15.12.2024

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Il Kattolico. Il velo del Tempio
31 Gennaio 2014

Il Kattolico. Il velo del Tempio




Dicono i Vangeli che, appena morto Gesù, il velo del Tempio si squarciò. I Vangeli, stringati resoconti storici, ci vengono ripetuti da duemila anni ogni domenica e, come accade delle cose cui si è fatta l’abitudine, finiscono col divenire parte del panorama consueto. Mi si passi l’esempio, è come vedere per la prima volta un bel paesaggio. La sua bellezza desta meraviglia e piacere ma, se si va ad abitare proprio lì davanti, in pochi giorni la meraviglia e il piacere svaniscono. L’abitudine, insomma, uccide lo stupore e un importante dettaglio, a furia di starci sotto il naso, rischia di non venire mai colto. Così è per il velo del Tempio cui accennavamo, un particolare che a noi forse dice poco ma che per gli astanti di allora deve essere stato sconvolgente.
A ben rifletterci, tutto nella morte di Gesù fu anormale, a cominciare da quel condannato che, fino all’ultimo respiro, non aveva smesso di dire di essere il Messia atteso. Già questa ostinazione, sovrumana in chi sta per morire, avrebbe dovuto inquietare coloro che quella condanna avevano provocato: è pensabile che un truffatore truffi anche mentre è in agonia? Poi abbiamo le tre ore di tenebre, da mezzogiorno alle tre (le ore di solito più luminose, specialmente in un giorno di aprile). Non era un’eclisse, sia perché la Pasqua ebraica si svolgeva in plenilunio (dunque, la luna era dall’altra parte della terra e non poteva perciò essere davanti al sole), sia perché le eclissi durano pochi minuti. Infine il velo: «Ed il velo del Tempio si squarciò nel mezzo» (Lc 23,45); «Ed il velo del Tempio si squarciò in due dall’alto in basso» (Mc 15,38).
Matteo, il cui racconto è rivolto agli ebrei (i quali potevano facilmente verificarlo, magari chiedendo ai più anziani), dice di più: «Ed ecco che il velo del Tempio si squarciò in due, dall’alto in basso, e la terra si scosse, e le pietre si spezzarono, e si aprirono le tombe, e molti santi, i cui corpi riposavano, risuscitarono e, usciti dalle tombe, dopo la sua risurrezione entrarono nella città santa e apparvero a molti» (27,51). Qualcuno si stupì di quel che accadeva, in primis il centurione e il suo manipolo sotto la croce. Matteo: «Il centurione e gli altri che con lui stavano a guardia di Gesù, vedendo il terremoto e quanto era accaduto, furono presi da terrore, dicendo: “Veramente costui era Figlio di Dio”» (27,54). Già: avevano sentito chiaramente il Nazareno raccomandare il suo spirito al Padre prima di morire. «E tutti i gruppi che avevano assistito a questo spettacolo, considerando le cose avvenute, se ne tornarono percotendosi il petto» (Lc 23,48). Costoro, tuttavia, essendo sul Golgota, non potevano sapere quel che accadeva al velo del Tempio. Ma di certo lo seppero i sacerdoti, e a maggior ragione quel Sinedrio che aveva fatto di tutto perché Gesù finisse in croce.
Il cosiddetto Velo del Tempio, infatti, non era una tenda qualsiasi, e non solo per il suo aspetto simbolico. Di veli, nel Tempio di Gerusalemme, ce n’erano due: uno stava davanti all’altare dell’incenso, dove i sacerdoti accedevano ogni giorno; l’altro separava la zona riservata ai sacerdoti da quella del Santo dei Santi, nella quale poteva entrare solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno nel Giorno dell’Espiazione. Fu quest’ultimo il velo che si squarciò. E i sacerdoti del cortile dell’incenso lo trovarono diviso in due, dall’alto in basso. Ma la meraviglia sta nel fatto che si trattava di un drappo enorme. Alto quasi venti metri e spesso dieci centimetri. Dice lo storico Flavio Giuseppe che neanche la forza di due cavalli, uno di qua e uno di là, sarebbe riuscita a lacerarlo. Per tirarlo giù, arrotolarlo e portarlo a lavare ci volevano decine di uomini (pare una settantina). Perché un velo (Parokhet, questo il suo nome in ebraico) e non una normale è più pratica porta? Perché così obbligava la Scrittura: «Farai poi una cortina di porpora violacea e scarlatta, di cremisi e di lino fine ritorto, lavorato a ricamo, con cherubini, e l’appenderai a quattro colonne d’acacia ricoperte d’oro, con ganci d’oro e posate sopra quattro basi d’argento. Metterai la cortina sotto i fermagli; e, al di là della cortina, nell’interno, vi collocherai l’Arca della Testimonianza; e la cortina servirà da divisione tra il luogo Santo e quello Santissimo » (Es 26,30). Infatti, ancora oggi nelle sinagoghe si usa un velo Parokhet, che fa da sipario sulla parte anteriore dell’Aron Kodesh, dove si conservano i rotoli della Torah. Ma la lacerazione del Velo del Tempio di Erode, all’ora della morte di Cristo, dovette per forza essere un fatto che destò sensazione e la cui notizia fece il giro di Gerusalemme. La città, ricordiamolo, in quei giorni era affollatissima per la ricorrenza della Pasqua, cui accorrevano ebrei da ogni parte del mondo.
