15.12.2024

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Il Muro della vergogna
31 Gennaio 2014

Il Muro della vergogna


 


Una domenica d’agosto di 50 anni fa i berlinesi si svegliano e trovano la loro città divisa da filo spinato che sarebbe diventato un muro di quattro metri. Simbolo per tutto il mondo del vergognoso totalitarismo comunista

 

«In Bernauer Strasse [la via di Berlino dove venne steso il filo spinato il 13 agosto 1961 e poi costruito il Muro] si videro persone saltare dalle finestre di edifici nell’Est giù in strada, all’Ovest. Resisi conto della possibilità di fuga, Vopo e Grepo [la polizia comunista] avevano iniziato a entrare. Scopo ultimo era sgomberare le immediate vicinanze della frontiera da elementi “inaffidabili”, ma ciò avrebbe richiesto tempo. Le fughe in Bernauer Strasse divennero presto un dramma seguito dal mondo intero che, grazie alle telecamere e alle nuove stazioni televisive, godeva di un posto d’onore. Sul lato occidentale arrivarono gruppi di persone, poliziotti e vigili del fuoco: gridavano incoraggiamenti a chi esitava ai piani superiori. I pompieri preparavano teli. Un uomo si lasciò scivolare dalla finestra, ma fu agguantato dai Vopo entrati nella sua stanza. Gli occidentali riuscirono ad afferrarlo per le caviglie. Seguì un tiro alla fune; in questo caso, favoriti dalla forza di gravità, fuggitivo e aiutanti ebbero la meglio. Altri non furono così fortunati. Ida Siekmann, 59 anni, cadde da un piano alto e morì, come Rudolf Urban, 47 anni, che riportò gravissime lesioni: resistette quasi un mese in un ospedale di Berlino Ovest prima di soccombere. Dopo che le finestre furono murate, la gente tentò di scappare dai tetti. Una delle ultime vittime fu Bernd Lunser, scoperto il 4 ottobre dai Grepo mentre si preparava a calarsi dal tetto del numero 44 di Bernauer Strasse, con un filo per stendere il bucato. La polizia lo scoprì subito. Lunser fu costretto a scappare, inseguito sui tetti: per tutto il tempo invocò aiuto. Sotto, in strada, i pompieri prepararono un telo; si radunarono centinaiadi spettatori. Mentre la polizialo circondava, Lunser saltò: mancò il telo e cadde a terra, dove morì qualche minuto dopo. Aveva 30 anni».
(F. Taylor, Il Muro di Berlino. 13 agosto 1961 – 9 novembre 1989, Mondadori 2009, p. 163).

 

 

Anche il 2011 – come del resto ogni anno solare – è ricco di anniversari, dai più significativi a quelli più o meno irrilevanti. Fra quelli davvero importanti, c’è senza dubbio il cinquantenario della costruzione del muro di Berlino: importante l’anniversario, perché quella costruzione è divenuta il simbolo del confine politico fra l’Est e l’Ovest non soltanto della Germania, ma del mondo intero.
Che cosa era successo? Si era in piena “guerra fredda”: gli accordi di Jalta avevano deciso la divisione della Germania in due Stati, la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica (DDR), e in particolare la divisione di Berlino – che si trovava nel territorio della DDR – in quattro settori, controllati e amministrati rispettivamente dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dalla Francia e dall’Unione Sovietica.
Nella primavera del 1948 si rese evidente l’intenzione di Stalin di scacciare gli ex alleati da Berlino, mediante il blocco della città: alle 6 del mattino del 24 giugno 1948 fu improvvisamente interrotto il traffico stradale e ferroviario fra Berlino e l’occidente, e perciò qualunque collegamento della città con la parte occidentale della Germania. Berlino Ovest era così condannata a diventare una città buia (anche la rete elettrica era stata scollegata), senza viveri e senza medicinali. A questo punto gli Occidentali di trovarono davanti a una drammatica alternativa: e così, scartata l’idea di scatenare una guerra, e scartata anche l’ipotesi di non reagire in alcun modo, ecco che Il 25 giugno prese avvio un gigantesco ponte aereo, che con centinaia di velivoli – al ritmo di un atterraggio e un decollo ogni 90 secondi – trasportò a Berlino viveri, carbone, medicinali e un’enorme varietà di merci: il ponte durò 462 giorni e permise alla città di sopravvivere, finchè i sovietici compresero che il blocco era fallito: il 4 maggio 1949 esso fu finalmente revocato. Lo smacco di Stalin ebbe grande risalto in tutto il mondo.

