Avere un bambino non è un diritto soggettivo dei genitori, ma una possibilità di amore vicendevole. Basta la legge naturale per riconoscere questa verità. A patto che sia riconosciuta l’esistenza di Dio creatore. I rischi del materialismo cibernetico.
Le discussioni politiche, che hanno preceduto e seguito la promulgazione della legge italiana che regola la procreazione assistita, e ora le polemiche provocate dalla campagna referendaria volta ad abrogare questa legge esigono da parte dei cattolici impegnati nell’apostolato della dottrina (evangelizzazione, catechesi, formazione sociale, orientamento dell’opinione pubblica) la competenza e il coraggio per parlare chiaro e forte. Questi sono temi che riguardano aspetti fondamentali del bene comune – la difesa della dignità della persona e della vita umana fin dal concepimento, i limiti del diritto-dovere dello Stato di regolare secondo giustizia queste materie – e quindi nessuno può esimersi dal dare il proprio fattivo contributo di idee nella dialettica democratica. Questi temi, inoltre, interessano tutti gli uomini che si regolano secondo la propria coscienza e sono solleciti del bene comune, senza farsi condizionare da interessi di parte, e per questo noi cattolici parliamo lo stesso linguaggio dei non credenti, sempre che siano persone che fanno buon uso della propria ragione. Parliamo il loro stesso linguaggio perché si tratta di problemi la cui risposta è dettata dalla retta ragione, non dalla fede, anche se la fede ci aiuta a non perdere di vista i principi della morale naturale (la morale del Vangelo, infatti, implica come presupposto razionale i principi della legge naturale, che secondo san Tommaso non è altro che «la stessa legge eterna di Dio inscritta nella creazione»). Chiarisco però che per “non credenti” intendo coloro che ancora non accettano con la fede la rivelazione cristiana, ma non disconoscono i principi della legge naturale; pertanto non sto parlando degli atei, i quali, non riconoscendo Dio, mostrano di non accettare nemmeno le esigenze fondamentali della retta ragione. E infatti, come ora dirò, se Dio viene escluso dalla discussione dei problemi di etica, nessuna soluzione proposta per risolverli sarà più fondata su ragioni condivisibili. Ci si potrà accontentare, a breve termine, di accordi occasionali e di compromesso: ma a lungo termine, come si è visto in Italia, l’amoralismo irrazionale risulta politicamente vincente.
Occorre quindi dialogare con tutti avendo la capacità di presentare ragioni umane convincenti. Come primo passo, occorre sollecitare una riflessione sulle implicazioni morali conseguenti allo sviluppo crescente delle bio-tecnologie e delle connesse possibilità di procreazione artificiale. Infatti, le nuove tecniche riproduttive, introdotte nelle prassi correnti della società senza aver prima risolto il problema della loro liceità, hanno avuto come unica giustificazione la teoria per cui se un certo modo di “fare figli” è tecnicamente possibile e qualcuno desidera avere figli in questo modo, non si deve ostacolare l’esercizio di questo diritto. Ora, questo preteso diritto di avere figli “in qualunque modo”, con l’abolizione di ogni vincolo, implica il disconoscimento della necessità di una legge che serva a garantire il rispetto di tutti i diritti e del diritto di tutti, salvaguardando così il bene comune. L’abolizione dei vincoli di legge è la morte della democrazia: non può più esserci consenso motivato sulle dinamiche sociali e viene meno ogni possibile intesa sul giusto e l’ingiusto, dalla quale trae legittimità la convivenza civile.
Abbiamo deprecato per decenni gli abusi contro la vita umana perpetrati dal nazismo in nome del materialismo neo-pagano; ma oggi il totalitarismo tecnocratico consente abusi ancora peggiori in nome di un nuovo materialismo (un materialismo di tipo “cibernetico”, come lo definisce la Troncarelli), che soffoca il dissenso vietando di discutere i problemi bio-etici in termini, appunto, di etica.
