José del Rio, adolescente messicano, venne ucciso in odio alla fede cattolica.
Aveva un coraggio straordinario. Gli aguzzini lo condussero davanti alla fossa, facendolo camminare scalzo, dopo avergli spellato la pianta dei piedi.
Presto proclamato beato.
Messico, 1926: sul Paese centroamericano si abbatte la furia della persecuzione. Nella terra dove nel ‘500 era apparsa Maria, venerata come Vergine di Guadalupe, patrona delle Americhe, è esplosa, a partire dal 1910, la follia rivoluzionaria, che da utopia umanitarista si è presto trasformata in guerra sanguinosa per il potere. Il Messico degli anni ’20 vede al potere una classe dirigente giacobina, massonica, dotata di saldi appoggi da parte di centri di potere economico-finanziari internazionali, in particolare statunitensi, spietatamente anti-cattolica.
Quello che accadde in quegli anni in Messico fu una realtà terribile, che vide il martirio di decine di migliaia di cattolici messicani. A partire dalla Costituzione promulgata nel 1917 erano state tolte loro le libertà fondamentali, chiusi gli ospedali, le cliniche, gli orfanotrofi, gli istituti di accoglienza, le scuole e gli istituti educativi e di ospitalità retti dai cattolici. Era stata soppressa ogni realizzazione sociale, pubblica, che la fede e la carità avevano realizzato nel corso di quattro secoli. Veniva lasciata, ma solo per poco tempo ancora, la libertà di celebrare il culto.
Di fronte all’aggressione i cattolici percorsero ogni via pacifica di opposizione: dalla raccolta di più di un milione di firme di protesta, al boicottaggio dei prodotti governativi, ad altre forme di resistenza civile e non violenta. La risposta del governo fu un ulteriore giro di vite: arresti, torture, fucilazioni senza la parvenza di un processo. Ne fecero le spese tutti, anche se particolare fu l’accanimento nei confronti di religiose e sacerdoti. Alcuni di questi, come Padre Miguel Pro, gesuita, autentico apostolo dei poveri, sono stati in anni recenti beatificati da Giovanni Paolo II. A questi, a breve, si aggiungerà un ragazzo, Josè Sanchez del Rio, assassinato in odio alla fede a soli quindici anni, il cui decreto di beatificazione è stato firmato il 22 giugno 2004 da papa Giovanni Paolo II. Josè aveva solo tredici anni quando nel 1926 la persecuzione anti-cattolica era entrata nella sua fase più aspra e sanguinosa. Egli viveva a Guadalajara, città che era diventata il caposaldo della resistenza cattolica.
Dopo una lunga opposizione non-violenta, i cattolici erano stati costretti a prendere le armi per difendersi, costituendo un esercito di volontari sprezzantemente chiamati Cristeros dai governativi, a motivo della loro devozione a Cristo Re (da Cristos Reyes). In verità furono davvero soldati di Cristo Re, impegnati nella legittima difesa delle proprie vite, di quelle dei propri cari e di ciò che di più caro avevano: la fede in Nostro Signore Gesù Cristo, fede colpita, negata, oppressa dai propri nemici.
Due erano le priorità nelle prime fasi dello scontro: la difesa delle chiese e l’attuazione del culto clandestino. La Gioventù Cattolica prestò a queste opere il personale e l’entusiasmo. I Vescovi disponevano, in questi ragazzi, di elementi preziosi e fidati, decisi ed eroici.
Molti di questi eroi erano semplici ragazzi, come Josè Sanchez del Rio, che aveva appena tredici anni e apparteneva alla Gioventù Cattolica, sezione aspiranti. Quando il governo diede inizio alla persecuzione, volle far parte dell’Armata, andandosi a presentare ad uno dei suoi capi, il generale Mendoza. «Se io non sono in grado di portare il fucile – disse – potrà servirsi di me in molti modi, come custodire i cavalli, lavorare in cucina, portare l’acqua e le munizioni». Volle essere un soldato di Cristo Re. Scrisse alla madre: «Mamma, non lasciarmi perdere la bella occasione di guadagnarmi il Paradiso con così poca fatica e molto presto».
