

Perché è un dovere

La formazione dell’intelligenza, in particolare il retto uso dell’intelletto speculativo e dei primi principi pratici, è un dovere, come risulta evidente sia dall’attenta considerazione dell’orientamento alla verità della natura umana, sia dalla rivelazione, che mette in guardia dal soffocare «la verità con l’ingiustizia» poiché «ciò che di Dio si può conoscere è loro [agli uomini] manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute» (Rm 1,19-21). Come ricorda, con una sentenza folgorante, Nicolas Gomez Davila (1913-1994) «Dio non chiede la sottomissione dell’intelligenza, ma una sottomissione intelligente».
La formazione delle virtù intellettuali primarie e l’acquisizione del sapere fa altresì parte della crescita della persona nel suo percorso di identificazione con Cristo che, pur essendo vero Dio, nella sua natura umana, «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

Virtù e spirito di meraviglia
Tale formazione è necessaria allo sviluppo integrale della persona e avviene attraverso lo studio personale e la “disciplina”, cioè l’apprendimento guidato dalla dottrina di un maestro; inoltre, deve essere sostenuta dalla pratica di alcune virtù morali, quali la fortezza, la speranza e la studiositas. La buona disposizione della volontà è necessaria alla formazione dell’intelligenza perché lo studio e la riflessione sono compiti faticosi e chi li intraprende ha bisogno di essere sorretto da forti disposizioni e da alte motivazioni. Inoltre, è molto importante il coraggio di proclamare la verità anche quando è scomoda.
Lo spirito di meraviglia, che sa apprezzare la realtà senza darla per scontata, è una risorsa insostituibile in questo cammino. Grazie ad esso, l’uomo si domanda instancabilmente il perché dell’esistenza del mondo, il senso dell’amore, il perché della sofferenza e della morte, la quale sembra negare il desiderio e la capacità di continuare a conoscere e ad amare. Attraverso l’osservazione, la comprensione, la descrizione e il giudizio su ciò che viene appreso, si può costruire un sapere che non tende al dominio del mondo, ma anela a contemplare la verità nascosta, un sapere che non vuole “risolvere” e smantellare il mistero, ma vive con esso e, in un certo senso, grazie ad esso.
La fatica del pensiero fa parte della condizione storica dell’uomo, ma attualmente è aggravata dalle deviazioni in cui, soprattutto a partire dall’età moderna, il pensiero filosofico è incorso. Senza entrare nel merito di singole tesi filosofiche che si oppongono alla retta ragione e risultano incompatibili con la fede, bisogna mettere in luce almeno quell’aspetto dell’allontanamento della filosofia dalla sua originaria vocazione alla verità, che consiste nella rinuncia all’autentica curiosità intellettuale, con il conseguente ripiegamento dell’intelletto sulla superficie delle cose, sui nudi dati sensibili che possono essere misurati, posseduti e manipolati. Sempre Gomez Davila, denunciando la malizia racchiusa in tale atteggiamento della ragione, osserva incisivamente che «Il demonio, oggi, ha forma geometrica».
La tendenza ad abbandonare la ricerca della realtà ultima ha determinato il dilagare dell’ignoranza sulle questioni globali e decisive della vita, che vengono sistematicamente trascurate da un sapere sempre più spezzettato e iperspecializzato: all’unità della realtà non corrisponde più l’unità del sapere.

Il rischio: relativismo e crisi della fede

Alla scomparsa dell’unità del sapere, che di per sé sarebbe accessibile alla ragione, corrisponde la scomparsa di un linguaggio con significati univoci. Non a caso logos in greco significa sia ragione che parola: noi ragioniamo attraverso la lingua ed attraverso il dialogo con gli altri.
Lo scopo del discorso è la comunicazione fra coloro che parlano attraverso la comune sottomissione alla verità. Se la parola, da mezzo di comunicazione qual è, diventa invece strumento di confusione, viene meno ogni possibilità di condivisione culturale e di equa convivenza e alla società rimane solo la strada della violenza, quella che finisce con la sottomissione del più debole alla volontà del più forte, attraverso modalità non necessariamente fisiche. La società attuale dà corpo al clima culturale che Benedetto XVI ha definito «dittatura del relativismo». Quest’ultimo si qualifica per essere non solo una corrente di pensiero, ma anche una situazione di fatto, opportunamente definita dal Pontefice come «dittatura», cioè una condizione in cui la libertà è imprigionata dalle catene dell’ignoranza circa la realtà.
In questa condizione il cammino dell’uomo verso Dio diventa arduo, perciò la crisi della ragione e della filosofia va di pari passo con la crisi della religione. La soluzione della crisi deve comprendere il ripensamento della filosofia al di fuori degli schemi riduttivi che hanno portato alla disfatta della ragione. La ragione va coltivata con dedizione e impegno, nonostante le difficoltà, nonché alla ricerca dell’origine e del senso della realtà.
Oggi il discernimento laborioso degli argomenti filosofici è ancora più necessario che nel passato, quando san Paolo esortava i Colossesi a fare attenzione «che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia [termine usato per designare la cattiva filosofia, quella che propala errori e falsità] e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Col 2,8).
In un’ora critica per l’umanità come la nostra, Papa Paolo VI, nel messaggio di chiusura del Concilio Vaticano II dell’8 dicembre 1965, esortava a ricercare la verità senza arrendersi di fronte alle difficoltà e senza dimenticare che «se il pensare è una grande cosa, pensare è innanzitutto un dovere; guai a chi chiude volontariamente gli occhi alla luce! Pensare è anche una responsabilità: guai a coloro che oscurano lo spirito con i mille artifici che lo deprimono, l’inorgogliscono, l’ingannano, lo deformano!».
Del resto, lo ha detto Gesù stesso: «Amerai il Signore Dio tuo […] con tutta la tua mente».

 

 

Ricorda

«Da un lato, l’esercizio dell’intelletto dipende dalle nostre capacità individuali innate, e per queste non possiamo essere moralmente lodati o biasimati […]; dall’altro, l’esercizio dell’intelletto dipende anche dalla volontà stessa, in quanto [come dice Tommaso d’Aquino] “l’intelletto può essere mosso dalla volontà, come le altre potenze: si può infatti pensare attualmente una cosa perché si vuole farlo” […] pertanto, noi possiamo essere moralmente biasimati o lodati per il modo in cui effettuiamo questo esercizio volontario dell’intelletto. In altri termini, in quanto è in nostro potere, noi siamo moralmente buoni o cattivi anche relativamente all’acquisizione delle virtù dianoetiche e relativamente all’esercizio dei loro atti».
(Giacomo Samek Lodovici, L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, 2010, p. 148)

 

 

Per saperne di più…

Giacomo Samek Lodovici, L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, 2010, pp. 147-150.
Linda Zagzebsky, Virtues of the mind. An inquiry into the nature of virtue and the ethical foundation of knowledge, Cambridge University Press, 1996.
Roger Pouivet, Moral and Epistemic Virtues: a Thomistic and Analytical Perspective, http://poincare.univ-nancy2.fr/Presentation/?contentld=1512

IL TIMONE  N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 32 – 33

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