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13.12.2024

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Il mistero di Torino
31 Gennaio 2014

Il mistero di Torino

 

 

 

Lì per lì a un siciliano come me un libro su Torino scritto da un emiliano potrebbe non interessare.
Se quell’emiliano non fosse Messori. Infatti, aprendolo a caso, trovo che (p. 299) «c’è tutta una Torino da scoprire, tra Otto e Novecento. Ed è la Torino dei credenti». Più sotto: «Del popolo socialista e comunista di Torino sappiamo tutto, sin nelle irrilevanti minuzie; delle élite liberali quasi altrettanto; da sessant’anni, per studiare una ventina di mesi tra ’43 e ’45, è al lavoro un Istituto storico per la Resistenza, tanto che ci si chiede che cosa ci sia ancora da studiare. Ma del popolo cattolico – che pure fu maggioritario – non sappiamo quasi nulla, come fosse irrilevante».
Bene, ce ne è quanto basta per incoraggiare la lettura di Il mistero di Torino, due ipotesi su una capitale incompresa, di Vittorio Messori e Aldo Cazzullo (Mondatori). Si tratta di un libro in due parti, ognuna scritta da uno dei due autori, in certi passaggi (come, per esempio, sul tema del Risorgimento) addirittura in controcanto. Naturalmente, per l’idem sentire, la parte scritta da Messori è quella che mi ha attirato di più (Cazzullo, del resto, non sarà affatto penalizzato da questa mia recensione, perché non si può comprare mezzo libro). Comincio subito col dire che, per chi ama il bello scrivere, gli amarcord di Messori sono da antologia. Per chi non aveva molta simpatia per maîtres à penser nazionali e icone del laicismo come i torinesi Bobbio, Firpo e Galante Garrone, i sassolini dalle scarpe che Messori si toglie sono impagabili. Per i golosi di curiosità storiche, poi, un ossessivo ricercatore di “chicche” come Messori non delude mai, nemmeno qui. Infine, per i cattolici, Torino non è una città qualsiasi: qui nacque l’Italia anticattolica delle leggi Siccardi e Rattizzi, e qui c’è stata l’esplosione della «santità sociale» dei Don Bosco e dei Cottolengo (caso rarissimo se non unico di cognome diventato sostantivo). Nel 1855, mentre il parlamento torinese discuteva l’espropriazione dei beni ecclesiastici, Don Bosco fece trascrivere al giovanissimo S. Domenico Savio le maledizioni dei duchi di Savoia sui loro discendenti che avessero osato toccare le loro donazioni alla Chiesa. Il tutto fu inviato a Vittorio Emanuele II. Tra parentesi, i vescovi piemontesi avevano invano offerto la somma che il governo intendeva ricavare da quelle espropriazioni. Non ricevendo risposta, don Bosco riferì uno di suoi celebri sogni. Che si avverò subito: nel giro di pochi giorni morirono improvvisamente la madre, la moglie e l’unico fratello del re. Ripresa la discussione della legge, interrotta dai funerali continui, il presidente della Camera, Lanza (sotto il cui governo avverrà poi la presa di Roma), dovette sospendere subito per l’improvvisa morte della madre. Negli ultimi giorni di approvazione della legge morì il figlioletto del re. Messori ricorda anche il direttore del cattolico «L’Armonia», il battagliero don Margotti, inventore della formula «Né eletti né elettori» (una parte dei suoi scritti la si può leggere nel recente Risorgimento anticattolico di Angela Pellicciari, Piemme), eletto deputato in elezioni vinte da cattolici ma che Cavour fece annullare.
Ma non c’è solo Risorgimento, naturalmente, nel libro. Anzi, questo vi occupa una minima parte.
Quel che più colpisce sono le curiosità cattoliche. Come l’ingegnere progettista della mitica Topolino, che era Alberto Martelli, ora Beato. O il cattolicissimo professor Gaetano De Sanctis, uno dei dodici (su milleduecento) che rifiutarono il giuramento di fedeltà al fascismo e poi, dopo la Liberazione, si oppose all’epurazione dei colleghi fascisti. Sua la frase che i cattolici dovrebbero tenere appesa al capezzale: «La tirannide non poggia tanto sulle baionette dei suoi satelliti, quanto sulla viltà dei suoi avversari». Chi sapeva che il regolamento dei neofondati Carabinieri era stato stilato da un gesuita torinese che aveva ricalcato il perinde ac cadaver in quei motti «nei secoli fedele» e «usi a obbedir tacendo»? E poi, contro la vulgata (ahimè, ancora corrente) che vuole il capitalismo parente stretto del calvinismo: «in realtà, le aree europee di più antica industrializzazione sono quelle del cattolicesimo più tosto, dal Biellese alla Ruhr, dalla Boemia ai Paesi Baschi o alla Catalogna o al Lionese o alle Fiandre Belghe». È vero, il capitalismo nasce nell’Italia del Duecento. Nell’Ottocento, quando nacque il mito delle nazioni «avanzate» perché protestanti, le superpotenze erano le cattoliche Francia e Austria e l’ortodossa Russia. Oggi, le regioni più ricche della Ue sono la Lombardia e la Baviera. Ma è un discorso che ci porterebbe lontano.
Torniamo al primato torinese della sessantina di santi, beati, venerabili e servi di Dio, tutti vissuti tra Ottocento e Novecento, un primato mondiale. Forse perché, come dice l’Apostolo, dove abbondò il peccato sovrabbondò la Grazia? Sembra sospettarlo Messori, che però lo fa dire al Papa: Giovanni Paolo II, in visita a Torino nel 1988, imbarazzò i suoi addetti-stampa con quel suo grido, da temperamento mistico, «Torino, convertiti! ». Disse, testuale: «La città di Torino era per me un enigma, ma dalla storia della Salvezza sappiamo che là dove ci sono i santi entra anche un altro che non si presenta col suo nome. Si chiama il Principe di questo mondo, il demonio».
Già Messori, infatti, dedica un capitolo alla città che, unica, dicono faccia parte di ben due «triangoli magici», uno «bianco» con Lione e Praga, e uno «nero» con Londra e San Francisco.
Non a caso Nostradamus citò molte volte quello che, ai suoi tempi, non era che un villaggio marginale. Ma c’è anche una Torino, e un Piemonte, insorgenti contro napoleone e i giacobini; c’è una Torino del venerabile Pio Bruno Lanteri, fondatore delle Amicizie Cristiane, antenate del «Timone» e delle sue iniziative apologetiche; c’è una Torino dei pellegrinaggi aziendali della Fiat a Lourdes (poi interrotti dal cardinale «rosso» Pellegrino). E c’è una Torino di intellettuali già fascistissimi diventati tutti «laici, democratici e antifascisti, come vuole la terna che abilita l’autorevolezza». Infine, a infittire il mistero, una Torino degli scrittori suicidi (Salgari, Pavese, Levi, Lucentini) e di Nietzsche che vi finì pazzo.
Insomma, una città enigmatica su cui un kattolico dovrebbe riflettere.

BIBLIOGRAFIA
Vittorio Messori-Aldo Cazzullo, Il Mistero di Torino. Due ipotesi su una capitale incompresa, Mondatori, Milano 2004, pp. 498, € 18,50.

 

 

 

 

 

 

IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 20 – 21

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