1. Il giorno 12 aprile 2000 è uscito, sull'inserto Scuola e formazione del quotidiano L'Unità, a firma del prof. Luigi Cajani dell'Università La Sapienza di Roma, un articolo intitolato “La storia in classe, un mostro eurocentrico”.
Nell'articolo, come si può comprendere facilmente anche dal titolo, viene sostenuta una tesi tanto semplice in apparenza, quanto carica in realtà di pericolose conseguenze, che è così riassumibile: il modo in cui viene insegnata la storia nelle scuole italiane è centrato ancora troppo sulla “biografia” della nazione italiana e sull'Europa; occorre invece iniziare ad insegnare la storia mondiale, dando sostanzialmente lo stesso peso alle diverse realtà storiche, geografiche e culturali, ed evitando di marginalizzare tutto ciò che non è Europa.
Le ragioni (se così si possono chiamare) che vengono addotte dall'estensore dell'articolo per giustificare questo auspicato passaggio alla storia mondiale sono in sintesi le due seguenti: l'attenzione nell'opinione pubblica al processo di globalizzazione economica che sta portando sempre più a considerare su scala mondiale anche il passato; la crescente immigrazione di extraeuropei che sta spingendo gli stati europei a trasformare la scuola in senso multiculturale. La tesi, che è ripresa direttamente da quelle dello storico illuminista tedesco Ludwig August Schlozer, è espressa anche affermando che insegnare la storia mondiale “significa fornire agli studenti un quadro omogeneo ed equilibrato, nel quale nessuna parte del mondo sia mai dimenticata, e che sia attraversato da chiavi interpretative valide sia nel tempo che nello spazio, capaci cioè di tenere insieme tutto il discorso storico, dalla rivoluzione neolitica ai giorni nostri”.
2. La tesi appena esposta è in realtà decisamente inquietante, e lo è innanzitutto per il modo in cui viene presentata: la “storia mondiale” viene fatta apparire come un esito ineluttabile per la nostra scuola, come un'idea contro la quale non ha senso lottare, come una scelta moderna, in linea con i tempi; non siamo di fronte a un invito ad una discussione seria e onesta, dove si fanno delle proposte nella consapevolezza della complessità e delicatezza dell'argomento, e pertanto rimanendo aperti alla possibilità della confutazione; al contrario, siamo di fronte a un tentativo sottilmente violento di persuasione, all'imposizione di una prospettiva che non si ha nessuna intenzione di discutere. C'è ragione di temere che articoli come questo siano la premessa a scelte nefaste e autoritarie simili a quella che ha portato ai nuovi programmi di storia. In realtà sono possibili e doverose diverse osservazioni.
Innanzitutto si deve notare come la pretesa di sostituire la storia mondiale all'attuale impostazione sia del tutto irrealistica e possa provenire solo da certi ambienti accademici, privi di una vera esperienza di insegnamento nelle scuole medie e superiori; infatti, già ora, anche nei licei (privilegiati come numero di ore dedicate alla storia), è difficile riuscire ad armonizzare compiutamente l'approfondimento (attraverso letture, ricerche, lavori di gruppo, riprese rigorose del dibattito storiografico) e lo sviluppo diacronico dei fatti storici. In altre parole anche limitandosi all'Europa, la vastità e l'importanza dei temi-chiave da affrontare è tale da rendere sconcertante anche solo l'idea di passare alla storia del mondo. Fare storia mondiale, in realtà, significherebbe mettere insegnanti e studenti nella pratica impossibilità di sostare criticamente su di un tema, di approfondire e ricercare, di impadronirsi alla fine del periodo di studi superiori almeno delle linee di fondo della storia del mondo occidentale. L'allargamento dei programmi alla storia del mondo significherebbe far sprofondare gli studenti (che spesso faticano a impadronirsi degli elementi minimi della storia italiana ed europea) in una palude di elementi e riferimenti disomogenei e indecifrabili se non al prezzo di imperdonabili e grottesche semplificazioni.
