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15.12.2024

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Il nucleare? Parliamone senza pregiudizi
31 Gennaio 2014

Il nucleare? Parliamone senza pregiudizi

 

 

L’Italia è l’unica nazione che ha smantellato le centrali nucleari. Salvo poi comprare l’energia nucleare dalla Francia. Oggi si impone un ripensamento. Non ideologico, come avvenne con il referendum del 1987

Gli impianti nucleari in funzione
Nel 2014, in Francia, ai 59 reattori nucleari ad uso civile ora esistenti – che contribuiscono ad avere un costo dell’energia elettrica del 50% in meno rispetto ad altri Paesi, quali ad esempio l’Italia – se ne aggiungerà un altro. Nell’Unione europea e in Svizzera sono in esercizio 148 reattori nucleari, che generano quasi il 30% dell’elettricità prodotta nel continente. Quindici dei 27 membri dell’Unione europea hanno impianti nucleari. Gli Stati Uniti hanno 104 impianti in funzione. Nel mondo, sono in costruzione 30 impianti nucleari: 1 in Argentina, la centrale Atucha, vicino alla capitale Buenos Aires; 2 in Bulgaria, vicino a Belene; 1 in Finlandia, a Olkiluoto; 6 in India, che si aggiungeranno ai 17 esistenti; 1 in Iran, a Bushehr; 1 in Giappone; 3 in Corea del Sud; 1 in Pakistan, in Kundian, nel Punjab; 3 in Cina, 2 a Taiwan; 7 in Russia, in aggiunta ai 31 già operanti; 2 in Ucraina.
L’80% circa dell’energia consumata nell’Unione europea deriva dai combustibili fossili: petrolio, gas naturale e carbone. Di questa percentuale, una parte consistente proviene da Paesi terzi e questo fatto rende l’UE vulnerabile alle riduzioni degli approvvigionamenti o all’aumento dei prezzi.
Se non si riuscisse a controllare il consumo energetico e a diversificare le fonti energetiche, si stima che di qui al 2030 la dipendenza dalle importazioni potrebbe salire al 93% per il petrolio e all’84% per il gas.

La situazione italiana
L’Italia compra più dell’80% dell’energia dall’estero, di cui il 54% è costituto da petrolio, il 30% da gas, l’8% da carbone e il 7% da elettricità, in massima parte acquistata da centrali nucleari francesi. Dopo l’esplosione della centrale di Chernobyl, l’Italia, nel 1987, unico Paese al mondo, decise – in maniera improvvida e a seguito di una campagna per molti versi soltanto ideologica – di smantellare le centrali nucleari in funzione, con la conseguenza di acquistare una quota assai rilevante di energia prodotta dalle centrali francesi, e perfino di vietare l’esportazione all’estero della tecnologia occorrente per la realizzazione di centrali nucleari, mediante società a capitale pubblico.
Nel terzo millennio, il tema della “gestione delle risorse energetiche del pianeta” è divenuto centrale per la sopravvivenza dell’umanità ed è legato ad una concezione dello sviluppo umano che, per essere tale, deve porre al centro la persona. Da questo punto di vista, i richiami di Benedetto XVI, nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 2008, alla «revisione degli standard di consumo dovuti all’attuale modello di sviluppo» e quindi ad un nuovo stile di vita e ad «adeguati investimenti per la differenziazione delle fonti di energia e per il miglioramento del suo utilizzo», sono di grande attualità. C’è chi sostiene che la competizione per l’approvvigionamento di petrolio potrà giungere tra breve ad un livello di pericolosità analogo a quello legato alla corsa agli armamenti nucleari tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica durante la “Guerra Fredda”. Infatti, la contesa sul petrolio è una fra le cause delle guerre del pianeta, come dimostrano, ad esempio, i venticinque anni della guerra che ha insanguinato l’Angola, le guerre nigeriana o sudanese, la stessa guerra in Iraq.