Nella società dove il solo criterio di razionalità è quello funzionalistico, il fine coincide con l’ottimizzazione delle risorse materiali, ossia con l’utilizzo funzionale di tutti i mezzi messi a disposizione dal progresso scientifico: si tratta di una vera e propria tecnocrazia, dove la tecnica controlla tutto senza essere essa stessa controllata da alcuno, perché è il sistema a determinare la scelta umana e non viceversa. In tale contesto, la razionalità giuridica, non meno di quella scientifica, si fa anch’essa funzionale alla tecnocrazia: anche il diritto si uniforma all’indifferenza della tecnica in ordine ai fini e ai contenuti, privilegiando gli aspetti formali e quantitativi a scapito di quelli sostanziali (i valori umani in gioco) e qualitativi (la liceità o meno di certi interventi sui processi naturali).
Occorre comunque superare, non solo il livello tecnologico ma anche il livello giuridico, troppo legato alla descrizione dei fenomeni sociali; come diceva Giovanni Paolo II, la riflessione etica deve passare «dal fenomeno al fondamento». In effetti, la soluzione dei problemi morali posti dalle nuove frontiere della procreatica sta nell’impostare il discorso in termini autenticamente metafisici.
L’etica non ha alcun fondamento razionale – ossia non convince chi fa uso della retta ragione – se prescinde dalle categorie metafisiche di creazione e di legge naturale, ossia dal progetto di Dio sulle creature: un progetto razionale (progetto d’amore, certo, ma proprio per questo eminentemente razionale) che è inscritto nella natura delle cose e nella coscienza dell’uomo che le cose conosce le comprende nella loro finalità intrinseca. Se la categoria metafisica della legge naturale – intesa, ripeto, come intenzione e progetto di Dio creatore – viene compresa e messa alla base della riflessione etica, allora ha un senso anche la recente letteratura filosofica sulla vita come dono e sul dono della vita (mi riferisco ai pensatori ebraici del Novecento e a Jacques Derrida). Il parlare della vita come dono implica infatti la consapevolezza di essere nell’esistenza per un atto gratuito di amore da parte del Creatore, «nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», come disse Paolo ai filosofi di Atene; e il riferirsi poi alla procreazione come al dono della vita che delle persone fanno ad altre implica la consapevolezza che i figli non sono per i genitori ma i genitori per i figli. Avere figli non è un diritto soggettivo dei genitori, ma una possibilità di amore vicendevole, fedele e fecondo, che trascende la coppia e si riversa sulla prole. Se tradizionalmente i figli venivano chiamati il “bonum prolis”, se certamente si deve dire che i figli sono un bene per i genitori, ciò non significa che essi siano un possesso cui i genitori hanno diritto, ma un bene morale (un merito) che implica la piena realizzazione della loro missione. Ma vale per i genitori ciò che vale per tutti in generale: che la possibilità di fare del bene (di donare) è a sua volta una grazia di Dio, un dono che il Creatore dà alle creature, a ciascuna secondo la sua missione. Il dono della vita fatto dai genitori si inscrive nel più ampio e fondamentale concetto della vita di ciascuno come dono ricevuto da Dio, per svolgere nel tempo della propria esistenza terrena una missione da figli di Dio, solidali con i propri fratelli. In questo senso la pro-creazione va riportata proprio al concetto di creazione. È una partecipazione creata al potere increato di dare la vita.
Solo così si comprende come sia rigorosamente giusto considerare la procreazione come una delle possibilità concrete (vocazionali) che Dio offre alle creature: non è l’unica, né è fondata sul desiderio soggettivo né è esigibile come un diritto.
I coniugi cui non è concesso, per i più diversi motivi biologici (tutti da riportare metafisicamente alle disposizioni della provvidenza divina), di avere figli, non devono far altro che capire quali altre possibilità di amore fecondo Dio ha in progetto per loro. Perché la fecondità spirituale nell’amore di donazione è certamente il progetto di Dio per ciascuno di noi, sia all’interno che al di fuori della famiglia.
Ribellarsi alla provvidenza di Dio, ignorare il suo disegno d’amore su tutte le persone da lui create e sentirsi soli a decidere di sé e degli altri, ha portato molte persone (singoli o coppie) a un corsa sfrenata alla ricerca di espedienti per la procreazione a ogni costo.
Questo atteggiamento è obiettivamente immorale, anche se i protagonisti – in quanto coinvolti dai movimenti di opinione e dalle strutture sociali del nostro tempo – possono essere soggettivamente in buona fede. Particolarmente immorale è non tener conto di quali potranno essere le condizioni di vita del figlio “prodotto” con i metodi artificiali di procreazione oggi tecnicamente disponibili. Per soddisfare un presunto diritto soggettivo si sacrifica con criminale leggerezza il reale diritto oggettivo di ogni figlio a nascere nelle condizioni naturali, quelle previste dal piano divino della creazione, che poi sono le uniche condizioni che garantiscono a ognuno il minimo di benessere biologico, psicologico e spirituale.