3. Inoltre va notato che il fare e lo studiare la storia significa necessariamente e comunque assumere un punto di vista, lanciare uno sguardo sul passato a partire da uno spazio e da un tempo determinati, nonché a partire da una tradizione culturale data. Ogni sguardo è prospettiva, è un guardare a partire da. Ne consegue che insegnare una generica storia mondiale è non solo molto difficile, ma a rigore contraddittorio: significa inseguire il sogno di uno sguardo panoramico, irreale e astratto, che non sorge da nessun contesto particolare. Inoltre, lo studio della storia non è utile solo come momento informativo, ma soprattutto come occasione formativa: il che significa adottare programmi relativamente limitati – l'opposto della storia mondiale! – sui quali però sia possibile quel già citato lavoro di scavo, quel fecondo sostare critico e interpretativo che solo permette di acquisire – sia pure embrionalmente – strumenti e metodi e, soprattutto, una autentica sensibilità storica e critica. La follia di allargare i programmi alla storia mondiale è inoltre evidente se si pensa che questa operazione si incrocerebbe con la rovinosa restrizione (uno dei tanti frutti avvelenati lasciati in eredità dal ministro Berlinguer) del programma di storia dell'ultimo anno delle scuole medie inferiori e superiori al solo studio del Novecento. In alcuni casi in uno o due anni si dovrebbe studiare la storia del mondo dall'età neolitica alla fine dell'Ottocento!
La proposta del prof. Cajani è fragile anche quanto a giustificazioni, infatti queste si basano fondamentalmente su un acritico riferimento alla globalizzazione e all'immigrazione, fatti che dovrebbero spingerci remissivamente a creare una scuola multiculturale. Qui davvero occorre fare due chiarimenti: innanzitutto i due processi citati non sono fatali, ma dipendono da scelte e decisioni politiche, nonché da interessi e strategie economiche precise. In secondo luogo, non è affatto detto che siano due processi in sé positivi e che la risposta più corretta sul piano della pubblica istruzione consista nell'abdicare alla propria tradizione spirituale e culturale accelerando così il processo di dissoluzione mondialista dell'identità italiana ed europea. Del resto, va ribadito, solo la più profonda conoscenza del passato della civiltà di cui si fa parte (nel nostro caso rappresentato dalle radici greco-romane ed ebraico-cristiane dell'Occidente) può aprire ad una successiva comprensione della storia di altri popoli e tradizioni: posso capire e apprezzare le differenze solo a partire d. un saldo possesso della mia identità. Chi non conosce la propria storia è infatti cieco e sordo anche di fronte al presente inerme di fronte a ogni manipolazione e violenza del potere: il totalitarismo, ciò largamente noto, ha nella riscrittura e alterazione del passato uno dei suo aspetti fondamentali.
La proposta di una storia mondiale è soli l'ultimo atto di una violenta aggressioni alla scuola italiana, che forse solo quando sarà troppo tardi ci accorgeremo di quanti danni abbia fatto. Il progetto del governo, colpo dopo colpo, sembra davvero essere la distruzione del passato, la cancellazione di interi periodi storici decisivi (come il Medioevo), lo schiacciamenti sul Novecento, in vista di una rimozione di uno svilimento dell'identità cristiano-europea.
RICORDA
"La scuola, l'insegnamento impartito, giorno per giorno, durante anni, agisce come una forza grandissima, lenta, ma persistente, quasi invisibile, ma pertanto più radicale. Non si dica che i maestri dovrebbero venir costretti ad accantonare le convinzioni ideologiche personali, durante la loro attività nella scuola. Si chiederebbe ad essi di fare cosa impossibile, sia pure nelle cosiddette materie "neutrali", per non parlare delle altre discipline scolastiche. Sarebbe però un'offesa ai più elementari diritti dell'uomo, se si volessero costringere i genitori ad affidare i propri figli all'influenza di una scuola i cui maestri hanno un atteggiamento indifferente, negativo e persino ostile nei riguardi delle convinzioni religiose e morali della famiglia."
(Papa Pio XII, All. alla Associazione dei Maestri Cattolici di Baviera, 31.12.1956).
IL TIMONE – N. 8 – ANNO II – Luglio/Agosto 2000 – pag. 4-5