La Sacra Scrittura si apre con la creazione dell’uomo e della donna ad immagine e somiglianza di Dio e si chiude con la visione delle nozze dell’Agnello (Ap 19, 7-9). La missione terrena di Gesù si apre col matrimonio di Cana e si chiude con le nozze tra Cristo e la Chiesa nell’alleanza eucaristica.
Nella Bibbia, l’unione sigillata da Dio tra l’uomo e la donna è dunque segno dell’unione amorosa tra Dio e l’umanità. Nel cristianesimo antico la forma della celebrazione già richiamava questo concetto col disporre che le nozze avvenissero “al cospetto della Chiesa”.
Sappiamo che i sinodi più antichi e i primi papi, sulle orme di Cristo e di Paolo, già emanavano prescrizioni riguardo al matrimonio; per esempio, s. Callisto, eletto nel 217, rifiutava le unioni dei divorziati, ammesse dall’autorità civile. Gli antichi padri parlano di uno stato matrimoniale apportatore di grazia per mezzo di Cristo. Vi era quindi fin dall’inizio consapevolezza della sacramentalità del matrimonio, tant’è che esso è incluso tra i sette sacramenti perfino nelle chiese orientali, che già molto presto si erano separate dalla Chiesa romana (alcune fin dal IV secolo). Il Concilio Vaticano Il ricorda che “Dio stesso è l’autore del matrimonio” (Gaudium et spes, 48). Il sacramento che la Chiesa da duemila anni celebra unisce dunque i coniugi in Dio: per questo tale unione viene definita indissolubile, in quanto la sostanza dell’unione è Dio stesso, e Dio non può “venire sciolto”.
Nemmeno la somma autorità della Chiesa, cui Cristo ha donato ogni potere di aprire e chiudere, può annullare il sacramento del matrimonio.
“Tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cielo, disse Cristo a Pietro (Mt 16, 19); ma è significativo notare che né Pietro né alcuno dei 263 successori al soglio pontificio si servirono mai di questo potente mandato per sciogliere un solo matrimonio, anche a costo di tremende conseguenze (come accadde con lo scisma anglicano, quando il papa negò ad Enrico VIII lo scioglimento del suo matrimonio). Erroneamente taluni attribuiscono questa facoltà al tribunale ecclesiastico della Sacra Rota, che invece si limita, se interpellato, a verificare la nullità del sacramento, cioè ad accertare se particolari situazioni di costrizione od impedimenti relativi alla legge naturale od ecclesiastica abbiano compromesso la libertà del consenso; come ogni sacramento, infatti, la libertà dell’uomo è prerogativa indispensabile: se si scopre che questa era assente o viziata, il sacramento risulta mai avvenuto, nonostante le apparenze. Ma se la libertà è stata pienamente esercitata “quello che Dio ha unito l’uomo non divida”, perché gli sposi “non sono più due ma una carne sola” (Mt 19,6).
Il sì di due laici battezzati è dunque più potente d’ogni potere, perché è un sì all’amore definitivo di Dio.
Sono gli sposi, infatti, a celebrare il sacramento del matrimonio.
Accogliendo Dio come fondamento e sostanza del loro amore, elevano la propria unione all’ambito soprannaturale, cui la Grazia promette ogni assistenza. Dal punto di vista terreno, l’amore umano può anche terminare, ma dal punto di vista divino “quando il vino termina Dio lo ricrea”. Le crisi della coppia sono, in questa luce, viste non come indebolimenti dell’unione ma come prove da cui, con la preghiera, se ne può uscire rafforzati.
Anche ostacoli apparentemente elevatissimi sono sfide ad innalzare l’amore in modo elevatissimo.
Tuttavia il matrimonio cristiano non va presentato solo all’interno di una dimensione della gioia: vi è anche un’inevitabile dimensione della croce. Talvolta la pastorale matrimoniale tende a sottolineare molto la prima e poco la seconda; ma se si prescinde dalla teologia della croce si rischia di privare del ‘senso esistenziale tutte quelle unioni che, senza volontà o colpa, si sono trasformate in dolore (p.es. per morte o abbandono del coniuge, infedeltà, prevaricazione, etc.).
Spesso, in questi casi, l’unica risorsa per il coniuge cristiano e fedele è la Croce di Cristo. Ma anche in tutti gli altri casi va ricordato che l’amore è sempre esposizione all’altro della propria vulnerabilità, e si è crocifissi di più proprio da chi più amiamo. Del resto il fine del matrimonio, più che la felicità terrena, è la realizzazione del Regno. E il Regno gli sposi lo costruiscono o con la loro missionarietà amorosa, l’apertura alla vita, l’educazione cristiana dei figli, o col silenzioso abbandono ai piedi della croce, offrendo a Dio i propri dolori e rimanendo al proprio posto nonostante tutto. Gloria e martirio sono infatti i due volti complementari con cui l’Amore si affaccia nella storia degli uomini, perché siano condotti dall’Agnello al trionfo delle nozze celesti.
IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 59