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12.12.2024

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Il Purgatorio di Dante. In cammino verso la meta
31 Gennaio 2014

Il Purgatorio di Dante. In cammino verso la meta

 

 

Il sommo poeta racconta con insuperata bravura uno dei grandi misteri della fede cattolica: la condizione di coloro che – dopo il giudizio particolare – scontano le loro colpe  in attesa del Paradiso.


 

 

L'alternativa all’inferno, osservava il poeta Eliot, è il purgatorio. Era, la sua, una provocazione al senso comune secondo cui si vorrebbe sempre instaurare il “paradiso in terra”, con o senza Dio. Eliot aveva smesso di credere che gli uomini “fossero a posto” quando giunse a scoprire il dramma della condizione umana: il fatto che siamo peccatori. Come un salmone risale controcorrente il corso del fiume sino alle sorgenti, egli proseguì nel percorso dell’illustre collega Dante Alighieri, ossia dell’unico artista che, nella letteratura di tutti i tempi, avesse cantato la condizione spirituale delle anime che vanno incontro al giudizio particolare dopo la morte, il cui esito potrebbe essere per alcune quello che la Chiesa cattolica ha definito “purgatorio” nel Concilio di Lione nel 1274.

Gioia contenuta e desiderio di rimediare

Dante scrisse il Purgatorioattorno al 1315 non per completare il disegno simmetrico del suo poema ma perché, da uomo, provava orrore al pensiero di poter finire, dopo morto, separato in eterno dalla felicità con Dio. Anelava invece a stare nella casa del Padre per tutto il migrare dei giorni. Così con la sua poesia fece eco al sospiro segreto del cuore, il quale domanda “che ne sarà di me?”. Per questo, la lirica purgatoriale descrive visioni stupende di orizzonti marini, onde azzurre sotto albe celesti, cieli tersi, silenzio e quiete, e talvolta anche una musica che non stona nel silenzio: perché raffigura ciò che il Creatore offre gratuitamente alla sua creatura, la bellezza della vita.
Certo, la prima percezione che il pellegrino prova, giunto in Purgatorio, è la contentezza: ed è un buon segno. Il rimorso dei propri peccati viene dopo, tramite la figura del vegliardo Catone, il guardiano severo che segnala ardua la via per la purificazione, in salita: è espiazione, perché senza pentimento non c’è cammino e occorre camminare finché c’è luce (in tutto il poema sacro, solo qui Dante dorme di notte, e sogna…). Anche gli incontri con le anime purganti conferiscono una atmosfera di “santa fretta” al suo viaggio: la coscienza delle colpe commesse rimorde, si vorrebbe confessare e subito rimediare, fare penitenza. È questa una Cantica da leggere pellegrinando, andando a piedi, magari verso un santuario, dando tempo al tempo: tant’è che a partire dal Canto XXVIII la narrazione si fa liturgica, per esporre in allegoria le vicende profetiche della Chiesa, sposa di Cristo, nella storia umana.
Qui il peccato, cioè il giudizio cristiano sulle libere azioni degli uomini, appare finalmente come violenza contro Dio, declinandosi in orgoglio, arroganza, sfruttamento, indifferenza, freddezza, frivolezza, bestialità. Dante sale assieme ai penitenti, si duole delle colpe, ascolta le voci di esempi di virtù; un Angelo gli cancella di volta in volta una delle “P” (= peccato) scritte in fronte. Nel finale, solo dopo aver attraversato le fiamme purificatrici, la sua persona è rallegrata dall’incontro con Beatrice, il primo amore portatogli via da morte precoce molti anni prima. La donna angelicata però, al vedere colui che un tempo le fu devoto, lo sottopone a una dura requisitoria, atta a svelargli la triste realtà dei peccati commessi contro l’amore divino; tra i due, la promessa di un ricongiungimento è perciò affidata alla meta più alta, il Paradiso. Ecco dove i destini dell’umanità e di ogni singolo uomo coincidono: alla presenza del Risorto, l’unico fedele alle promesse fatte.
