A che cosa servono i numeri quando vogliamo descrivere un fenomeno? A misurare oggettivamente il fenomeno stesso, per evitare che sentimento o pregiudizio ci indirizzino a una percezione distorta della realtà. Sul dato misurato, ovvero sull’esatta descrizione della realtà, si innesta poi il giudizio che dipenderà da altri fattori. Per essere più chiari, facciamo un esempio: Roma è lontana o vicina rispetto a Milano? Dipende da una serie di fattori. Ciò che ci possono dare i numeri è la distanza precisa tra le due città, ovvero 586 chilometri. Dopodiché il giudizio sulla vicinanza o meno dipende da altri fattori, ad esempio dal mezzo di trasporto che intendo usare: sono lontanissime in bicicletta, molto vicine in aereo. Oppure da altri termini di paragone: sono molto vicine in rapporto alla distanza di Milano da Pechino, lo sono molto meno se considero la distanza di Milano da Zurigo.
È molto importante tenere presente questi criteri, soprattutto oggi dove tende a prevalere la percezione e l’opinione sull’oggettività della realtà. E i numeri sono sempre più spesso usati – e piegati – alle esigenze delle idee o delle ideologie. Per cui si usano dei numeri e se ne ignorano altri, o si pone esageratamente l’enfasi su alcuni dati minimizzando quelli che li contraddicono.
Un terreno particolarmente fertile per questo genere di manipolazioni sono le statistiche sociali, a cominciare dalla demografia. Così avviene, ad esempio, che all’improvviso il Corriere della Sera – dopo averci tartassato per anni con gli editoriali di Giovanni Sartori sull’esplosione demografica – abbia scoperto che tra pochi anni la popolazione mondiale comincerà a diminuire. E abbia dedicato il 18 ottobre scorso una paginata ai calcoli presentati da un economista francese, Jean de Kervasdoué, secondo cui gli abitanti del pianeta cominceranno a diminuire a partire dal 2040 dopo aver raggiunto il picco di 8,5 miliardi. Certo, c’è una novità: le stime di de Kervasdoué avvicinano di dieci anni quel punto di svolta che – secondo l’ONU – sarebbe più probabile nel 2050 con il massimo di 9,2 miliardi di persone.
Ma ancora una volta, rincorrendo il titolo a sensazione, la sparata dei numeri non aiuta a comprendere la realtà. O meglio, si spaccia per novità ciò che a demografi e studiosi della materia è noto da sempre: in realtà, la “bomba demografica”, l’aumento incontrollato della popolazione, non c’è mai stata, e il crollo dei tassi di fertilità anche nei Paesi poveri è realtà ben conosciuta da molti anni, al punto che già nella seconda metà degli anni ’90 si sono tenute riunioni sotto l’egida dell’ONU in cui gli esperti delineavano i gravi problemi prossimi venturi per i Paesi in via di sviluppo causati da questa tendenza.
Nel frattempo, però, si è preferito enfatizzare l’aumento effettivo della popolazione mondiale, soprattutto nei Paesi poveri, per poter giustificare politiche globali e investimenti ingenti nel controllo delle nascite.
Inoltre, sebbene la tendenza sia chiara e consolidata, bisogna anche tener presente alcuni fattori quando parliamo di popolazione mondiale e previsioni sul futuro. Leggendo le stime dell’economista francese citato dal Corriere e mettendole a confronto con quelle dell’ONU ci si dovrebbe infatti chiedere come sia possibile arrivare a cifre tanto diverse. Uno spostamento di 7-800 milioni di persone in circa 30 anni non è esattamente una cosa da poco – è come dire l’intera popolazione africana odierna – e potrebbe creare un comprensibile scetticismo su tutte le cifre che vengono presentate. Tanto più che è difficile credere che de Kervasdoué – che di professione non fa neanche il demografo – possa contare su reti proprie di rilevazione dei dati.
