Che cos’è il purgatorio? Creduto dai cattolici e negato da altri cristiani. I fondamenti dottrinali del costante insegnamento del Magistero della Chiesa, fondato sulla Sacra Scrittura e la Tradizione ecclesiastica.
Lo sguardo della fede sull’aldilà è un aspetto fondamentale della nostra vita di credenti, anzi elemento che ci distingue essenzialmente dagli increduli. Per noi cattolici, poi, è parte integrante di questo sguardo la realtà del purgatorio. Occorre dunque ripescarlo dall’oblio in cui sembra essere caduto, almeno per una parte dei teologi, predicatori e catechisti di oggi, difenderne la verità dell’esistenza, ripresentarne il valore dottrinale e spirituale.
Che cos’è il purgatorio? Per comprenderlo correttamente occorre dire anzitutto che cosa non è: non è uno stato intermedio tra la salvezza e la perdizione; esistono solo due possibilità di sbocco per la nostra vita: o per sempre con Dio o per sempre senza Dio. Per coloro che vivono e muoiono senza Dio non c’è altro che l’immediata e definitiva condanna; per coloro che si salvano ci sono invece due possibilità: o l’ingresso immediato in paradiso, o una sosta di purificazione e di preparazione alla beatitudine; costoro sono già salvati, ma devono prepararsi a godere appieno di tale salvezza.
La ragione di questa esigenza di purificazione è evidente: l’eccelsa santità di Dio è incompatibile con la più piccola imperfezione per cui la creatura che si avventurasse nell’unione perfetta con Dio del paradiso senza essere in armonia con Lui non ne avrebbe beatitudine, ma sofferenza. In altre parole potremmo dire che solo chi è già totalmente incandescente del divino amore può entrare nell’oceano di fuoco della santissima Trinità senza rimanerne scottato.
Non è dunque difficile immaginare che anche colui che muore nella grazia del Signore si trovi a dover espiare nel purgatorio sia i peccati veniali e le imperfezioni di cui è gravato al momento del trapasso, sia le scorie dei peccati mortali, già confessati quanto alla colpa durante la vita, ma non pienamente espiati quanto alla pena.
In che cosa consista precisamente la purificazione che si patisce nel purgatorio resta misterioso. Certamente non si gode la visione beatificante di Dio, mancanza particolarmente dolorosa per l’anima salvata che, in quanto tale, aspira a questo con tutta se stessa. Privazione, però, mitigata dalla certezza di giungervi al più presto, e senza più il pericolo di perderla.Questo è il costante insegnamento del Magistero della Chiesa, fondato sulla Sacra Scrittura e la Tradizione ecclesiastica. Ma è proprio qui che molti fratelli separati che pure si dicono cristiani come noi non ci seguono più. Le Confessioni protestanti e i movimenti religiosi di derivazione cristiana, ad esempio avventisti, testimoni di Geova, mormoni, ecc…, negano la realtà del purgatorio e quindi la sua fondazione nella Bibbia e nella più antica Tradizione cristiana, mentre la fanno risalire ad una invenzione della cristianità medievale.
Vediamo dunque brevemente dove la Chiesa attinge la sua fede sull’esistenza e natura del purgatorio.
Nel primo Libro dei Maccabei, leggiamo della sollecitudine di Giuda Maccabeo per quegli israeliti morti in battaglia a cui vengono trovati addosso degli amuleti pagani. Quel santo condottiero vede nella loro morte un castigo per la loro superstizione, ma ritiene anche che l’eroismo dimostrato in battaglia li abbia salvati; per questo esorta i presenti a pregare per loro, «poi, fatta una colletta… inviò (il denaro) a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo evidentemente buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione… Egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà… perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato» (vv. 43-45).
Nel Nuovo Testamento troviamo significative allusioni che, almeno indirettamente, insinuano l’idea del purgatorio: – in Matteo 5,25-26 leggiamo: «Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per strada con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo!». Questo brano suggerisce il rimando ad un “carcere” ultraterreno in cui si paga fino in fondo il debito con la divina giustizia;
– in Matteo 12,32 troviamo che: «… la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata né in questo mondo né in quello futuro». Questa espressione può essere semplice iperbole enfatica per dire la gravità di un peccato, ma indubbiamente sottintende l’esistenza di peccati che possono essere espiati dopo la morte; – nella prima Lettera ai Corinti (3,14-15) si dice: «Se l’opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l’opera finirà distrutta sarà punito; tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco». C’è dunque una salvezza già acquisita, quindi ultraterrena, che però richiede ancora una purificazione sofferente; – infine nella medesima Lettera ai Corinti (15,29), san Paolo cita, seppure senza approvarla, la pratica di coloro che si fanno battezzare al posto di quelli che sono morti mentre si preparavano al battesimo, ma senza averlo potuto ricevere. Al di là del giudizio sulla cosa in sé, resta affermata come ovvia l’idea di suffragare, addirittura in questo caso con un battesimo vicario, le anime dei defunti.
Da queste premesse bibliche la Tradizione cristiana ha tratto fin dalle origini la sua dottrina e la sua prassi: – gli Atti dei Martiri e le iscrizioni delle catacombe attestano la convinzione delle prime generazioni cristiane che sia opera di pietà pregare per i defunti, fatto inspiegabile se non come soccorso a chi è nella salvezza (ai dannati non può giovare), ma in via di purificazione (per i beati non ci sarebbe motivo); – i Padri della Chiesa, tanto d’Oriente come d’Occidente, sono unanimi nell’affermare l’espiazione ultraterrena delle colpe veniali e quindi il valore dei suffragi, specialmente la messa, le preghiere e le elemosine, e nel riprovare con energia le dottrine contrarie, come ad esempio quella dell’eretico Ario, primo negatore dell’efficacia della preghiera per i defunti; – nel medioevo i grandi maestri scolastici enucleano gli elementi essenziali dell’escatologia cristiana: il giudizio particolare che segue immediatamente la morte, la conseguente biforcazione in salvezza o dannazione, l’esigenza di purificazione per una parte dei salvati.
Il Magistero della Chiesa ha poi formulato dogmaticamente i dati della Scrittura e della Tradizione, e il popolo cristiano li ha da sempre vissuti con fervore: la sollecitudine per i defunti è stata ed è tutt’ora parte fondamentale e sentita della pietà cattolica.
Occorre aggiungere, però, che purtroppo nell’attuale contesto new age e sincretista c’è il rischio che l’ottica di fede con cui si è guardato sin qui al rapporto con i propri cari defunti sia contaminato o addirittura sostituito da pratiche superstiziose. Siamo tutti curiosi di saperne di più sull’aldilà, ma occorre restare nell’ambito della fede e rinunciare assolutamente alle scorciatoie: il tentativo di comunicazione con i defunti attraverso presunti sensitivi, veggenti o affini è da rigettare senza tentennamenti. Se vogliamo giovare ai nostri cari defunti in quella mirabile economia che è la Comunione dei Santi dedichiamoci piuttosto ai suffragi: la santa messa, le indulgenze, l’offerta di preghiere e penitenze.
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 28 – 29