Angeli e incontri verso il compimento
Verso il grande amore c’è quindi un sentiero praticabile. Dante lo ha percorso assieme alla guida Virgilio, separandosi da lui solo verso la cima, senza preavviso, e con dolore (Canto XXVII). Nel frattempo, la vicinanza del Signore era divenuta concreta per mezzo degli Angeli, le cui ali verdi (Canto VIII) rinfocolando la speranza, rinnovellavano la «viriditas», la forza vitale donata dal creatore, secondo santa Ildegarda di Bingen. In Purgatorio il viandante incontra di nuovo gli amici fiorentini di un tempo: Casella, Belacqua, Forese Donati; fa conoscenza dei grandi mai conosciuti di persona (Manfredi imperatore, Sordello da Goito trovatore, il teologo Marco Lombardo, i poeti Guinizelli, Arnaut Daniel e Stazio); subisce le giuste invettive di donne virtuose perché forti nella fede (Beatrice, Matelda). Qui scopre la novità che spezza la monotonia del peccare: l’allegoria conclusiva del Grifone cela la figura del Dio fatto uomo, apocalissi della storia dell’umanità redenta. Nella medioevale architettura del poema dantesco, la “testata d’angolo” su cui segretamente poggia il peso dell’ampia struttura dell’opera (oltre 14.000 versi endecasillabi ritmati in terzine) è la parola “amore”, che appare incastonata a metà del Canto XVII, contemporaneamente al centro esatto del Purgatorio e al centro simbolico dell’intera Divina Commedia.
In tal modo, qualunque momento della vita dell’uo-mo sulla terra viene illuminato poiché la Grazia lo riscatta: nel Canto V, le scene di morte violenta vengono affidate alla compagnia di Maria Vergine; nel Canto XI i superbi pronunciano il loro umile Pater Noster; nel contrappasso degli invidiosi del Canto XIII, il peccato che nell’Inferno non era stato menzionato lo si sconta ascoltando esempi di carità, a ribadire che “Deus caritas est”.
Questa poesia cristiana dice che in qualunque punto della salita potremmo passare alla vita eterna, grati per aver avuto tutto in dono: la morte è sì un amaro calice, ma in un Dante così ispirato dalle sante Muse la nostra condizione terrena è sostenuta dalla fiducia che, anche se incompiuti, potremo essere completi di là, nella misericordia di Dio Padre, nel Giardino di Adamo, nella «divina foresta spessa e viva» (XXVIII,2). Il Purgatorio dantesco mostra come la fede sia conforto e compimento, e la rende desiderabile:
«quando dicesti: Secol si rinova; torna giustizia e primo tempo umano, e progenie scende dal ciel nova. Per te poeta fui, per te cristiano»
(XXII, 70-73).

Sarà per questo valore luminoso e non ambiguo che molti docenti delle scuole italiane non vedono l’ora di smettere di insegnare Dante (e con lui Manzoni): ma vogliamo davvero che siano loro a istruire i nostri figli?

Ricorda

«Che cos’è il purgatorio?
Il purgatorio è lo stato di quanti muoiono nell’amicizia di Dio, ma, benché sicuri della loro salvezza eterna, hanno ancora bisogno di purificazione, per entrare nella beatitudine celeste.
Come possiamo aiutare la purificazione delle anime del purgatorio?
In virtù della comunione dei santi, i fedeli ancora pellegrini sulla terra possono aiutare le anime del purgatorio offrendo per loro preghiere di suffragio, in particolare il Sacrificio eucaristico, ma anche le elemosine, indulgenze e opere di penitenza».
(Compendio del Catechismo della Chiesa cattolica, nn. 210-211).

 

IL TIMONE – N.62 – ANNO IX – Aprile 2007 pag. 48-49

 

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