C'è da chiedersi se ci sia qualcosa sotto l’ostinazione con cui alcuni (ripeto, alcuni) esponenti dell’ambiente ebraico insistono nell’antipatia per Pio XII. Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, per esempio, a proposito della ventilata beatificazione di papa Pacelli così se ne è uscito in un’intervista su La Stampa il 13 aprile 2007: «Siamo molto amareggiati, del resto come potremmo noi ebrei mostrare entusiasmo per la beatificazione di Pio XII?». Si noti il plurale. Ma siamo sicuri che tutti gli ebrei la pensino così? Parrebbe di no. La mole di testimonianze a favore di Pio XII è sempre stata impressionante, e vanta calibri come Golda Meyr, Einstein, Pinchas Lapide, tanto per nominare i primi che vengono in mente. Eppure, sembra un dialogo tra sordi, quello tra i documenti via via sfornati dalla Santa Sede e alcuni (ripeto, alcuni) cui il fatto storico dell’odio dei nazisti per Pio XII, il fatto storico degli importanti documenti forniti da quel Papa al tribunale di Norimberga, il fatto storico dell’operazione orchestrata dal Kgb sovietico tramite il dramma teatrale Il Vicario di Rolf Hochhuth, questi fatti storici scorrono addosso come olio senza lasciare traccia. Non fanno una piega. E ripetono monotoni il mantra dei «silenzi» di Pio XII sulla Shoah.
Come è noto, anche il Museo israeliano dell’Olocausto, Yad Vashem, ha finito per echeggiare il mantra in questione, rischiando nell’aprile scorso l’incidente diplomatico col Nunzio Apostolico (poiché in quel museo la didascalia sotto la foto di Pio XII ribadiva i «silenzi» il Nunzio si era rifiutato di partecipare alla «giornata della memoria»). Il recente «caso Toaff», che ha costretto un internazionalmente stimato studioso ebreo a ritirare il suo libro Pasque di sangue edito dal Mulino (con non piccolo danno economico per l’editore), ha mostrato che certe fatwe sono efficaci (anche se hanno finito col dare al libro di Toaff una risonanza che, senza polemiche, non avrebbe avuto). E tuttavia non si capisce bene qual vantaggio l’antipatia per Pio XII intenda procurarsi (antipatia tardiva, va detto, perché la questione dei «silenzi» di Pacelli è spuntata come un fungo a mezzo secolo di distanza dai fatti, quando i testimoni a favore del Papa erano ormai morti) opponendosi alla sua beatificazione (Di Segni: «La beatificazione di Pio XII è oggettivamente un ostacolo al dialogo»). Già, come quella di Léon Dehon, fondatore dei dehoniani, e quella di Isabella la Cattolica, la regina dell’impresa di Colombo. Contro quest’ultima, come si sa, si sono accaniti anche alcuni (ripeto, alcuni) musulmani. E anche qui la Chiesa ha abbozzato.
La stessa Chiesa, oggi, è costretta ad essere molto, molto prudente e circospetta quando parla di islam. Per evitare guai ai cristiani che vivono in zone a rischio. Così fece quando la Germania nazista aveva in sua mano tutta l’Europa continentale. Che con certe minoranze diciamo nervose è bene essere rispettosissimi è noto anche a Bertinotti, che in qualità di Presidente della Camera ha rimosso la tela raffigurante la battaglia di Lepanto dal suo ufficio. Senza che, peraltro, i musulmani glielo abbiano chiesto. Naturalmente, è lo stesso Bertinotti che esalta il 25 aprile senza curarsi se ciò ai tedeschi possa dar fastidio. Ma si sa com’è: oggi come oggi si fa presto a passare per antisemiti, omofobi, intolleranti e quant’altro. Dunque, bocca cucita e occhio ai terreni minati.
Ma addosso a Pio XII non danno solo alcuni ebrei. Il mai nascosto anticomunismo di quel Papa non poteva non esporsi anche a idiosincrasie postume da parte di «laici». Nel maggio 2007, per esempio, ha avuto (guarda un po’) gran risalto mediatico, anche prima di uscire in libreria, il libro di Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa (Einaudi). Quel che ha attirato le attenzioni di stampa e televisione è soprattutto un punto: Pacelli, una volta succeduto a Pio XI, avrebbe censurato un discorso di papa Ratti molto duro col fascismo. Il vaticanista Andrea Tornielli, firma del Timone e autore di una ponderosa biografia di Pio XII, ha demolito questa tesi in una paginata su Il Giornale del 30 maggio 2007: nessuna censura, solo un atto dovuto. Un Papa non può certo far suo un discorso (non un documento, si badi) che l’estensore non può più pronunciare. Tra l’altro, si trattava di un discorso preparato per la festa della Conciliazione (i Patti Lateranensi, firmati nel 1929 dal cardinal Gasparri e da Mussolini), festa poi ritenuta «fascista» nel dopoguerra resistenziale e cassata. Tornielli ha dimostrato che quel discorso, anzi, era stato rivisto dall’allora Segretario di Stato su richiesta dello stesso Pio XI. E il Segretario di Stato era proprio Eugenio Pacelli. Quando muore il Papa, il Segretario di Stato decade. Il cardinale camerlengo (sempre Pacelli) non può prendere iniziative, solo reggere gli affari correnti in attesa dell’ele-zione del nuovo Papa. Quando Pacelli divenne Pio XII, perché avrebbe dovuto pronunciare un discorso scritto dal suo predecessore? Un nuovo Papa fa nuovi discorsi, specialmente se la situazione è mutata. Ma è inutile insistere, perché i mantra, per definizione, sono sordi, ossessivi e ripetitivi.
Rimane la domanda: perché alcuni (ripeto, alcuni) ce l’hanno tanto con Pio XII? Non è una domanda oziosa. Se la è posta anche lo storico Matteo Napolitano, intervistato il 16 aprile 2007 a proposito del caso Yad Vashem dall’agenzia Zenit (Napolitano insegna Storia delle Relazioni Internazionali all’uni-versità, è delegato del Pontificio Comitato di Scienze Storiche presso l’International Committee for the History of the Second World War, ha scritto con Andrea Tornielli, per la Piemme, Il Papa che salvò gli Ebrei). Ecco la domanda: «La posizione di Yad Vashem lascia insoluto un problema: come mai gli ebrei contemporanei di Pio XII, che ebbero occasione di contatti col Vaticano e con la Chiesa cattolica, sono latori di un’interpretazione addirittura opposta a quella delle autorità israeliane e di molti ebrei di oggi? Come mai questo scollamento culturale? Che cosa legava gli ebrei di allora alla Chiesa cattolica, in un modo tale da considerare senza mezzi termini Pio XII il salvatore di tante vite ebraiche? Qual è l’intento ultimo degli ebrei di oggi, di una generazione che non ha vissuto la Shoah, nei confronti della memoria di Pio XII?». Già, bella domanda.
IL TIMONE – N.65 – ANNO IX – Luglio/Agosto 2007 pag. 20-21