E vediamolo da vicino, questo fatto impressionante, avvenuto, oltretutto, in concomitanza con un terremoto e mentre Gerusalemme era ancora avvolta dal misterioso oscuramento del sole. Perché gli evangelisti, senza tema di smentita, affermano che il Parokhet si strappò «dall’alto in basso»? Evidentemente il drappo era, sì, lacerato ma non del tutto: la parte più bassa, quella che toccava terra, doveva essere rimasta intatta. Dunque, lo strappo era partito dall’alto. Ma poteva ciò essere accaduto per effetto dello scuotimento tellurico? Difficile, se non impossibile. I terremoti spezzano gli oggetti rigidi, pietre, travi, vetri. E un drappo, per quanto ampio, è morbido e flessibile. La testimonianza unanime che il Parokhet si squarciò dall’alto in basso, per quanto laconica ed essenziale, fa pensare ad alcune cose. Una: il velo non era caduto per terra ma era ancora in piedi. Due: lo squarcio non era artificiale, perché, anche adoperando diverse pariglie di cavalli, si sarebbe proceduto necessariamente nella parte bassa. Tre: che parecchi uomini robusti si siano arrampicati per venti metri onde procedere al taglio dall’alto è semplicemente assurdo, dato il luogo e le circostanze. Non solo: sarebbe mancato il movente. E ricordiamoci che lì potevano entrare solo i sacerdoti. Infine, sappiamo che il Parokhet era una tenda, plausibilmente agganciata a occhielli metallici che scorrevano in una sbarra orizzontale o fornita essa stessa di occhielli che scorrevano in una sbarra oppure direttamente (ma non permanentemente) fissati all’architrave. Per tutto ciò, uno squarcio repentino e dall’alto non poteva essere che di natura soprannaturale. Qualcuno ha osservato che il fatto richiama lo stracciarsi delle vesti del Sommo Sacerdote quando sentì il Nazareno ammettere che, sì, il Messia era davvero lui. Adesso era Dio stesso che, alla morte di suo Figlio, stracciava la veste che Lo ricopriva (il Santo dei Santi era la sede della Presenza di Dio).
Dio, insomma, se ne andava dal suo Tempio? Se dobbiamo credere al solito Giuseppe Flavio, non ancora. Nella Guerra giudaica scrive che l’abbandono definitivo del Tempio da parte di Dio avvenne esattamente trentatré anni dopo, nel 66. Nella Pentecoste di quell’anno a Gerusalemme si udì nel Tempio una moltitudine di voci che gridavano «Noi ce ne andiamo da qui!». Pochi mesi dopo scoppiò la rivolta antiromana che doveva concludersi nel 70 con la distruzione del Tempio.
Vale solo la pena di accennare al dato che il Tempio, da allora, non fu più ricostruito. E non fu fatto perché mai più si poté. L’unico tentativo seriamente intenzionato fu quello dell’imperatore Giuliano, non a caso detto l’Apostata, nel 362. Giuliano, per fare un dispetto ai cristiani, non solo permise agli ebrei di ricostruire l’antico Tempio ma finanziò pure l’opera. Narra lo storico Ammiano Marcellino che l’incarico fu dato ad Alipio di Antiochia, che era stato prefetto vicario in Britannia e che operò di concerto col governatore della provincia. Solo che, durante i lavori per lo scavo delle fondamenta, «paurosi globi di fuoco» eruppero dal terreno bruciando gli operai. E non una volta sola. Alla fine, poiché i lavoranti erano sempre ricacciati indietro da queste vampate improvvise, fu giocoforza mollare l’impresa e chiudere il cantiere. L’imperatore, poi, fu subito preso da più gravi incombenze, soprattutto quella campagna contro i Persiani nella quale doveva trovare la morte. Tornati gli imperatori cristiani, naturalmente non se ne parlò più. Nel VII secolo Gerusalemme fu occupata dai Persiani, che però ci rimasero poco perché cacciati dai bizantini dell’imperatore Eraclio. Poi fu il turno degli arabi musulmani. I quali, ancora oggi, hanno sul luogo in cui sorgeva il Tempio la moschea di Al-Aqsa, uno dei loro luoghi più sacri. Pare che un eventuale nuovo Tempio non possa sorgere altro che là, nel punto esatto in cui Abramo stava per sacrificare Isacco. Ma questa è un’altra storia…

IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 20 – 21

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