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12.12.2024

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Il più antico martirologio
31 Gennaio 2014

Il più antico martirologio


Il più antico fra gli Atti di martiri che si conosca è Il Martirio di San Policarpo, una lunga lettera composta nel secondo secolo dalla Chiesa di Smirne e diretta «a tutte le comunità della santa Chiesa Cattolica in ogni luogo». Policarpo, vescovo, era un discepolo degli apostoli, nominato da Giovanni l’evangelista alla guida della Chiesa di Smirne, e autore di importanti lettere rivolte alle comunità cristiane del tempo. Questo prezioso documento inizia descrivendo i supplizi dei cristiani nei circhi romani, «ridotti a brandelli dalle frustate che arrivavano in profondità fino alle vene e alle arterie più interne», o «stesi su triboli e su aguzzi pali» o «gettati in pasto alle belve». Gli amici di Policarpo lo scongiurarono perciò di andarsene, ma egli «conservando la propria anima calma e salda volle rimanere in città». Tuttavia i soldati, con la tortura, riuscirono a far parlare quanti erano a conoscenza della sua dimora, e «giuntivi a tarda ora, lo trovarono che dormiva in una soffitta, da dove non volle fuggire, pur essendogli possibile rifugiarsi in un’altra casa, dicendo “Sia fatta la volontà di Dio”».
Policarpo (69-155d.C.) aveva 86 anni, e si consegnò «con un viso così dolce e benevolo» che i suoi sequestratori rimasero colpiti dalla santità e dalla tranquillità del suo portamento mentre veniva preso per essere ucciso. Anzi, il vescovo, prima di essere condotto via, volle offrire loro una cena, esortandoli a prendere cibo con sazietà. Fece poi loro richiesta di una sola ora per poter pregare in raccoglimento, e gli fu concesso. Finita la preghiera, «ricordando tutti, anche coloro che allora erano con lui, e tutta la Chiesa diffusa nel mondo», lo condussero su un asino fino all’einarca, il responsabile dell’ordine pubblico, che cercò di persuaderlo a rinnegare la sua fede dicendogli: «Che male c’è nel chiamare Cesare “Signore”, nel sacrificargli, e così salvarsi?». Vista però la sua resistenza, lo insultarono volgarmente e lo spinsero violentemente a terra. Condotto verso lo stadio fu accolto dal gran clamore della folla inferocita, ma «appena entrò sentì una voce dal cielo dirgli “Forza Policarpo, sii forte”; nessuno vide chi aveva parlato, ma molti dei nostri udirono la voce».
Il proconsole, appena lo vide, lo invitò ad abiurare dicendo: «Abbi riguardo della tua età! Giura nel Genio di Cesare! Pentiti e dì: “Basta con gli atei!”». Gli “atei”, per i romani, erano coloro che non credevano negli dei, ma poiché, per Policarpo, gli atei erano invece coloro che non credevano in Cristo, disse volentieri: «Basta con gli atei!». Il proconsole, poco convinto, gli si avvicinò e gli disse: «Giura e ti libererò! Insulta il Cristo!». Ma Policarpo rispose: «Sono suo servo da ottantasei anni, e non ho ricevuto da lui nessuna ingiustizia. Come potrei insultare il mio re, colui che mi ha dato la salvezza? ». Poi guardò negli occhi il proconsole e aggiunse: «Sono cristiano! E se vuoi apprendere l’insegnamento del Cristianesimo basterà che tu mi ascolti per un giorno!» I romani infatti non conoscevano il cristianesimo, ma lo perseguitavano basandosi solo su calunnie e false dicerie. E il proconsole: «Ho le belve, e a queste ti darò in pasto se non abiuri la tua fede. E se non ti curi delle belve ti farò consumare dal fuoco”». E Policarpo: «Tu minacci un fuoco che brucia per un’ora e poco dopo si spegne, Il più antico martirologio ma ignori il fuoco del giudizio futuro e del castigo eterno destinato agli empi». Il console allora inviò l’araldo in mezzo allo stadio a proclamare tre volte: «Policarpo si è dichiarato cristiano!». Il pubblico infatti doveva venire informato del motivo dell’esecuzione.
All’udire ciò i pagani e i giudei dello stadio esplosero in un boato, e poiché l’ora dello spettacolo delle belve era terminata, invocarono a gran voce di bruciare vivo Policarpo.
Fu la folla stessa a trasportare fuori dalle officine e dalle terme legna e fascine per la pira, mentre Policarpo pregava. Non appena proferì l’amen, fu attizzato il fuoco ai suoi piedi. I cristiani di Smirne così riportano nella loro lettera: «A noi, ai quali fu concesso di vedere il prodigio di una grande fiamma che risplendeva, è stato riservato il compito di raccontare ad altri il miracolo che accadde: il fuoco, prendendo forma di volta come la vela di una nave gonfiata dal vento, avvolse il corpo del martire, che vi si trovava in mezzo non come carne bruciata, ma come oro e argento arsi in una fornace; infatti sentivamo profumo simile a quello dell’incenso».
Vedendo quel corpo non consumarsi, i persecutori ordinarono al confector (colui che è adibito a dare il colpo di grazia nelle arene) di avvicinarsi e trafiggerlo con una spada. Eseguito l’ordine «ne uscì una così grande quantità di sangue da riuscire a spegnere il fuoco e a far meravigliare il popolo della grande differenza esistente tra coloro che non credono e gli eletti». Il suo corpo venne distrutto, ma i fedeli, per i quali egli era amato maestro e diretto discepolo degli apostoli, ne raccolsero le reliquie: «Noi, raccolte le sue ossa, più preziose delle pietre pregiate, e più inestimabili dell’oro, le riponemmo in un luogo conveniente. Qui, finché sarà possibile, il Signore ci concederà di riunirci nella gioia e nella letizia per commemorare l’anniversario del suo martirio, in ricordo di coloro che hanno lottato prima di noi per la fede, e per esercizio e preparazione di coloro che lo faranno dopo di noi». La Chiesa ne fa memoria il 23 febbraio.

IL TIMONE N. 110 – ANNO XIV – Febbraio 2012 – pag. 61

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