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12.12.2024

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Il mistero della Trinità
31 Gennaio 2014

Il mistero della Trinità

 

“Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo” cominciò ‘gloria!’ tutto il paradiso, sì che m’inebriava il dolce canto.”
Paradiso XXVII, 1

 

 

Dopo il triennio dedicato allo Spirito Santo, al Figlio e poi al Padre, l’anno duemila è dedicato al Mistero della SS Trinità. Questo perché il Giubileo riassume tutta la storia della salvezza e, come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Tutta l’Economia divina è l’opera comune delle tre Persone divine” (CCC 258). Tuttavia si sta parlando poco della Trinità. Per paura di non esserne capaci? Di non essere compresi e accettati? Sarebbe grave, anche se bisogna ammettere che dinanzi al Mistero la nostra mente preferisce sgattaiolare via. Eppure, sebbene la fede nella Trinità affonda la sua antichissima origine nella predicazione apostolica e nelle prime catechesi battesimali, l’idea di un Dio in tre Persone genera da sempre smarrimento, talvolta anche scandalo: se il secondo deriva dal non avere fede, il primo deriva però dall’averne poca. Certo dobbiamo fare i conti anche con le nostre imperfette rappresentazioni mentali: la parola persona evoca subito in noi l’immagine di un uomo, per cui tre uomini certo non possono essere uno. A volte la nostra immaginazione oscilla tra una Trimurti politeista e l’immagine di un solo Dio ma con tre teste. Occorre invece innanzitutto sgombrare il campo da equivoci ricordando che il termine persona in filosofia indica quella realtà che permette all’essere di dire di se stesso: lo sono. Il Dio della Rivelazione biblica non è un dio impersonale come nel buddismo o nel panteismo, ma, oltre a possedere l’essere, sa di essere, ha una coscienza di sé, una volontà e un io che gli permette appunto di essere persona. Ora se noi prendiamo queste due parole, l’io e il sono (che poi sono alla base di quel nome di Dio rivelato a Mosè, JHWH) potremmo dire che la prima esprime la Persona, e la seconda l’Essere. L’Essere, nella sua totalità, è quanto le tre Persone divine hanno in comune. “Il Padre è tutto ciò che è il Figlio, il Figlio tutto ciò che è il Padre, lo Spirito Santo tutto ciò che è il Padre e il Figlio, cioè un unico Dio quanto alla natura” (XI Concilio di Toledo del 675). E questo quanto all’Essere. Quanto alle Persone invece, queste “sono realmente distinte fra loro”, “non sono semplicemente nomi che indicano modalità dell’essere divino” (CCC 254). Del resto un Dio che non fosse trino, sarebbe un Dio solitario privo di quell’attributo che più ce lo identifica: l’Amore. L’Amore richiede non solo l’esistenza di un io che ama, ma anche quella di un tu che viene amato. E poiché l’Amore tra il Padre e il Figlio, essendo un amore divino, è perfetto (tanto che da essere esso pure Dio, in quanto solo Dio è perfetto) ogni distanza tra le Persone è pienamente colmata. “Tutto è una sola cosa in loro, salvo la relazione” (Concilio di Firenze del 1442). A questo punto possiamo concludere con le bellissime parole che San Gregorio Nazianzeno rivolse ai catecumeni di Costantinopoli (Orationes): “Innanzi tutto conservatemi questo prezioso deposito, per il quale io vivo e combatto, con il quale voglio morire, che mi rende capace di sopportare ogni male e di disprezzare tutti i piaceri: intendo dire la professione di fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Io oggi ve la affido. Con essa fra poco vi immergerò nell’acqua e da essa vi trarrò. Ve la dono, questa professione, come compagna e patrona di tutta la vostra vita”.

IL TIMONE – N. 7 – ANNO II – Maggio/Giugno 2000 – pag. 26

 

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