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14.12.2024

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Il Prete in confessionale
31 Gennaio 2014

Il Prete in confessionale

 

 

A volte, qualche impedimento alla confessione lo mettono i preti. Meglio andare incontro alle esigenze dei fedeli. Anche quando vorrebbero confessarsi durante la messa. Intervista a don Tino Rolfi, storica voce di Radio Maria

Ha scritto (e pubblicato) persino una “Supplica anonima” all’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi, perché permetta di nuovo le confessioni durante la messa della domenica… Magari in questo don Tino Rolfi sarà poco “liturgico” (se si sta celebrando un sacramento, infatti, è ben difficile celebrarne contemporaneamente un altro…) e scarsamente “aggiornato”; però lui è fatto così, parla per abbondanza del cuore. «È un peccato vedere la fila lì fuori e dover abbandonare il confessionale! La gente bisogna accoglierla quando viene, sennò ci resta male e poi si allontana anche dal sacramento!».
Non è l’unica cosa in cui don Tino va controcorrente. 67 anni, aiutante in una parrocchia del varesotto e da 22 anni collaboratore anche di Radio Maria, la sua idea sulla cosiddetta “crisi della confessione” è ben diversa da quelle dei confratelli: «Non è vero che non ci si confessa più, anzi tutt’altro! Le persone cercano il sacerdote più che mai, più di prima, persino con ansia. Si sente un bisogno estremo della Confessione, semmai, a volte, capita che siano i preti ad allontanare i fedeli».

Ma cosa dice, don Tino? I preti?
«Ma sì, perché hanno messo delle regole “strane” che impediscono a chi lo desidera di accostarsi più spesso al Sacramento della Penitenza. Lo so anch’io che l’ideale sarebbe non confessarsi durante la messa, però dobbiamo anche adeguarci alle richieste della gente semplice… Comunque, la maggior ragione dell’allontanamento dall’inginocchiatoio dei confessionali sono i sacerdoti che intendono il sacramento in modo formalistico, come qualcosa di burocratico, mentre è un incontro di cuori e soprattutto un incontro con Cristo».

Lei è uno di quelli che in confessione fanno molte domande, tipo interrogatorio?
«Per carità, tutt’altro! Lasciamo che le persone dicano ciò che hanno nel cuore, senza pretendere di fare gli inquisitori, sennò le scoraggiamo troppo. La difficoltà maggiore dei cristiani di fronte al confessore è infatti sentirsi giudicati; se invece trovano il padre, vengono a frotte. La gente – se incontra un prete buono, nello stesso tempo umano e ministro di Dio – allora si apre con grande libertà e sincerità, perché cerca qualcuno in cui deporre le sue angosce, le proprie miserie. Non si è mai troppo indulgenti, insomma; occorre che le persone si sentano capite e non valutate in base a un canone».

D’accordo. Ma la lista dei peccati bisogna pur farla… O no?
«Sì, è assolutamente necessaria, ma noi confessori non dobbiamo puntare anzitutto su questo. Ripeto: oc corre ascoltare ciò che il penitente si sente di dire in base alla sua coscienza. Per esempio, oggi per i giovani (a differenza delle persone di una certa età, a causa dell’educazione ricevuta) il peccato sessuale praticamente non esiste e con un interrogatorio troppo circostanziato si corre il rischio di far sorgere dei turbamenti dove non è necessario. In sintesi: tribunale sì, ma di misericordia».

E allora che cosa cerca il fedele nel confessionale?
«Vuole sentire una parola diversa, una parola di vita eterna che gli entri dentro e lo possa cambiare… La maggioranza dei penitenti cerca questo, desidera iniziare una vita nuova. E del resto si tratta di un atteggiamento corretto, altrimenti la penitenza si risolve in pura formalità».

Di che cosa si accusano i penitenti oggi?
«Un po’ di tutto. Problemi matrimoniali, coi figli… Ognuno ha la sua storia, l’importante è non dare mai l’idea che la si giudica negativamente. A volte si instaura anche una specie di direzione spirituale, secondo le persone e le circostanze. Senza forzare però».

E le penitenze? Quali sceglie, di solito?
«Soprattutto preghiere alla Madonna, perché aiuti a risollevarci, o preghiere di suffragio per i defunti, a volte anche opere di carità».

Ma quali possono essere i frutti anche umani della confessione?
«La gioia, la pace interiore. Poi il resto viene di conseguenza, perché quando uno si sente perdonato da Dio è a sua volta portato a perdonare, a passare sopra a molte questioni… E si diventa anche distributori di gioia verso gli altri».

Tempo fa circolava questa obiezione: perché devo confidare i miei problemi a un uomo, quando posso farlo direttamente a Dio?
«In realtà la gente capisce benissimo che non è la stessa cosa: se le proprie miserie le dice direttamente a Dio non ha un interlocutore umano; se invece le depone in mano a un prete che fa da mediatore, si sente molto più appagata e perdonata. Anche per questo l’esperienza delle confessioni con preparazione comunitaria non ha incontrato molto successo, perché di solito si cerca il colloquio personale».

Un altro luogo comune è che la Confessione sarebbe la «psicoanalisi dei poveri»…

«Non è vero. Lo psicologo è un professionista che svolge un lavoro, tra l’altro retribuito, mentre nel Sacramento della Confessione il referente è Dio stesso. A cui chiediamo di essere compresi ben più a fondo che dallo psicoanalista».

In conclusione, che cosa consiglierebbe a un cristiano che fatica a entrare nel confessionale?
«Non abbia paura di pregare e di cercare il prete giusto che lo aiuti a seguire il suo cammino di conversione. E sa una cosa? Di solito noto che i preti giovani sono molto ben preparati per questo ministero, mentre gli anziani – educati con un’altra mentalità – hanno più problemi».
Egli sa che in quell’angolo oscuro, in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine».

 

 

 

 

Dossier: Il Sacramento della Penitenza

 

IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 42 – 43

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