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12.12.2024

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Il giuramento di Ippocrate
31 Gennaio 2014

Il giuramento di Ippocrate


2500 anni fa, in una piccola isola della Grecia, un medico metteva per iscritto le norme fondamentali della sua arte. Nessuno spazio per aborto e eutanasia. E una struggente nostalgia per la divinità. Che oggi è del tutto scomparsa nelle formule moderne dei giuramenti deontologici

Alla Biblioteca Vaticana si conserva un manoscritto bizantino dell’XI secolo, nel quale si vede un testo greco che occupa il foglio formando una croce. Quel testo emozionante è il Giuramento di Ippocrate, un documento pagano che risale al V secolo avanti Cristo. A scriverlo fu un medico che apparteneva alla corporazione degli Asclepiadi e che visse sull’isola greca di Kos fra il 460 e il 370 a.C.
Ippocrate era un contemporaneo di Socrate, di Democrito, di Tucidide, e visse dunque molti secoli prima dell’avvento di Nostro Signore. Egli ignorava completamente la tradizione e la morale giudaica, e non aveva mai sentito parlare dei dieci comandamenti. Tuttavia, quel copista bizantino dell’anno mille decise di trascrivere il giuramento a forma di croce: perché? Per una ragione molto semplice: Ippocrate è non solo il padre della medicina scientifica moderna, ma l’autore di un documento deontologico che, per ricchezza e profondità, anticipa in modo sorprendente i principali elementi della legge naturale confermati dalla divina Rivelazione. Il Giuramento di Ippocrate è la prova che nell’uomo esiste un’inclinazione naturale verso la conoscenza del bene e del male, come avrebbe magistralmente insegnato nel 1200 Tommaso D’Aquino. Certo, la storia dimostra anche che senza la Rivelazione questa ricerca della verità da parte dell’uomo procede a tentoni, come in una notte caliginosa. Ma si conferma che il bene e la verità possono essere colti, in modo imperfetto, dalla ragione umana.
Ippocrate definì i contenuti dell’arte del buon medico, senza avere a portata di mano né il Vangelo, né il Vecchio Testamento. Innanzitutto, Ippocrate definisce la prima regola di buon senso: evitare di arrecare danno al malato, cosa che la medicina primitiva del tempo rischiava spesso di fare, con azioni maldestre o farmaci inadeguati. In seconda battuta, il Giuramento definisce la illiceità assoluta di due condotte che oggi sono diventate un simbolo del diritto e della medicina moderna: l’aborto e l’eutanasia. 2500 anni fa, un medico ignaro di tutta la moderna scienza medica, ignaro di Gesù Cristo e delle Tavole ricevute da Mosè sul Sinai, proclama che «non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo». Queste condotte non vengono definite immorali, o condannate dagli dei, ma sono bollate come azioni che non rientrano negli atti medici. Il medico certe cose, semplicemente, non le fa. E se le compie, si colloca fuori dal recinto dell’arte ippocratica. E la volontà del paziente? Il medico la deve tenere in considerazione, ma non al punto da piegarsi al suo capriccio, e da tradire il bene oggettivo definito dall’arte medica.
In terzo luogo, il Giuramento stabilisce la barriera invalicabile del rispetto del malato. Fatto fondamentale, se si pensa che il medico è l’unico “estraneo” che può toccare il malato e vederlo nell’intimità: «In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi». Ippocrate definisce la perfetta equivalenza di dignità di ogni essere umano: straordinario, in secoli che ammettevano – soprattutto in Grecia – l’idea della schiavitù e dello schiavo nato secondo natura per essere tale.
Il medico ippocratico si impegna a custodire con innocenza e purezza la sua vita e la sua arte, mantenendo il segreto professionale, quasi sacerdote del corpo che non può raccontare quello che il malato gli ha confidato: «ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell’esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili».
Ippocrate definisce su un piano razionale i contenuti del suo giuramento, ma la fondazione di ogni virtù è – seppure nelle nebbie degli dei “falsi e bugiardi” – sempre di origine soprannaturale. All’inizio del Giuramento, egli chiama infatti a testimoni le divinità pertinenti la sua arte, perché che senso avrebbe giurare se un Dio non esiste a farsi garante di quell’atto sacro? «Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto».
Così ragionavano i pagani. I medici venuti 2500 anni dopo, i nostri contemporanei, cresciuti in una civiltà con radici cristiane, hanno fatto strame del testo di Ippocrate. Oggi il giuramento è stato riscritto, cancellando ogni riferimento esplicito all’aborto. Dio è stato sfrattato – ovviamente per rispetto verso la sensibilità delicata degli atei – e non c’è più traccia nemmeno di Apollo medico. È il freddo, gelido vuoto del laicismo.

Dossier: CRISTO MEDICO

IL TIMONE N. 126 – ANNO XV – Settembre/Ottobre 2013 – pag. 46

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