CHE COSA DICE LA CHIESA
L’insegnamento della Chiesa in materia di procreazione umana è fondato su alcuni principi immutabili.
In primo luogo, il Magistero afferma la connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato “unitivo” e il significato “procreativo”. Nella contraccezione, ad esempio, l’uomo tenta illecitamente di privare l’atto coniugale della sua apertura alla vita; nelle tecniche di fecondazione artificiale accade esattamente il contrario, poiché si desidera produrre un figlio senza che la coppia compia l’atto ordinato alla procreazione. Di conseguenza, tutte le tecniche artificiali che comportano la sostituzione dell’atto sessuale da parte dei coniugi sono intrinsecamente illecite, e non esiste una ragione al mondo che possa capovolgere questa verità morale.
Il giudizio vale sia per le inseminazioni in vivo, cioè le tecniche in cui il seme dell’uomo viene messo nel corpo della donna sperando in un concepimento; sia per le fecondazioni extracorporee, le quali implicano la generazione dell’embrione umano fuori dalla sede naturale, in laboratorio.
In secondo luogo, la Chiesa ha concentrato la sua attenzione su un aspetto che va oltre l’etica sessuale, e che tocca il terreno dei delitti contro la vita umana. Infatti, sappiamo per certo che le tecniche di fecondazione extracorporea mettono in serio pericolo la vita dell’embrione, e che anzi presuppongono la morte di una grande quantità di concepiti. A queste condizioni, le tecniche devono essere condannate non soltanto perché falsificano la verità del matrimonio, ma perché comportano l’uccisione sistematica, accettata consapevolmente e perfino desiderata di esseri umani innocenti.
Le coppie che non riescono ad avere figli vivono una sofferenza intensa e autentica, ma ciò non significa che in nome di quel dolore sia lecito ricorrere a strumenti che contraddicono la dignità della persona. Il testo fondamentale in materia è l’istruzione Donum vitae, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1987.
La parola al Magistero
«La FIVET omologa è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell’intervento; essa affida la vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e all’uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli. (…) In conformità con la dottrina tradizionale relativa ai beni del matrimonio e alla dignità della persona, la Chiesa rimane contraria, dal punto di vista morale, alla fecondazione omologa in vitro; questa è in se stessa illecita e contrastante con la dignità della procreazione e dell’unione coniugale, anche quando tutto sia messo in atto per evitare la morte dell’embrione umano. Pur non potendo essere approvata la modalità con cui viene ottenuto il concepimento umano nella FIVET, ogni bambino che viene al mondo dovrà comunque essere accolto come un dono vivente della Bontà divina e dovrà essere educato con amore».
(Istruzione Donum vitae, Parte seconda, n. 5).
Bibliografia
Sugli aspetti etico-giuridici della sessualità e della procreazione: Corpo esibito, corpo violato, corpo venduto, corpo donato. Nuove forme di rilevanza giuridica del corpo umano, a cura di Francesco D’Agostino (Ed. Giuffré, 2003, pp. 222, euro 18). Per comprendere come la nozione metafisica di creazione contenga il fondamento e il nucleo stesso della morale, conviene leggere il recente saggio di Mario Pangallo, docente nelle Università Gregoriana e Lateranense: Il creatore del mondo. Breve trattato di teologia filosofica (Casa ed. Leonardo da Vinci, 2004). Il Pontificio istituto “Giovanni Paolo II” per gli studi su matrimonio e famiglia e l’Università cattolica di Milano hanno organizzato il 23 aprile, presso l’Università Lateranense di Roma, un seminario di aggiornamento su Fecondità nell’infertilità nel corso del quale sono intervenuti tra gli altri il prof. Jean-Baptist Edart (La benedizione del figlio: fecondità e sterilità nella Bibbia), la prof.ssa Maria Luisa Di Pietro (La consulenza con la coppia infertile) e la prof.ssa Lia Canicola (Fecondità dalla famiglia nella società).
Dossier: Quando il figlio non arriva
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 39-41