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12.12.2024

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Il mendicante di Dio
31 Gennaio 2014

Il mendicante di Dio


100 anni fa nasceva “Padrelardo”. È considerato il più grande mendicante del XX secolo. Ha creato un’opera che aiuta la Chiesa in quasi tutto il mondo. Il suo esempio non è mai morto

È stato descritto come “il più grande mendicante del secolo XX”, il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) – Il Papa venuto dall’Est comunista – lo ha definito «un eccezionale apostolo della carità», ma a tutti era noto con l’umile soprannome di “Padrelardo”. Nel centenario della nascita, e nel decennale della scomparsa, padre Werenfried van Straaten resta un modello di fedeltà alla Chiesa e di esercizio eroico delle virtù, come bene testimonia l’opera immensa che ha lasciato.

Sul modello di un grande apostolo
Philipp (questo il suo vero nome) van Straaten nasce il 17 gennaio 1913 a Mijdrecht, nei Paesi Bassi. Desiderava diventare insegnante e per questo nel 1932 s’iscrisse all’Università di Utrecht, ma la sua vera vocazione – lo scoprì in seguito – era tutt’altra. Chiamato da Dio al suo servizio come religioso, nel 1934 lasciò gli studi universitari ed entrò nell’abbazia di Tongerlo, in Belgio, tra i Canonici regolari premostratensi, l’ordine fondato nel 1120 dal monaco renano san Norberto di Xanten (1080- 1134) a Prémontré, in Piccardia (Francia). Philipp assunse il nome religioso di Werenfied in onore di san Bonificio (680 ca.- 755), al secolo Wynfrith, ed evidentemente già la Provvidenza gli parlava. Il monaco benedettino sassone Wynfrith, infatti, nato in quella che poi sarà l’Inghilterra, è passato alla storia come grande evangelizzatore della Germania: e proprio dalle necessità della Germania, messa in ginocchio dall’uragano hitleriano e dalla Seconda guerra mondiale, muoverà i primi passi l’apostolato mondiale di padre Werenfried. Ancora una volta, però, in maniera del tutto diversa rispetto alle aspettative umane.
In quei primi anni di attività, infatti, un grave episodio di tubercolosi aveva segnato profondamente il fisico del giovane Werenfried, che così, reso debole dal male, fu impiegato come segretario dell’abate nell’impossibilità di essere inviato in missione. Eppure di lì a qualche anno Werenfried, irrobustito da una fede che ne ha sempre governato anche il corpo, si sarebbe invece lanciato in una iniziativa radicale e nuova, perfettamente confacente alle vere necessità del tempo in cui gli è stato dato di vivere.

Cominciò da dove nessuno osava iniziare
Il “secolo delle idee assassine” – come lo chiama la traduzione italiana di un importante libro dello storico statunitense Robert Conquest –, cioè il Novecento, diffondeva abbondantemente già da tempo morte, distruzione e depravazione nel mondo. La Seconda guerra mondiale aveva squassato popoli e nazioni. Il Terzo Reich nazionalsocialista aveva toccato l’abisso dell’abiezione. E uguale e contrario a quello era sorto il social comunismo, verso il quale il “mondo libero” aveva però chiuso colpevolmente non uno ma entrambi gli occhi nel corso della guerra antitedesca e addirittura sin dal suo sorgere, all’ora di quella rivoluzione bolscevica del 1917 che fu sia l’effetto sia il cuore dell’«inutile strage» – come la bollò Papa Benedetto XV (1914-1922) – compiuta con la Prima guerra mondiale, matrice, nelle sue distruzioni e nei suoi torti, della Seconda.
Davanti a questa tragedia, padre Werenfriednon rimase con le mani in mano. Tutto ebbe inizio nel Natale del 1947. Il monaco scrisse un articolo “da antologia” in cui, ragionando della pace autentica fra i popoli, rievocava il dramma di Maria e di Giuseppe che a Betlemme nessuno riesce o vuole ospitare per poi paragonarlo a quello vissuto in quel momento da 14 milioni di civili tedeschi, 6 dei quali cattolici, cacciati dai territori dell’Est che per breve tempo erano stati annessi al Terzo Reich e ora ospitati in campi profughi allestiti dagli Alleati spesso là dove prima sorgevano i lager nazisti. In quel frangente, i tedeschi, accomunati più a torto che a ragione ma per forza di cose alle armate hitleriane e quindi detestati da tutti, erano davvero gli “ultimi”.
Padre Werenfried si prodigò per loro. Spingendosi là dove nessuno osava, prese a predicare in favore dei “nemici” tedeschi ai propri connazionali comunque impoveriti dalla guerra e in breve tempo, facendo breccia nel loro cuore mediante quella oratoria di fuoco che negli anni lo avrebbe reso celebre, riuscì a raccogliere grandi quantità di cibo da devolvere ai profughi, soprattutto carne di maiale. Nacque così “Padrelardo”, il sacerdote “leggendario” che riusciva a muovere i cuori più duri e ad aiutare i più improbabili tra gli uomini.
Il monaco si rese però presto conto che a quei disperati serviva anche, e forse soprattutto, la cura dello spirito. Parimenti, assisteva all’intensificarsi quotidiano della persecuzione anticristiana nell’Est europeo già nazista e ora comunista, a cominciare da preti, suore e frati. Serviva dunque qualcosa d’altro, qualcosa che il mondo del tempo nemmeno s’immaginava. Una nuova evangelizzazione dell’Europa naufragata. “Padrelardo” cercava dove poteva camion e mezzi di fortuna, li trasformava in “cappelle volanti” e li lanciava per lande desolate in cerca di anime da sorreggere e confortare, spesso portando in certi luoghi remoti il primo sacerdote che si fosse mai visto da anni. Oppure incaricava preti in motocicletta di sfidare difficoltà e intemperie per portare la parola di Dio fino ai confini della terra. Nacque così, in quegli anni lontani e bui, il nucleo di quello che dal 1956, fissando la propria sede a Königstein, in Germania, sarà ufficialmente l’opera Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS). Fu in quello stesso 1956 che l’ACS salì del resto alla ribalta internazionale, distinguendosi per il coraggioso aiuto “controcorrente” profuso in favore della Chiesa cattolica perseguitata in Ungheria che, in quell’anno di rivolta anticomunista, aveva cercato in qualche modo di uscire dalle catacombe per essere poi subito nuovamente schiacciata, con ferocia ancora maggiore.