La costruzione del Muro
Cessato il blocco, a partire dagli anni ’50 cominciò ad essere sempre più palese la differenza fra la qualità di vita dei settori occidentali della città e quella del settore comunista; e i cittadini della DDR, che passavano quotidianamente il confine per lavoro, non tardarono ad accorgersene e ad essere tentati di varcare stabilmente il confine. In conclusione, fra il 1949 e il 1961 oltre due milioni e mezzo di tedeschi – e in particolare i lavoratori più specializzati – passarono a ovest, con un crescendo impressionante: «nel maggio 1961 fuggirono 17.791 persone, in giugno 19.198 e 12.578 solo nelle prime due settimane di luglio » (Frederick Taylor, Il muro di Berlino. 13 agosto 1961 – 9 novembre 1989, Mondadori 2009, p. 123). Così la situazione anche economica di Berlino Est, già precaria, diveniva davvero insostenibile. Allora, nella notte fra il 12 e il 13 agosto 1961 (una domenica mattina, perché l’iniziativa risultasse meno traumatica) – per decisione di Walter Ulbricht (1893- 1973), allora leader della DDR (che pure un mese prima aveva sfacciatamente affermato nel corso di una conferenza stampa che «nessuno ha l’intenzione di costruire un Muro») – cominciò la costruzione di un muro attorno ai tre settori occidentali della città: inizialmente esso consisteva di un reticolato di filo spinato, intervallato da blocchi di cemento, che chiudeva tutti i varchi fra i quartieri orientali e quelli occidentali, varchi presidiati da quasi venticinquemila militari in assetto di guerra. Nei giorni seguenti il filo spinato venne progressivamente sostituito da un muro alto quattro metri, con la parete liscia e la sommità ricurva per impedirne lo scavalcamento.
I dirigenti della DDR sostennero che si trattava di «una roccaforte di protezione antifascista », diretta a evitare un’aggressione occidentale e lo sconfinamento a est degli abitanti di Berlino ovest: spiegazione palesemente ridicola, oltre che grottesca, come se mai un cittadino occidentale avesse chiesto rifugio o asilo politico nel settore comunista. La costruzione venne sempre più perfezionata e “migliorata”, almeno se ci poniamo nell’ottica comunista, insieme demenziale e criminale: nel giugno 1962 fu costruito un secondo muro all’interno del primo, per rendere sempre più difficile la fuga verso ovest: fu creata in tal modo la “striscia della morte”, come fu significativamente chiamato il tratto fra i due muri. Fra il 1965 e il 1975 furono edificate la “terza” e la “quarta” generazione del Muro, sempre più sofisticate ed elaborate: in definitiva, un muro in cemento armato, alto tre metri e sessanta centimetri, per una lunghezza di 155 chilometri, sorvegliato da 302 torri di guardia e venti bunker, con migliaia e migliaia di cecchini armati. È chiaro che a questo punto la fuga diventava praticamente impossibile: varie fonti indicano tuttavia in oltre duecento i cittadini uccisi dalle guardie fra il 1961 e il 1989. I tentativi di fuga, attuati con tecniche spesso rocambolesche e andati a buon fine, sono relativamente pochi. Tre soli erano i punti di attraversamento del muro, i famosi checkpoint, denominati convenzionalmente Alpha (a Helmstedt), Bravo (a Dreilinden) e Charlie (sulla Friedrichstrasse, il più noto perché situato nel centro della città, e oggi sede del museo che illustra la storia del Muro).  
Gli occidentali nulla poterono fare per opporsi all’obbrobrio, cui assistettero impotenti. Anche la famosa visita del presidente John Fitzgerald Kennedy (1917-1963) a Berlino, il 25 giugno 1963 (nella quale pronunciò l’altrettanto famoso discorso concluso con il grido Ich bin ein Berliner!) fu in sostanza un episodio molto appariscente ma abbastanza velleitario, che fra l’altro suonò come un sostanziale riconoscimento e un’implicita accettazione dello status quo.

L’implosione
Eppure, la costruzione del Muro non fu certamente un successo, dal punto di vista propagandistico, per la DDR e in generale per tutto il blocco orientale, perché tutto il mondo poteva toccare con mano in che cosa consistesse davvero l’occhiuto totalitarismo comunista, che non esitava a sopprimere chiunque aspirasse alla libertà (uno fra i più noti tentativi di fuga fu quello di Peter Fechter, 18 anni, ferito e lasciato morire dissanguato nella “striscia della morte” il 17 agosto 1962; anche parecchi bambini furono vittime della spietata repressione).
Il Muro – come del resto tutto l’Impero del Male (come lo aveva chiamato icasticamente il presidente Ronald Reagan) – sembrava dover durare in eterno. E invece, quasi improvvisamente e soprattutto senza spargimento di sangue, ecco l’implosione dell’intero sistema comunista. Per quanto riguarda in particolare la Germania Orientale, dopo una serie di disordini in tutto il territorio, il governo di Erich Honecker (1912-1994) implose nel mese di novembre del 1989 insieme con il Muro; eppure, lo stesso governo aveva predetto, pochi mesi prima, che il Muro sarebbe rimasto in piedi almeno per i prossimi cento anni, come dire per sempre.
Il 4 novembre 1989, invece, avviene il grandioso raduno di oltre un milione di persone in Alexanderplatz; il nuovo governo presieduto da Egon Krenz decide di concedere ai cittadini di Berlino Est il permesso di attraversare il confine, e Gunter Schabowski, segretario della SED (il Partito socialista egemone) annuncia l’apertura del Muro, dopo ventotto anni: è il 9 novembre 1989. All’interno del Partito – come in tutti i Paesi comunisti – ha prevalso la linea morbida. È una festa generale: circa settantamila persone sfilano pacificamente al grido «noi siamo un solo popolo! ». E proprio la caduta del Muro, distrutto a picconate dagli stessi cittadini, apre la strada all’unificazione delle due Germanie, avvenuta il 3 ottobre 1990.
Vale la pena di ricordare che una legge italiana, approvata dalla Camera dei Deputati il 6 aprile 2005, ha istituito la “Giornata della Libertà”, fissandone come data proprio il 9 novembre, quale ricordo della fine di una ideologia, quella comunista, che ha insanguinato il mondo, e quale auspicio di democrazia per i Paesi ancora soggetti al totalitarismo (e vale anche la pena di ricordare che purtroppo la legge ebbe il voto contrario di ben 206 parlamentari – i favorevoli furono 247 – ossia di tutta l’opposizione di sinistra, che ancora una volta ha dimostrato di essere stranamente ma inesorabilmente strabica).

IL TIMONE  N. 107 – ANNO XIII – Novembre 2011 – pag. 22 – 24

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