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14.12.2024

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Il “mondo nuovo” è già qui
31 Gennaio 2014

Il “mondo nuovo” è già qui

Lo scrittore Aldous Huxley settant’anni fa “previde” gli scenari legati a un uso distorto della scienza, che nel nostro tempo si stanno avverando. Oggi il cantautore Ligabue riprende quelle intuizioni, indicando una via d’uscita: tornare alla realtà. Tra gli antenati insospettati dall’eugenetica c’è anche Platone.

La terra è pulita, le risorse rispettate, i bisogni soddisfatti. Un soffice rigore governa l’esistenza. Sembra la migliore delle società possibili, sia pure al prezzo di un controllo totale. Infatti tutto procede secondo i diritti e i doveri di un piano prestabilito, il Piano Vidor, che ha a cuore il benessere e la felicità delle coppie.
Ci stiamo forse riferendo al romanzo Il mondo nuovo di Huxley, scritto nel 1932, che con un altro romanzo, 1984 di George Orwell (pubblicato nel 1949), è il testo più conosciuto della cosiddetta “narrativa di anticipazione” del XX secolo? Non proprio. Ma andiamo avanti.
Nella storia in questione si è felici secondo programma: uomini e donne lavorano, fanno l’amore, frequentano amici, si lasciano intrattenere dalle forme di spettacolo consentite. Spendono insomma il tempo che è stato dato loro in sorte con puntuale diligenza. Ma alla base di tutto c’è una manipolazione radicale: quel tempo apparentemente così “normale” e simile al nostro è segnato all’origine da una profonda alterazione socio-biologica, che ha a che fare con il mistero del nascere, del venire al mondo. Così regna incontrastata la vita creata in laboratorio e asservita al potere. Fino a quando, in quel paradiso artificiale, spuntano i due personaggi DiFo e Natura ed emerge una fatale, provvidenziale contraddizione, innescata da una innamorata nostalgia per l’uomo così com’è, per la realtà così com’è.
Non è Huxley, e neppure Orwell, ma il filone è certamente quello delle allarmate profezie narrative di fronte a una convivenza umana interamente dominata dagli apparati tecnologici. Con la differenza che La neve se ne frega – è questo il libro di cui stiamo parlando -, il sorprendente romanzo d’esordio del 44enne cantautore emiliano Luciano Ligabue, non ci rappresenta più un futuro possibile ma lontano, piuttosto un inquietante presente che è ormai drammaticamente alle porte.
Peraltro, se ripassiamo in sintesi la trama del romanzo capostipite di questo genere fantascientifico-realistico, appunto Brave new world, il libro più famoso dell’inglese Aldous Leo-nard Huxley (1894-1963), ci accorgiamo che, settant’anni dopo, le sue apocalittiche visioni si sono in pratica già realizzate, o comunque si potrebbero tranquillamente realizzare, come conseguenza della mentalità oggi imperante, un micidiale cocktail di materialismo, consumismo e tecnocrazia.

Un ordine mondiale “illuminato”
Il mondo nuovo è ambientato in un immaginario Stato totalitario collocato nel futuro e rigidamente pianificato nel nome del razionalismo produttivistico, dove tutto è sacrificabile al mito del progresso. I cittadini di questa società non sono oppressi dalla guerra né dalle malattie, e possono accedere liberamente a ogni piacere materiale. Ma perché si possa mantenere questo delicato equilibrio, gli abitanti, concepiti e prodotti artificialmente in provetta sotto il costante controllo di ingegneri genetici, durante l’infanzia vengono condizionati con la tecnologia e con le droghe, mentre da adulti occupano ruoli sociali prestabiliti secondo il livello di nascita. In cambio del puro e semplice benessere fisico, i cittadini devono insomma rinunciare a qualsiasi emozione, a qualsiasi sentimento, a qualsiasi difesa della propria identità.
Un romanzo che conobbe subito il successo e i cui pilastri ideologici vennero ripresi dallo stesso autore nel 1958, nella raccolta di saggi Ritorno al mondo nuovo, dove Huxley riesamina a una a una le sue profezie alla luce degli avvenimenti degli ultimi anni, arrivando alla conclusione che molte delle sue più catastrofiche previsioni di quasi tre decenni prima si sono avverate anzitempo e fanno ormai parte del presente.
Abbiamo richiamato questi sommari riferimenti letterari – ieri Huxley, oggi Ligabue, ma il filone è molto più ricco – per documentare come, una volta di più, l’invenzione artistica ha la sorprendente capacità di “leggere” gli avvenimenti. Per denunciarli con sincerità e indicare una diversa via da percorrere, più umana, come nel caso del rocker di Correggio, oppure, come nel caso dello scrittore inglese, per “accompagnare” in un modo per certi aspetti ambiguo quello che è ritenuto l’inevitabile evolversi delle cose. Non a caso suo nonno, Thomas H. Huxley, noto biologo, era tra i fondatori della società oligarchica inglese Round Table che propugnava la necessità di difendere la superiorità dell’impero britannico e quindi guardava con favore pratiche eugenetiche tendenti a mantenere questo predominio.
Lo stesso Aldous Huxley divenne a sua volta un “iniziato” della setta dionisiaca I figli del Sole, a cui appartenevano i rampolli dell’elite britannica, e di cui facevano parte anche il poeta e drammaturgo angloamericano Thomas Stearns Eliot (1888-1965), e lo scrittore Oavid Herbert Lawrence (1885-1930). Quest’ultimo era il compagno omosessuale di Huxley, oltre che autore dello scabroso romanzo L’amante di Lady Chatterlay, che proprio Huxley contribuì a diffondere nei puritani Stati Uniti, sostenendo che si trattava di un capolavoro “incompreso”!
Insomma, è più che legittimo il sospetto che Il mondo nuovo, come pure altri romanzi del medesimo genere, siano stati scritti in realtà come una sorta di documenti organizzativi che dovevano avere una “presa di massa” e favorire l’idea di un ordine mondiale “illuminato”, dominato ieri dall’impero inglese, oggi dai potentati economico-finanziari che hanno in mano le sorti dei popoli.

