Uno dei miti più diffusi, che ha attraversato buona parte del Novecento ed è ancora vivo ai giorni nostri, è senz’altro quello del “socialismo buono” o “umano”. Il riferimento è ovviamente alle “grandi socialdemocrazie nord-europee”, fulgido esempio di governi in grado di risolvere tutti i problemi dei propri cittadini, contrapposte al “socialismo cattivo”, ovvero il comunismo di marca sovietica o maoista. Insomma, nell’immaginario collettivo, il socialismo funziona ottimamente, peccato la sua immagine sia stata intaccata da alcuni che l’hanno realizzato male.
Niente però potrebbe essere più lontano dal vero di questa idea di un “socialismo umano”. Nel 1997 la studiosa svedese Maija Runcis rese pubblici i risultati di uno studio che dimostrava come dal 1934 al 1975 nella “umananamente socialista” Svezia fossero state sterilizzate “per legge” almeno 60mila persone (62.888 per esattezza). La loro solo colpa era di essere “sofferenti di malattia mentale, minorazione mentale o altro squilibrio dell’attività mentale” e quindi incapaci di “assicurare la cura dei propri figli” o destinati “a trasmettere ai suoi discendenti in base alla legge dell’ereditarietà tale malattia mentale o minorazione mentale” (art. 1 della legge 171 del 1934). Una successiva legge del 1941 allargò di fatto il campo delle vittime a tutte le persone in qualche modo “difettose”.
Il caso della Svezia fece emergere un’altra realtà inquietante: la pratica eugenetica – che godeva di una certa popolarità agli inizi del XX secolo a partire dai Paesi anglosassoni – aveva trovato una efficace quanto tragica applicazione in tutti i Paesi centro e nord-europei, seppure in diversa misura.
Ciò che però è maggiormente rilevante è il fatto che il programma eugenetico fosse parte integrante del pensiero socialista. Lo dimostra il fatto – per stare all’esempio svedese – che la legge del 1934 fu una delle prime grandi riforme del governo socialdemocratico, che aveva vinto le elezioni del 1932 dopo 90 anni di governi di opposta tendenza. Non solo, tra i principali teorici della legge eugenetica svedese troviamo i coniugi Gunnar e Alva Myrdal, entrambi premi Nobel: lui economista, pioniere di modelli economici che tengono in considerazione i fattori sociologici, culturali (per non dire razziali), che gli valse il Nobel per l’economia nel 1974; lei attivista e diplomatica, con una lunga esperienza all’ONU e in organizzazioni internazionali femminili, che la portarono al Nobel per la pace nel 1982.
Il caso di Gunnar Myrdal, esponente di spicco del Partito socialdemocratico svedese, è interessante anche perché avrebbe voluto la legge del 1934 estesa a tutti i soggetti asociali, leggermente ritardati o vagabondi. Insomma, una vera e propria voglia di purezza della razza. L’altro aspetto da notare è che Myrdal ragiona da economista e, guarda caso, considera assolutamente indispensabili le leggi eugenetiche proprio nel momento in cui la Svezia vive una crisi demografica, ovvero un calo della natalità (nel 1932-33 registrava il più basso tasso di fertilità al mondo). Per cui, convinto assertore dei poteri totalizzanti dello Stato, propugna una rivoluzione nel ruolo della donna, che deve diventare produttiva e responsabile dell’alta qualità “sociale” propria e dei figli. L’eugenetica si lega quindi a contraccezione e aborto, come mezzi di emancipazione e controllo della qualità.
Perché è utile soffermarsi su questa storia passata? Perché è molto più attuale di quel che si creda, al punto che l’Europa unita appare pervasa da questo pensiero socialdemocratico, che privilegia un supposto “benessere della società” al rispetto della dignità e dei diritti della persona. Non a caso è questa Europa che negli ultimi anni è diventata il pilastro di tutte le politiche mondiali che favoriscono l’aborto, la contraccezione e il controllo delle nascite. E non è un caso che sia proprio in questa Europa che l’eugenetica sta conoscendo un clamoroso ritorno di popolarità, potenziato dalle nuove tecniche riproduttive che consentono oggi ciò che era impensabile appena 50 anni fa: la clonazione già permessa in Gran Bretagna, l’eutanasia approvata in Olanda e Belgio (nonché tollerata in altri Paesi soprattutto nord-europei) ed estesa anche ai bambini, per non parlare delle nuove frontiere dell’aborto e della contraccezione che, proprio sulla spinta del governo svedese, vengono estese agli adolescenti senza il consenso dei genitori (per costoro è lo Stato che educa).
Ma non finisce qui: leader socialdemocratici e affini hanno dominato e dominano tuttora le agenzie dell’ONU, responsabili negli ultimi venti anni della promozione di politiche globali che si basano proprio su quei concetti di “economia socialista” formulati da Gunnar Myrdal. Tanto per fare un esempio: il concetto di “sviluppo sostenibile”, che si basa su una visione negativa della presenza umana e vincola l’economia a una serie di doveri sociali stabiliti dallo Stato (in questo caso un super-Stato, come è immaginata l’ONU), nasce nel 1987 dalla Commissione Brundtland, dal nome di Gro Harlem Brundtland, ex primo ministro laburista della Norvegia. La stessa Brundtland – accanita sostenitrice dell’aborto come diritto umano fondamentale – è stata fino a due anni fa direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tra il 1993 e il 1999 – gli anni critici dei Vertici internazionali dell’ONU, che hanno visto l’affermarsi di una sorta di statalismo globale – a capo del Programma ONU per lo Sviluppo (uno dei posti più importanti alle Nazioni Unite) c’è stato lo svedese James Gustav Speth. Alto Commissario per i Diritti Umani è stato fino a due anni fa l’ex presidente irlandese (laburista) Mary Robinson; a dirigere la Conferenza di Rio sull’ambiente (1992) e successivamente posto dal segretario generale Kofi Annan a guidare la riforma delle agenzie ONU è un altro socialista, stavolta canadese, Maurice Strong. E un ex premier socialdemocratico svedese, Ingvar Carlsson, lo abbiamo trovato a capo della Commissione ONU sulla global governance, una sorta di programma per il governo mondiale, che si è premurato anche di porre le basi per una “etica globale” che accomuni e superi le religioni.
Si potrebbe continuare a lungo, ma questi esempi credo bastino per capire che quella “dittatura del relativismo” evocata da papa Benedetto XVI ha circostanze ben precise, e nell’Europa dominata dalle socialdemocrazie un motore potente. Ecco perché ripartire dall’evangelizzazione dell’Europa è più che mai importante per il futuro dell’intera umanità.
Ricorda
Luca Dotti, L’utopia eugenetica del welfare state svedese (1934-1975), Rubbettino 2004.
Riccardo Cascioli – Antonio Gaspari, Le bugie degli ambientalisti, Piemme 2004.
Piero S. Colla, Per la Nazione e per la Razza. Cittadini ed esclusi nel “modello svedese”, Carocci 2000.
IL TIMONE – N. 44 – ANNO VII – Giugno 2005 – pag. 18-19