A questo punto del nostro percorso concernente la Liturgia, lasciamo l’area latina e approdiamo sul versante orientale della cristianità, per riflettere sulla Divina Liturgia.
La differenziazione in campo liturgico fiorisce dopo l’editto di Costantino del 313, in ragione della ibertà e liceità che la religione cristiana viene ad acquistare.
Quello che comunemente è definito “rito bizantino” deriva da usanze liturgiche presenti ad Antiochia nel IV sec., sviluppatesi poi a Costantinopoli, l’antica Bisanzio, sotto la duplice influenza delle basiliche imperiali e dei monasteri, che dal IX sec. acquisterà una stabilità rimasta sostanzialmente inalterata fino ad oggi. Il rito bizantino del patriarcato di Costantinopoli si diffuse nelle province ecclesiastiche da esso dipendenti e dal IX sec. rimpiazzò i riti presenti nei patriarcati di Antiochia, Alessandria e Gerusalemme, creando così una forte uniformità liturgica.
L’elemento propulsore di questa Liturgia è la centralità della Presenza divina tra gli uomini, espressa mirabilmente dal patriarca di Costantinopoli san Germano, che definisce la Liturgia «il Cielo sulla terra». L’idea della Presenza divina conferisce alla Liturgia, ai riti e allo spazio in cui si svolgono una dimensione “cosmica”, che ha in Massimo il Confessore il suo più convinto sostenitore. Grazie all’influsso di san Germano, verrà a configurarsi anche la dimensione o come configurazione corrente dell’economia salvifica di Gesù Cristo, che si immola e si dona eternamente in cielo.
Dal IX al X sec., la liturgia “cattedrale” sarà codificata nel Typikon, stabilizzando ulteriormente il calendario, l’ordinamento delle letture, la liturgia eucaristica, i sacramenti e l’ufficio cantato.
In quell’arco di tempo, il rito di Costantinopoli si fonderà con quello di Gerusalemme e il rito monastico, caratterizzato dalla devozione popolare e fino ad allora separato dal rito cattedrale, più spiritualistico e simbolico, avrà il predominio. Nella Chiesa d’Oriente, possiamo individuarsi tre “forme” di Liturgia: 1) la liturgia di san Giovanni Crisostomo, celebrata nella maggior parte dei giorni dell’anno; 2) la liturgia di san Basilio, identica alla precedente quanto allo schema, ma con le preghiere sacerdotali più lunghe, celebrata nelle cinque domeniche di Quaresima e nella festa di san Basilio, nella vigilia del Natale e dell’Epifania, il Giovedì santo ed il Sabato santo; 3) la liturgia dei presantificati, celebrata i mercoledì e i venerdì di Quaresima e i primi tre giorni della Settimana santa; consiste fondamentalmente nell’ufficio dei vespri ai quali si unisce il rito di comunione, attribuita a papa Gregorio Magno. La forma usuale della celebrazione comporta la presenza del diacono. Il sacerdote, ritto innanzi all’altare, recita a bassa voce le preghiere sacerdotali, mentre il diacono, fuori dall’iconostasi, canta la litania, a cui il popolo o il coro risponde con le invocazioni. Dopo la litania, il sacerdote canta una lode alla Trinità e il popolo risponde con l’amen. Lo schema si ripete per ben dieci volte durante la Liturgia. Il diacono, quando non canta le litanie, entra nel santuario e si pone alla destra del sacerdote, per servirlo. In sua assenza, il sacerdote, canta quanto
spetta al diacono. Se vi sono dei concelebranti, tutti recitano le preghiere sacerdotali, si alternano nel canto delle conclusioni trinitarie e, in mancanza del diacono, si avvicendano nel canto delle litanie. Importante è la funzione del lettore che canta l’epistola e, se manca il coro, ne adempie tutte le parti. La Liturgia consta di tre parti:
1) la “Preparazione”: dopo le preghiere previste e la vestizione, il sacerdote va all’altare della Protesi e prepara i santi doni, coprendo alla fine i vasi con i sacri veli;
2) la “Liturgia dei Catecumeni”: il sacerdote recita tre preghiere all’altare, accompagnate da tre litanie, alternate con tre antifone. Poi avviene il Piccolo Ingresso: Gesù Maestro, simboleggiato dal Vangelo portato in processione, entra nel mondo. Segue il canto dei tropari che commemorano la festa o i santi del giorno; il Trisagio (inno trinitario e cristologico), l’Epistola e il Vangelo con il canto di quattro litanie;
3) la “Liturgia dei Fedeli”: è previsto che cominci quando il sacerdote spiega l’antiminsio, che corrisponde al corporale e alla pietra sacra della Liturgia latina, ma si può far iniziare al Grande Ingresso, quando il sacerdote e il diacono portano processionalmente all’altare la patena o disco e il calice, mentre il coro esegue l’inno dei cherubini. Esso simboleggia l’ingresso nel mondo di Gesù, vittima e sacerdote. Segue la litania dell’offertorio, l’abbraccio di pace, se vi è la presenza di più concelebranti, e il Credo, durante il quale si toglie il velo dai Santi Doni. Questa parte della Divina Liturgia prosegue con il dialogo del Prefazio, il Sanctus, la Consacrazione, le cui parole vengono cantate, l’Epiclesi e l’Anamnesi. Poi vengono ricordati i vivi e i morti, una litania precede il Padre nostro, il Pane consacrato viene spezzato in quattro parti e una di esse viene inserita nel calice. Il tutto termina con la Comunione, il ringraziamento, la benedizione e la distribuzione del pane benedetto, l’antidoro.
Questa Divina Liturgia è più elaborata di quella latina, perché ha subito anche notevoli influssi dal cerimoniale imperiale di Bisanzio, assai ricco e ridondante. Ma ha conservato una grande bellezza che eleva il cuore e la mente a Dio, cosa che si è perduta nella riforma liturgica latina dopo il concilio Vaticano II. â–
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