Lo “zampino” di Darwin
Per collocare in modo chiaro nella realtà dei fatti le “profezie” letterarie del XX secolo sulla manipolazione e il controllo della nostra esistenza, richiamiamo brevemente alcuni concetti-chiave, ricordando anche qualche “antenato”, più o meno insospettabile, propugnatore di una “cultura eugenetica”.
L’eugenetica (da eu, buono, e genos, razza, specie), è la branca della medicina che, fondandosi sulle leggi della genetica, è rivolta al miglioramento della specie umana, attraverso la selezione dei caratteri ereditari desiderati. In altri termini, prima di ogni considerazione di carattere etico e morale, l’eugenetica è per definizione lo studio teorico e pratico di tutti i mezzi necessari a proteggere, accrescere, perfezionare gli esemplari più robusti e meglio dotati delle razze umane, al fine di salvaguardare la qualità genetica delle future generazioni, fino al punto di sceglierne anche le caratteristiche somatiche. Se l’eugenetica come disciplina scientifica è di creazione relativamente recente, la “cultura” che ne ha preparato il terreno ha invece un’origine remota.
Nell’antica Grecia, per esempio, in pieno paganesimo, il costume spartano imponeva l’eliminazione dei bambini di cattiva conformazione. E lo stesso Platone, immaginando la sua Repubblica ideale, nel IV secolo a.C. “anticipa” il matrimonio eugenetico, finalizzato alla selezione dei migliori. In epoche più recenti, pensatori del calibro di Tommaso Moro e Campanella avanzano idee analoghe nelle loro opere più famose, rispettivamente nell’Utopia, scritta nel 1516 e in cui si vagheggia uno Stato ideale fondato su principi comunistici, e nella Città del Sole, del 1602, in cui è descritto l’avveniristico progetto di uno stato comunistico e teocratico nello stesso tempo.
Il tema dell’eugenetica viene inquadrato “scientificamente”, se così si può dire, solo sul finire del XIX secolo, dallo psicologo inglese Francis Galton (18221911), lo studioso che concepì i test mentali e progettò strumenti per migliorare l’intelligenza. Galton riprende alcuni concetti già espressi da suo cugino, il celebre naturalista Charles Robert Darwin (18091882), l’inventore dell’evoluzionismo, nel suo studio Discendenza dell’uomo del 1871. Galton, che utilizza per la prima volta il termine “eugenetica” nel 1883, si prefigge il duplice scopo di favorire la riproduzione dei meglio dotati per migliorare la razza (eugenetica positiva), e di impedire la moltiplicazione degli inetti (eugenetica negativa).
Il primo obiettivo consiste nel favorire direttamente la diffusione dei caratteri favorevoli (caratteri eugenici) e comporta due serie questioni di principio, che pongono sicuramente dei limiti alle possibili applicazioni di questa tecnica. Innanzitutto non è affatto semplice accordarsi su quali siano i caratteri da considerarsi più favorevoli nella specie umana ed èpalese il rischio che, in base a idee preconcette, si affermi la superiorità di un dato tipo umano o di una razza. Poi, un tal genere di “miglioramento” c’è il rischio che lo si voglia raggiungere tramite la coercizione delle persone, spinte a unioni matrimoniali obbligate: una deriva assolutamente contraria ai principi della libertà individuale.
Il secondo obiettivo è quello di impedire agli individui considerati socialmente indesiderabili di riprodursi, per cui gli idioti e i malati apportatori di tare dominanti non trasmetterebbero più le loro tare. L’unico mezzo adatto a tal fine è ritenuto la sterilizzazione, che in effetti viene introdotta nella legislazione di alcuni Paesi, come gli Stati Uniti (in una trentina di Stati), ma anche in Canada, Svezia, Danimarca, Svizzera (cantone di Vaud). In realtà, l’efficacia della sterilizzazione eugenetica è stata successivamente messa in discussione perché, anche se sarebbe “utile” per la soppressione immediata delle tare dominanti, queste riapparirebbero in seguito a mutazioni. Ma l’obiezione maggiore è che la pratica della sterilizzazione è contraria alla libertà e alla dignità dell’uomo, e il suo uso indiscriminato potrebbe dar luogo a terribili abusi, come è già accaduto in regimi totalitari e razzisti come il nazismo.