È necessario perciò avere chiaro che non solo sono stime quelle che riguardano la popolazione futura, ma anche quelle che riguardano la popolazione attuale. Oggi diciamo infatti che la terra ha raggiunto i 6,9 miliardi di persone, e in un determinato giorno tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 i media ci faranno sapere che sarà nato il “bambino 7 miliardi” (dicendoci pure dove). In realtà, nessuno sa esattamente quanti siamo, anzitutto perché il censimento non viene svolto regolarmente in tutti i Paesi e perché in tante situazioni, soprattutto nelle regioni povere o in situazione di guerra, è oggettivamente difficile avere dati affidabili, vista anche l’implicazione politica della situazione demografica. Ad esempio, in Paesi dove l’equilibrio politico si fonda sulla rappresentanza o sulla predominanza di una tribù sulle altre, è ovvio che eventuali variazioni demografiche siano censurate. O, anche, Paesi che si sostengono grazie agli aiuti internazionali avranno ovviamente maggiore interesse a sovrastimare la propria popolazione. Del resto, se consideriamo che in un Paese come l’Italia, dove le operazioni sono svolte in modo rigoroso, all’ultimo censimento del 2001 si sono registrati margini di errore elevati, poi parzialmente corretti, possiamo immaginare cosa può accadere in Paesi africani o asiatici dove le rilevazioni sono approssimative; o in Cina, dove i funzionari locali sono premiati o puniti anche per gli obiettivi di popolazione raggiunti. Ciò non vuol dire che la cifra di 6,9 miliardi di abitanti del pianeta sia inventata: i demografi usano una serie di strumenti matematici in grado di “correggere” gli errori di valutazione, per cui possiamo dire che quell’ordine di grandezza – sebbene non preciso – è verosimile o comunque vicino alla realtà.
Per quanto riguarda le stime future, il discorso si fa molto più complicato. Sebbene le tendenze demografiche siano chiare e per inversioni di tendenza significative siano necessarie diverse generazioni, le stime sulla popolazione futura poggiano però su tutta una serie di fattori che possono variare e di molto. In Italia è impossibile immaginare che nel giro di dieci-venti anni i tassi di fertilità possano alzarsi dagli attuali 1,3 figli per donna al livello di sostituzione che è di 2,1 figli. Ma le stime sulla popolazione futura si basano anche sul permanere di un certo benessere economico, sull’improbabilità di una guerra o di epidemie mortali, e così via. Una gravissima crisi economica potrebbe avere come conseguenza un drastico aumento dei tassi di mortalità e l’abbassamento dell’aspettativa di vita, tale che le stime sulla popolazione dovrebbero essere corrette ulteriormente al ribasso. In Africa, l’esito della ricerca per trovare cure contro l’Aids potrebbe variare di molto – in un senso o nell’altro – la crescita della popolazione; e lo scoppio di nuove guerre significherebbe soprattutto la perdita di molti uomini in età riproduttiva. Dunque la variazione sulle stime future dipende soprattutto dalla previsione di altre tendenze o eventi che possono avere conseguenze sulla popolazione.
Cosa dire dunque di certo sulla situazione demografica? La tendenza al calo dei tassi di fertilità è globale ed è comunque vicino il momento in cui la popolazione mondiale comincerà a diminuire (che sia il 2040 o il 2050 poco cambia). E questo comporta una serie di problemi economici e sociali che vanno affrontati con urgenza, soprattutto perché si parte con colpevole ritardo. Per i prossimi decenni, inoltre, le diverse variabili che incidono sui fenomeni demografici potrebbero avvicinare ulteriormente il momento del “picco di popolazione” (è ben difficile prevedere qualcosa che faccia riprendere la crescita). La realtà è chiara già da molti anni e non sarà un titolo del Corriere a cambiarla.
PER SAPERNE DI PIÙ…
Riccardo Cascioli, Il complotto demografico, Piemme, 1996.
R. Cascioli – A. Gaspari, I padroni del pianeta, Piemme, 2009.