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11.12.2024

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Il mondo del sacro. La liturgia e il canto franco-romano
2 Dicembre 2014

Il mondo del sacro. La liturgia e il canto franco-romano

La liturgia e il canto franco-romano

Accettato ormai comunemente che Gregorio Magno non possa aver disposto da solo l’universale riordino e collazione del patrimonio di canto c.d. gregoriano, nondimeno si deve dire che la sua opera favorì una delle istituzioni che poniamo tra le fonti imprescindibili di quello che più correttamente gli studiosi ormai intendono come canto franco-romano: la schola cantorum di Roma.
La fondazione della schola cantorum papale si colloca tra la fine del papato di Ilario (461-468) e il 590, anno di elezione di Gregorio, il quale nella sua missione diplomatica a Bisanzio aveva forse praticato quelle comunità monastiche dove si coltivava ampiamente il canto comunitario, che probabilmente funsero da modello per la schola romana – cui Gregorio,  pur senza esserne il fondatore, dette sicuramente direttive e fornì sostanze – da cui prenderanno le mosse tutte le scholæ del continente.
Prima infatti che i sovrani carolingi impongano d’autorità a tutto l’Impero la liturgia romana, assieme ai missionari destinati a evangelizzare il nord Europa, da Roma erano partiti diversi gruppi di cantori per precipui scopi liturgici: nel 678 fu mandato in Britannia l’arcicantore Giovanni e poi nel 760 venne inviato il secundicerio della schola romana, Simeone, presso Remigio vescovo di Rouen e fratello del re Pipino.
La direzione di questi scambi era duplice: papa Paolo I, richiamando Simeone a Roma qualche anno dopo, gli ordinava di portare con sé quei monaci franchi di cui non si era completata la formazione, garantendo l’istruzione a Roma per questi ultimi, e ciò implicitamente testimoniava l’esistenza ormai consolidata della schola e di enti a essa collegati (lo stesso Gregorio Magno aveva dotato l’istituzione di alcuni beni adeguati oltre che di due sedi, una a S. Pietro destinata all’educazione musicale di alcune decine di fanciulli che vi studiavano per nove anni, ed una al Laterano).
Catoleno, Mariano e Omobono, abati del monastero romano di S. Pietro, avevano in realtà inaugurato l’iniziale adozione
nell’Urbe del repertorio franco-romano già verso la fine del VII sec., forse in virtù della presenza nella loro comunità di monaci franchi giunti a Roma per motivi di formazione.
Conquistato Carlo Magno alla causa liturgica romana, come abbiamo visto, sotto il regno dei Pipinidi l’autorità dello Stato venne impegnata in numerosi Concili provinciali (Francoforte nel 794, Salisburgo nell’800, Magonza nell’813) perché i vescovi accettassero la celebrazione secondo il costume romano, che trovò certo immediata recezione in ambienti maggiormente preparati e centri organizzati, ove avevano già operato i missionari giunti da Roma fra il VII e l’VIII sec., come testimonia Walafrido Strabone.
Alla fine dell’VIII secolo, possiamo dire dunque che la maggior parte dei libri liturgici usati in area franco-italica sono gregoriani e con il secolo successivo la maggior parte di essi conterrà il poema introduttivo Gregorius praesul – opera apologetica che aveva legittimato la tradizionale attribuzione a Gregorio Magno dell’intero patrimonio di canto liturgico – diffondendosi rapidamente oltre il Reno sicché il Pontificale romanogermanico redatto a Magonza attorno al 950, sulle cui pagine tornerà a Roma il canto franco-romano al seguito degli Ottoni, può idealmente definirsi come la chiave di volta  di questo processo che imboccherà presto, sebbene con ritmi lentissimi, vie di decadenza.
Accanto alle forme classiche del gregoriano mutuate dalla tradizione orientale ormai largamente sedimentata nell’VIII sec., dall’incontro della cultura liturgica italica legata alla sobria parola biblica, con le tendenze transalpine protese a coinvolgere la comunità di fede in un’azione liturgica che per i comuni fedeli rischiava di atrofizzarsi in riti anonimi e astratti, nacquero – in questa laboriosa fase del Medioevo cristiano – nuove forme di canto come i tropi, sorti appunto tra VIII e IX sec., per cui si cominciò a manipolare i testi, per i quali si conservò all’inizio una decisa riverenza, pervenendo poi a rivestimenti poetici e drammatico-didascalici dei riti tradizionali da cui nasceranno alcune novità: l’avvento di tropi e sequenze portò infatti la liturgia cattolica, già connotata da stesure dialogiche e cerimonie simboliche, a presentare in nuce gli elementi fondamentali del teatro.
Le nuove forme musicali, a partire dal tropo dialogico Quem quæritis, avvicinarono la celebrazione al fenomeno drammatico: sulla liturgia si innesta una prassi che parte dalla Visitatio sepulchri, descritta già nel X sec., fino a vere sacre rappresentazioni in occasione delle feste più importanti.
Saranno proprio tropi e sequenze a segnare il periodo di maggior gloria del canto gregoriano e a innescare nella liturgia, paradossalmente, molte cause di decadenza e crisi che diverranno chiare e conclamate solo alla fine del Medioevo. â–

Il Timone – Dicembre 2014

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