Aborto, eutanasia, fecondazione artificiale: Giovanni Paolo II ha combattuto contro questi delitti in ogni angolo del pianeta. Ma il mondo non lo ha ascoltato.
«Se vuoi trovare la sorgente, devi andare contro corrente». Parole del Papa poeta, che nel suo Trittico romano ci ha lasciato questi versi scolpiti nella roccia di Pietro. Come dire: se vuoi seguire Cristo, e incontrare la verità tutta intera, preparati a remare contro la mentalità del mondo. Nessuno più di lui ha saputo sfidare il conformismo dominante intorno ai temi più controversi della modernità, sul filo di quella frontiera tra bene e male che chiamiamo bioetica. Perché Karol Wojtyla è stato il Papa della vita. Non c’è stato viaggio, fra i molti compiuti per annunciare Cristo al mondo, nel quale Giovanni Paolo II non abbia denunciato con toni fermi e talvolta duri la gravità di alcuni attentati all’uomo innocente: l’aborto, l’eutanasia, il suicidio, la fecondazione artificiale; ma anche la medicina ridotta a mestiere, il paziente trasformato in cliente, il corpo umano immiserito al livello di un insieme di organi.
Giovanni Paolo II è stato l’instancabile paladino del diritto alla vita di ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale. Riassumiamo i tratti essenziali del suo pontificato in materia di bioetica, che sono mirabilmente esposti in numerosi testi, discorsi, e documenti, ma soprattutto nella enciclica Evangelium vitae (E.V.), pubblicata il 25 marzo 1995.
1. Il «misterium iniquitatis»
Perché ogni giorno nel mondo molti innocenti vengono uccisi? Giovanni Paolo II risponde a questa domanda terribile innanzitutto collocandosi su un piano teologico, nella luce della Rivelazione di Cristo. La morte è entrata nel mondo a causa dell’invidia del diavolo e del peccato dei progenitori (E.V., n. 7). E si manifesta in modo violento, con il primo terribile omicidio della storia, quello di Caino contro Abele. Dunque, ogni attentato alla vita umana è in un certo senso una ricapitolazione di ogni peccato, ed è il frutto dell’opera incessante del maligno, che se ne sta “accovacciato alla porta” dell’uomo per divorarlo inducendolo a violare la legge di Dio. Egli non è obbligato a fare il male, ma è libero, e dunque responsabile dei propri atti.
L’ombra inquietante del diavolo si staglia dietro a ogni moderna uccisione dell’innocente, nella quale l’angelo ribelle riconferma le sue originarie caratteristiche: mentitore, scimmia di Dio, omicida fin dal principio (Gv 8,44). Nella luce della fede, l’aborto e l’eutanasia rivelano se possibile un livello di gravità ancora più profondo di quanto già la ragione umana non possa obiettivamente comprendere.
2. Una battaglia fra due culture
Ecco perché la legalizzazione di ogni pratica contraria alla dignità della persona non è altro che la manifestazione di una durissima battaglia in atto – spiega Giovanni Paolo II – tra la cultura della vita e la cultura della morte. Una battaglia che è l’espressione visibile di una dimensione metafisica dello scontro epico del male contro il bene, del conflitto irriducibile tra Dio e il diavolo. Sappiamo che non si tratta di un conflitto ad armi pari, e che la vittoria definitiva è già stata ottenuta in Gesù Cristo. Ma sul piano della lotta quotidiana, che si combatte nel mondo e nel cuore di ogni uomo, questo conflitto trova oggi la sua terribile esplosione sul fronte della vita, con la lunga scia di oltre 50 milioni di aborti volontari praticati ogni anno nel mondo. Ora, Giovanni Paolo II ci scuote e avverte che ognuno di noi non è spettatore di questa battaglia, ma si trova nel mezzo della contesa. Non possiamo restare indifferenti: si deve scegliere da quale parte stare. E per il cattolico non ci possono essere dubbi, né comodi silenzi: ci si deve battere senza esitazione contro ogni attentato alla vita umana innocente. Un cattolicesimo autentico non può metabolizzare la legalizzazione dell’aborto, o dell’eutanasia. Non è questione di stomaco forte, ma di cuore grande.