Il “puro ceppo americano”
È comunque sbagliato continuare a credere che l’eugenetica presenti dei rischi e sia “usata” male solo in regimi autoritari, se è vero che storicamente le aberranti teorie di Galton e della “scuola eugenetica” furono accolte e sviluppate, innanzitutto, nella democratica America. AI punto che un presidente come Theodore Roosevelt (1858-1919), che ricevette anche il premio Nobel per la pace nel 1906 per la mediazione nel conflitto russo-giapponese, non ebbe timore a esprimersi in un modo che oggi definiremmo non politically correct: «Il primo dovere di ogni buon cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di lasciare la propria stirpe dopo di sé nel mondo; e non è di alcun vantaggio consentire la perpetuazione di cittadini di razza sbagliata… spero ardentemente che agli uomini disonesti sia impedito del tutto di procreare». Peraltro in quel periodo erano state emanate leggi di restrizione dell’immigrazione per mantenere “il puro ceppo americano”, non contaminato da individui inferiori, stupidi, cretini, malati. Hitler, con la sua preoccupazione di salvaguardare la pura razza germanica sia dal mischiarsi con razze ritenute inferiori, sia dall’indebolimento causato dalla procreazione da parte di individui in qualche modo minorati (handicappati, malati psichici, ecc), verrà dopo.

Rispettare il mistero della vita
Oggi la “nuova eugenetica” basata sulle biotecnologie ha aperto un tale fronte di nuove e audaci sperimentazioni da incoraggiare molti scienziati, assoldati da potenti multinazionali, ad agire in laboratorio come se fossero Dio, con l’obiettivo di creare un “nuovo Adamo”. L’intento cioè non è più solo quello di raggiungere una salute perfetta, ma di operare radicali interventi sulla natura dell’uomo. AI punto che si può parlare del profilarsi all’orizzonte di una cultura di massa eugenico-commerciale, pronta a procreare neonati su misura, dopo aver creato le condizioni, con un’accorta campagna massmediatica, per l’accettazione di questo devastante mutamento antropologico. Siamo ancora in tempo a fermare questa cultura della menzogna, avviando innanzitutto un serio e serrato confronto intellettuale, che abbia come punto fermo il rispetto del mistero della vita. E se per far crescere una mentalità alternativa è giusto valorizzare chiunque si ponga da un punto di vista veramente umano, ben vengano Ligabue e le sue pagine, magari un po’ ingenue ma sincere.

IL RITORNO DI ERODE

«Ma la nostra attenzione intende concentrarsi, in particolare, su un altro genere di attentati, concernenti la vita nascente e terminale, che presentano caratteri nuovi rispetto al passato e sollevano problemi di singolare gravità per il fatto che tendono a perdere, nella coscienza collettiva, il carattere di “delitto” e ad assumere paradossalmente quello del “diritto”, al punto che se ne pretende un vero e proprio riconoscimento legale da parte dello Stato e la successiva esecuzione mediante l’intervento gratuito degli stessi operatori sanitari. Tali attentati colpiscono la vita umana in situazioni di massima precarietà, quando è priva di ogni capacità di difesa. Ancora più grave è il fatto che essi, in larga parte, sono consumati proprio all’interno e ad opera di quella famiglia che costitutivamente è invece chiamata ad essere “santuario della vita”».
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium Vitae, n. 11).

Dossier: Il ritorno di Erode

IL TIMONE N. 38 – ANNO VI – Dicembre 2004 – pag. 39 – 41

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