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14.12.2024

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Il grande rifiuto della Chiesa
31 Gennaio 2014

Il grande rifiuto della Chiesa

Niente comunione eucaristica ai politici cattolici pro aborto. Lo chiedono alcuni vescovi americani. Sulla stessa lunghezza d’onda il cardinale Grinze e il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio Cardinal Ratzinger.

Un politico cattolico pubblicamente impegnato per l’aborto legale può fare la comunione? Questa domanda infiamma da alcuni mesi il dibattito negli Stati Uniti, dove alle presidenziali di novembre si sfideranno due uomini divisi fra loro anche dal tema dell’aborto procurato: il protestante George Bush, che vorrebbe abolire gli effetti perversi della sentenza Roe vs. Wade che negli States ha reso lecito l’aborto nel 1973; e John F. Kerry, cattolico che è invece decisamente schierato sulle posizioni abortiste dei pro-choice.


Due tesi a confronto

Secondo il Cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, «i politici a favore dell’aborto non dovrebbero fare la comunione e il sacerdote dovrebbe negare loro questo sacramento». Parole pesanti come pietre, diffuse in aprile dall’agenzia Zenit, che non lasciano spazio a interpretazioni blande o permissive. «La regola della Chiesa – proseguiva l’autorevole cardinale – è chiara: se la persona non dovrebbe ricevere la comunione, allora non gliela si dovrebbe neanche dare». Nonostante questo intervento chiarissimo, negli Stati Uniti si sono levate voci in disaccordo, anche tra vescovi che pure sono seriamente impegnati contro l’aborto legale. La tesi di alcuni di loro è che la Chiesa non deve interferire nella vita politica, e l’esclusione dalla comunione di candidato alla presidenza della nazione potrebbe essere usata in chiave faziosa e strumentale. Chi ha ragione? Che cosa insegna veramente la Chiesa in questa delicata materia? Vediamo di capire meglio.

L’ostinazione nel peccato grave manifesto

Il canone 915 del Codice di diritto canonico, tra coloro che non sono ammessi alla comunione, ricorda chi «ostinatamente persevera in peccato grave manifesto». Si tratta dunque di capire se un politico cattolico che pubblicamente si pronuncia per l’aborto legale, senza aver cambiato opinione né ritrattato pubblicamente, rientri in questa categoria di fedeli. Il teologo Padre Thomas D. Williams ritiene che tutti e quattro i requisiti previsti dal Codice ricorrano nel caso in questione: si tratta infatti di un peccato grave in senso oggettivo (sostegno all’uccisione legale di esseri umani innocenti); il peccato ha carattere manifesto, pubblico; il fedele persevera nel suo errore; infine, questa insistenza sconfina nell’ostinazione, perché la persona è stata ammonita circa il suo grave errore ma decide liberamente di continuare sulla cattiva strada.
La conclusione è obbligata: un politico che ripetutamente e pubblicamente si schiera per l’aborto di Stato rientra nelle condizioni del Canone 915 per l’esclusione dalla comunione. L’elemento del carattere manifesto del peccato è di fondamentale importanza, e determina una differente disciplina: infatti, in presenza di un qualsiasi peccato grave la Chiesa incoraggia il fedele ad astenersi volontariamente dalla comunione se non si è confessato; invece, in una serie limitata di peccati gravi commessi pubblicamente la Chiesa non soltanto esorta all’astensione, ma proibisce attraverso i suoi vescovi e i suoi sacerdoti al fedele di accedere alla comunione.
In tutto ciò ha un peso non secondario l’elemento dello scandalo, nel senso etimologico della parola greca, cioè “atteggiamento o comportamento di colui che induce altri a compiere il male”. E questo scandalo è grave «quando a provocarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad insegnare e ad educare gli altri» (Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 2285 -2286). Rendere legale l’aborto, o approvare che esso sia già legale, significa diseducare l’opinione pubblica, capovolgendo le categorie del bene del male in senso giuridico e morale.