3. La confusione tra bene e male
Perché Giovanni Paolo II ha insistito tanto su questi temi scomodi? In fondo – ribattono alcuni, anche fra i cattolici – ogni giorno muoiono migliaia di persone per la fame o per le guerre. C’è una profonda differenza, spiega il Papa. Se è vero che le ingiustizie sono antiche come il mondo, mai era accaduto che come in questi anni alcuni mali fossero giudicati come dei beni, e che dei delitti fossero trasformati dalle leggi degli Stati in diritti. Ci troviamo in una “notte della coscienza” (E.V, n. 4.) nella quale il male è chiamato bene, e il bene male. Per quanto un aborto sia un delitto e un peccato grave, Dio può certamente perdonare chi lo abbia commesso.
Ma la nostra società tende ad autoassolversi, a considerare del tutto superato il problema del male oggettivo che si è compiuto.
È questo, a ben guardare, il dato più inquietante e diabolico del tempo presente, che ha fatto dire al Papa: il ‘900 sarà ricordato come il secolo di Caino (E.V., n. 17).
4. La laicità del diritto alla vita
Se il Papa si fosse limitato a denunciare l’immoralità dell’aborto o dell’eutanasia, tutto sommato il mondo lo avrebbe lasciato in pace.
Se i cattolici vogliono vivere secondo un loro codice morale assai esigente, si accomodino pure. L’importante è che le leggi degli Stati siano trasformate secondo le nuove istanze libertarie e permissive della modernità. Ma il punto è che, invece, Giovanni Paolo II – in piena coerenza con la Tradizione della Chiesa – ha ribadito in ogni circostanza che l’aborto, come l’eutanasia e le altre forme di omicidio, sono delitti contro l’uomo. Lo sono in senso oggettivo, razionalmente dimostrabile, secondo una verità comprensibile a ogni uomo senza ricorrere all’ausilio della Rivelazione. Un vero Stato laico non può legalizzare l’aborto e l’eutanasia senza contraddire sé stesso. Dunque, il Magistero della Chiesa in questa materia non è riducibile a un fervorino domenicale per le anime dei praticanti, ma è un richiamo fortissimo alle autorità civili, affinché non legalizzino il delitto più grave. In questo modo, la Evangelium vitae e il pontificato di Giovanni Paolo II sono entrati in un clima di scontro con il mondo, che da anni cammina imperterrito sul sentiero della cultura di morte.
Questa giusta dottrina della Chiesa contiene un richiamo coraggioso alle democrazie moderne. La democrazia – ricorda Giovanni Paolo II (E.V., n. 70) – non è un fine ma uno strumento. E come tale, la sua moralità non è automatica ma dipende dalla conformità delle leggi positive alla legge naturale. Il valore della democrazia sta o cade con i valori che essa incarna. Dunque, se una legge pro-aborto è approvata con metodo democratico, la sua ingiustizia rimane, e quella nazione non è più una vera democrazia, ma un totalitarismo strisciante. Proviamo a fare questo esperimento: osserviamo su un atlante in quanti Paesi l’aborto è legale, e forse anche l’eutanasia. E chiediamoci: quante sono le “vere” democrazie, alla luce delle parole di Giovanni Paolo II?
Una sconfitta o una vittoria?
Il Papa ha speso la sua esistenza per testimoniare l’iniquità delle leggi contro la vita. La sua scommessa è stata vinta? A giudicare da come governi e parlamenti lo abbiano ascoltato, verrebbe da concludere amaramente di no. Anche all’interno della stessa comunità ecclesiale la sua parola coraggiosa sulla vita non è sempre stata accolta con generosità, né è stata seminata ovunque con la stessa passione. Quanti cattolici, anche fra i praticanti, conoscono e condividono i contenuti della Evangelium vitae? Quanti politici cristiani hanno collocato il tema della vita umana innocente al centro della loro azione, e in cima ai criteri di selezione delle alleanze e dei programmi di governo? Dunque, si può concludere che Giovanni Paolo II abbia perduto la sua battaglia per la vita? No. Egli ha seminato senza preoccuparsi troppo dei risultati. È stato segno di contraddizione. Ha parlato affinché nessuno potesse dire: noi non sapevamo. Ha vissuto come aveva scritto in quella poesia: «Se vuoi trovare la sorgente, devi andare contro corrente». Questa è la sua eredità più profonda, e il Timone saprà custodirla insieme a milioni di cattolici.
Dossier: Giovanni Paolo II: punti fermi
IL TIMONE – N. 43 – ANNO VII – Maggio 2005 – pag. 44-45