Alternative al petrolio?
Individuare alternative al petrolio è, d’altra parte, l’unica possibilità per far fronte al problema delle risorse energetiche, considerato il divario sempre più netto tra domanda, in crescita – determinata soprattutto dall’affermarsi delle economie dei Paesi emergenti – e offerta, che non riesce a soddisfare le richieste. Nell’estate del 2008, la British Petroleum presentò le sue stime ufficiali sulle riserve mondiali di petrolio, affermando che sono sufficienti ancora per almeno 41 anni. Previsione smentita da altre fonti. L’Agenzia Internazionale per l’Energia, ad esempio, prevede una crisi dell’offerta petrolifera entro pochi anni, che spingerà i prezzi a livelli senza precedenti, aumentando in maniera formidabile la dipendenza occidentale nei confronti dell’OPEC, l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio. Le implicazioni geopolitiche di questa crisi dell’offerta petrolifera sarebbero enormi. Le riserve mondiali complessive di petrolio sono stimate intorno ai 2.500-2.900 miliardi di barili, dei quali la metà è già stata consumata. Si prevede che la produzione dei Paesi non-OPEC raggiungerà il proprio picco e declinerà entro i prossimi cinque anni, sospinta dalla montante richiesta di greggio da parte della Cina e degli Stati Uniti, oltre che dalla limitata produzione dell’Iraq.
Un’alternativa a questo scenario potrebbe essere costituita dalla scoperta di nuovi grandi giacimenti petroliferi, ma bisogna considerare che gli ultimi grandi bacini sono stati scoperti negli anni ‘70 – proprio quei bacini coprono i quattro/quinti dell’attuale fabbisogno petrolifero – ed anche la scoperta di un bacino di dimensioni analoghe a quelle del più grande attualmente esistente al mondo (quello di Ghawar in Arabia Saudita) soddisferebbe la domanda mondiale di petrolio solamente per altri dieci anni.

Il nucleare non è demoniaco
Quali possono essere le alternative al petrolio?
Il carbone ha riserve enormi. Sarebbero disponibili oltre mille miliardi di tonnellate, per almeno altri due secoli. L’estrazione e l’utilizzo del carbone, però, hanno un effetto sull’ambiente superiore a quello del petrolio, se non vengono rispettate tecniche molto restrittive.
Poi ci sono le energie rinnovabili, quelle forme di energia (idroelettrica, geotermica, solare, eolica, da biomasse, da termovalorizzazione) generate da fonti che per loro caratteristica intrinseca si rigenerano o non sono “esauribili” nella scala dei tempi “umani” e, per estensione, il cui utilizzo non pregiudica le risorse naturali per le generazioni future. Queste forme di energie alternative però – a cominciare dall’eolico, che fornisce meno dell’1% del fabbisogno mondiale di energia – attualmente non possono considerarsi un’alternativa all’uso del petrolio, nonostante la pubblicità che viene fatta per la loro promozione, che corrisponde, peraltro, agli interessi economici, di enorme portata, che questo business mondiale produce.
Allo stato attuale, l’unica, seria e credibile alternativa alle fonti fossili di energia, è costituita dall’uso del nucleare per scopi civili. In questa materia, occorre prudenza, ma non si comprende perché, anche in Italia – assicurata la sicurezza degli impianti e dei depositi e regolati la produzione, la distribuzione e il commercio di energia nucleare, sulla base degli standard internazionali – non si dovrebbe aprire un dibattito sereno, pubblico, che affronti in maniera pragmatica la questione.
Il 29 luglio 2007, in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) – che ha lo scopo di promuovere l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare e di impedirne l’utilizzo per scopi militari, di cui la Santa Sede è socio fondatore sin dal 1957 – Benedetto XVI lanciò un appello al disarmo nucleare e all’«uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo, rispettoso dell’ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate». Ricordiamo anche che il paragrafo 470 del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, sulla questione energetica invita la comunità scientifica a «continuare» nel triplice impegno di «identificare nuove fonti energetiche, sviluppare quelle alternative ed elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare».
Anche in questo campo, occorre in ultima analisi considerare che sviluppo della scienza e della tecnologia non sono un male “in quanto tale”. Possono certamente diventarlo, ma solo per il loro uso improprio, contrario al bene ed alla dignità della persona umana.

 

 

IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 54 – 55

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