Era un ragazzo vivace, ancora quasi bambino, un amico per tutti pronto al gioco e allo scherzo, ma che non tralasciava mai di partecipare ogni giorno alla Messa e di accostarsi ai Sacramenti. Tra i suoi compagni di gioco c’era un amico più piccolo, di nome Marcial Maciel, che sopravvisse alla carneficina e più tardi divenne sacerdote. Anni dopo, memore anche della testimonianza dei martiri di Cristo Re, avrebbe fondato un movimento ecclesiale chiamato Regnum Christi, oggi diffuso in tutto il mondo e attivamente impegnato nel campo dell’apostolato, i cui membri del ramo religioso sono noti come Legionari di Cristo.
Josè si unì ai combattenti: nell’accampamento era il beniamino, benvoluto da tutti. Pochi mesi dopo, fu ammesso a far parte del corpo di spedizione che si impegnò a fondo nella battaglia di Cotija il 5 febbraio 1928, stando accanto al generale Mendoza. Quando il cavallo del suo superiore cadde ucciso, il piccolo soldato saltò a terra, offrendo al generale la sua cavalcatura. Il suo gesto non servì: vennero fatti entrambi prigionieri. I nemici si stupirono per la presenza di un ragazzino tra le fila dei Cristeros: lo minacciarono di fucilazione se non avesse dato notizie sui ribelli. Josè si oppose, sdegnato. Venne rinchiuso nella chiesa del villaggio, che era stata trasformata in pollaio. Passò la notte pregando, ma quando si accorse, alle prime luci dell’alba, della presenza di galli e galline in chiesa, preso dall’indignazione tirò il collo a tutti gli animali. Per questo, i carcerieri lo picchiarono selvaggiamente. Alle botte Josè rispose: «Lasciatemi vivo per la fucilazione, per morire martire».
Per incutergli timore, lo fecero assistere alle impiccagioni di altri prigionieri, ma il ragazzo non si fece prendere dalla disperazione, e pregava per loro. Gli fu permesso di scrivere alla mamma: «Cara mamma, mi hanno catturato e stanotte mi fucileranno. È venuta l’ora che io ho atteso tanto. Io ti saluto insieme ai miei fratelli, e ti prometto che in Paradiso preparerò un buon posto anche per voi tutti». Si firmò Josè Sanchez del Rio, «che muore in difesa della Fede, per amore di Cristo Re e della Regina di Guadalupe».
Alle 23 del 10 febbraio 1928 il giovinetto venne condotto al cimitero. Gli spellarono la pianta dei piedi e il tragitto divenne per lui un tormento inimmaginabile. Più volte gli fu proposto di abiurare, ma rimase fedele. Con forza sovrumana, durante il percorso cantò l’inno “Cristo vince, Cristo regna, Cristo impera”. Lo portarono accanto alla fossa che era stata scavata. Inferociti dal suo atteggiamento, i soldati lo colpirono coi fucili e con pugnalate. Josè sanguinando non piangeva né tremava, disse anzi loro: «avanti, avanti, ancora un po’ e poi sono con Gesù». Un colpo di pistola alla testa lo finì.
Così terminò il pellegrinaggio terreno di questo santo fanciullo, vissuto tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio. Josè del Rio è per la Chiesa messicana e per quella universale una grande, commovente testimonianza di fede: il suo martirio, l’offerta della sua vita a Cristo, non è solo il ricordo di una spaventosa vicenda storica, ma è un segno per i tempi della nuova Evangelizzazione.
DA NON PERDERE
M. Belli – Alten – P. Brughera, José del Rio, Edizioni Art, Milano 2005, euro 8,00.
L’Editrice ART ha pubblicato un agile album a fumetti sulla vicenda del giovanissimo José del Rio. L’introduzione è curata da Paolo Gulisano che inquadra gli avvenimenti tragici vissuti da Josè nella prospettiva più ampia della storia del Messico dagli anni Venti agli anni Trenta. Nelle 64 pagine di questo volumetto lo sceneggiatore Marco Belli, i disegnatori del team Alten e la colorista Pamela Brughera non lasciano nulla al caso. La vita del piccolo martire – dall’infanzia fino al suo triste epilogo – è stata riprodotta fedelmente con rigore storico e scientifico. In particolare si è potuto avere accesso alla positio di José, cioè l’insieme dei documenti che i postulatori presentano alla Congregazione delle Cause dei Santi. Con identica accuratezza si è ricreato tutto l’ambiente in cui ha vissuto questo ragazzo: il paesaggio, gli abiti, i modi di dire, le armi, l’equipaggiamento, etc. Il tutto per restituire quanto più realisticamente possibile al lettore, ragazzo o adulto che sia, questa straordinaria vicenda umana e di fede.
(Tommaso Scandroglio)
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 54 – 55