La diversità dell’uomo di Dio
L’ACS, saldamente capitanata da padre Werenfried, divenne il nemico numero uno dei persecutori dei cristiani e presto la sua opera si estese, oltre l’Europa, al resto del mondo.
Il comunismo, infatti, era progressivamente uscito dall’Europa, conquistando milioni di anime e migliaia e migliaia di miglia quadrate in Asia, Africa e America Meridionale. Dove non era arrivato il comunismo imperava invece l’intolleranza musulmana dei Paesi a maggioranza islamica o retti da regimi ispirati alla legge coranica. Poi c’erano i Paesi del fanatismo nazionalista indù, non meno pervicace, e per finire le aree del mondo dove la miseria rischiava di mettere a repentaglio la fede delle moltitudini. Nel cosiddetto “mondo libero”, invece, andava facendosi largo un anticristianesimo più sottile e perverso, fatto di relativismo, irrisione e indifferenza.
Dagli anni 1960 agli anni 1980, quindi, l’ACS ha diversificato i propri modi di azione, intervenendo ovunque nel mondo ci fosse da dare una mano ai cristiani in difficoltà, una chiesa da riparare o da costruire, un seminario da allestire, Bibbie da diffondere, centri culturali di fedeli da aiutare, buona stampa da appoggiare, e il tutto nella maggior parte dei casi in modo clandestino, attraverso il contributo di decine e decine di volontari e di collaboratori che spesso hanno rischiato di persona.
Senza mai tradire il proprio carisma originario, infatti, “Padrelardo”, nemico giurato dei totalitarismi e ligio al messaggio di Fatima, ha saputo intuire l’unitarietà dell’offensiva anticristiana nel Novecento, che pure si è manifestata in forme assai diverse, agendo in sintonia perfetta con il magistero pontificio, tanto quanto lo stesso Magistero pontificio è stato, in questa riflessione profonda sul secolo XX, all’avanguardia del pensiero mondiale.
L’ACS ha sempre avuto vocazione pastorale: così disse nel 1987 il beato Giovanni Paolo II e così ha sempre ripetuto sino all’ultimo “Padrelardo”. Ma l’efficacia appunto eminentemente pastorale di un’opera simile ha potuto manifestarsi solo per la sempre lucida fedeltà al Magistero mostrata dalla sua guida, al servizio del quale, nei momenti facili e in quelli difficili, durante la Guerra fredda o negli anni dell’Ostpolitik, “Padrelardo” si è sempre inchinato umile e obbediente. La Chiesa lo ha ricompensato riconoscendo l’ACS come “pio sodalizio” nel 1964, come “associazione pubblica universale di diritto pontificio” nel 1984 e come “fondazione di diritto pontificio” nel 2011.
«La carità», ha avuto occasione di dire “Padrelardo”, scomparso il 31 gennaio 2003 a Bad Soden, in Germania, «non è fatta di belle frasi: vuole dire fatti e sacrifici ». Quant’è diversa la sollecitudine per i fratelli che hanno gli uomini di Dio dal vaniloquio dei “grandi del mondo”.

Ricorda

«Gli uomini sono migliori di quanto si pensi. Essi attendono soltanto la parola ardente che infiammi il loro cuore. Sono disposti all’eroismo se noi abbiamo il coraggio di esigere da loro sacrifici veri e di convincerli che tali sacrifici sono necessari per il Regno di Dio».
(P. Werenfried van Straaten)


Per saperne di più…

www.acs-italia.org

IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 52 – 53

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