Il significato di questa esclusione

In un documento riservato alla Conferenza episcopale degli Stati Uniti, il cardinal Joseph Ratzinger esorta i pastori a incontrare personalmente ogni politico cattolico che si schieri pubblicamente a favore dell’aborto e dell’eutanasia. Questo, allo scopo di «informarlo che non si deve presentare per la santa comunione fino a che non avrà posto termine all’oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo che altrimenti gli sarà negata l’Eucaristia». Se, nonostante questa fraterna ammonizione, il fedele si presenta all’altare, «il ministro della santa comunione deve rifiutare di distribuirla».
Si badi bene che questa severa disposizione – in vigore ad esempio per i divorziati risposati civilmente – non ha il significato di una sanzione o di una pena, e neppure presuppone che il sacerdote che rifiuta la comunione formuli un giudizio sulla colpa soggettiva della persona. Egli piuttosto reagisce alla pubblica indegnità di quella persona a ricevere la santa comunione, dovuta alla oggettiva situazione di peccato.
In alcuni ambienti cattolici progressisti è abituale una certa confusione tra il tema dell’aborto procurato e la questione della pena di morte: anche un politico favorevole alla pena capitale – obiettano alcuni – dovrebbe essere trattato alla stregua di un abortista, ed escluso dalla comunione.
Costoro dimenticano che, pur esortando alla pace e alla pietà per i colpevoli, la Chiesa ammette a certe condizioni il ricorso alle armi e perfino alla pena capitale. Mentre sulla guerra e sulla pena di morte ci può essere una legittima divergenza di opinioni fra cattolici, lo stesso non può assolutamente dirsi a riguardo dell’aborto e dell’eutanasia, delitti che non ammettono eccezioni.

Il caso americano e la situazione italiana

Alla fine i vescovi americani hanno preferito non prendere una posizione ufficiale sulla questione della comunione ai politici abortisti, lasciando a ogni singolo pastore il compito di assumere una decisione per la propria diocesi. Ciò non toglie che alcuni vescovi abbiano già da diversi mesi ordinato ai loro sacerdoti che gli abortisti notori impegnati nella cosa pubblica siano esclusi dalla comunione: così si sono espressi l’arcivescovo di Saint Louis Raymond Burke, l’arcivescovo di Newark John Myers, l’arcivescovo di New Orleans Alfred Hughes, il vescovo di Colorado Springs Michael J. Sheridan e l’arcivescovo di Boston Sean O’Malley, città dove vive l’abortista John F. Kerry. Di fronte a queste ammonizioni, si sono registrate le prime conseguenze pratiche: il governatore del New Jersey, il cattolico James McGreevey, ha annunciato che non riceverà più la comunione durante la messa. Le voci profetiche di alcuni vescovi nord americani stanno dunque scuotendo i fedeli dal letargo morale che rende del tutto naturale assistere al gesto pubblico – magari amplificato dai mass media – di un politico favorevole all’aborto legale, all’eutanasia, ai matrimoni gay che riceve la comunione. Speriamo che questa sensibilità – perfettamente in linea con le indicazioni del Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede – prenda piede anche in Italia, dove non mancano casi anche clamorosi di politici “cattolici” che hanno contribuito in maniera decisiva al varo di leggi contro la vita umana e la famiglia, che non hanno mai manifestato un pubblico ravvedimento, e per i quali nessuno ha mai posto il problema della esclusione dalla comunione.

RICORDA

“Quante cose sono necessarie per fare una buona comunione?
Per fare una buona comunione sono necessarie tre cose: 1 ° essere in grazia di Dio; 2° sapere e pensare chi si va a ricevere; 3° osservare il digiuno eucaristico.
Che significa essere in grazia di Dio?
Essere in grazia di Dio significa avere la coscienza monda da ogni peccato mortale”.
(Catechismo di san Pio X, nn. 335-336).

IL TIMONE – N. 36 – ANNO VI – Settembre/Ottobre 2004 – pag. 12 – 13

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