Ha quattro segretarie, ma ad aprire la porta del suo ufficio in pieno centro a Milano viene lui di persona. E quando mi fa accomodare nel suo studio, mi sembra piuttosto di entrare in un salotto, con un elegante tavolo rotondo in noce nel mezzo, più adatto a una casa signorile che non a un ufficio moderno. Sul tavolo niente Pc e stampante, soltanto un piccolo computer portatile, quasi a disturbare meno possibile questa atmosfera familiare, in perfetta sintonia con la persona che mi trovo davanti.
Parlo di Ettore Gotti Tedeschi, uno dei più importanti uomini di banca italiani, presidente per l'Italia del Banco Santander Centrai Hispano – tra le maggiori banche d'Europa – e consigliere d'amministrazione del Sanpaolo IMI, più molte altre cose che non mi dilungo a scrivere per non togliere spazio alle sue argomentazioni. Mi trovo infatti qui attratto dal suo recente libro-intervista (nel quale risponde alle domande di Rino Cammilleri), Denaro e Paradiso. L'economia globale e il mondo cattolico (Piemme 2004).
Ci si potrebbe aspettare una difesa del proprio status, un modo per conciliare la propria fede cattolica con una ricchezza che l'opinione maggiormente in voga tra i cattolici considera una colpa per definizione. Niente di tutto questo: è invece un appassionato e documentato tentativo di ristabilire la verità, di portare le questioni dell'economia al centro della riflessione cattolica, come è stato per secoli. E Gotti Tedeschi, tanto per fare un esempio, mi cita il caso della Scuola di Salamanca nel XVI secolo, oggetto dei suoi ultimi studi: teologi domenicani come Francisco de Vitoria e Domingo de Soto (confessore di Carlo V), e gesuiti come Luis de Molina e Francesco Suarez, che si misero insieme per rispondere alla luce della fede (e della teologia tomista) alle sfide giuridiche ed economiche lanciate dai mutamenti epocali conseguenti alle scoperte geografiche (basti pensare alla rivoluzione economica portata dall'introduzione delle spezie) e alla Riforma protestante. Nacquero lì le teorie che spiegarono e giustificarono la e correttezza dell'interesse sul prestito (come compenso per il rischio di non rimborso e per la perdita di opportunità alternative di investimento) e teorie della moneta e del e prezzo che incoraggiavano la concorrenza. «E' un'interpretazione dei tempi nuovi, grandi risposte a nuovi problemi», dice Gotti Tedeschi. In sintonia con ciò che accadeva da secoli, tanto che anche «il capitalismo e vede le sue origini – spiega Gotti Tedeschi – nei monasteri benedettini del XII-XIII secolo» dove la preghiera era un tutt'uno con «la pratica operosità che consacrava il lavoro, lo studio e le tecniche». Perché «i princìpi essenziali del capitalismo sono cattolici, centrati sulla esaltazione della dignità dell'uomo. La tecnica deve progredire per liberare l'uomo dalla fatica, il frutto del lavoro deve potersi tradurre in proprietà privata per assicurare all'uomo la libertà personale». E i monasteri benedettini vengono definiti da Gotti Tedeschi «quasi delle Silicon Valley orientate a Dio a beneficio degli uomini».Tecniche e tecnologie create nei monasteri «sono alla base dello sviluppo dei 500 anni successivi», Qualche esempio? «Il primo trattato di arti meccaniche fu scritto da un benedettino nel XII secolo, il fil di ferro è stato inventato nel 1200. Lo stesso Leonardo da Vinci ha copiato alcune delle sue invenzioni dai monasteri benedettini, come ad esempio le opere per il convogliamento delle acque. Anche la bonifica è stata messa a punto dai monaci».
Certo, per noi che siamo cresciuti in università dove la mentalità comune è stata forgiata dal titolo dell'opera di Max Weber.
"Etica protestante e spirito del capitalismo", l'affermazione di Gotti Tedeschi ci appare rivoluzionaria: «Ma Weber – ribatte il banchiere cattolico – non dice che l'origine del capitalismo è il mondo protestante, la sua è un'indagine sociologica. Weber vede nell'Europa meridionale una prevalenza di università umanistiche, mentre nel Nord protestante una concentrazione di università scientifiche. Unito a questo considera che il capitalista è un individualista, quindi lo vede in sintonia con l'etica protestante. Ma Weber sbaglia perché il capitalismo nasce da una concezione positiva dell'uomo, in contraddizione con l'essenza del protestantesimo».
Ecco, devo dire che ciò che più colpisce di Gotti Tedeschi è questa sua capacità di studio, la passione per andare al fondo – anzi alla verità – delle cose, partendo dalla fede. In ideale continuità con quella tradizione cattolica che a un certo punto pare essersi interrotta, almeno come sentimento della maggioranza, per sopravvivere in alcune piccole comunità. Come pezzi di brace che sono nostalgia ma anche speranza di ridare vita a un bel fuoco. E infatti quando gli chiedo come mai – secondo lui – oggi tra i cattolici si è arrivati alla demonizzazione dell'economia, alla condanna della ricchezza, Gotti Tedeschi mi risponde: «Perché siamo ignoranti. C'è una diffusa ignoranza del Vangelo, della storia, delle cose tecniche. L'economia è come la politica, le scienze, il giornalismo: sono tutti strumenti con cui una civiltà funziona. E la Chiesa non è mai stata contro l'uso del denaro, ma delle sue possibili conseguenze, cioè la schiavitù. Perché la Chiesa si preoccupa dell'uomo». E il Vangelo? «Il ricco epuIone non viene condannato per il possesso di denaro, ma per il disprezzo che aveva per gli altri. E a Zaccheo Gesù non chiede di diventare povero, ma di condividere la sua ricchezza. Questo è il punto: il problema è nel modo in cui si fa il denaro e come lo si usa. Del resto basterebbe pensarci un attimo: se la ricchezza non viene creata neanche la si può distribuire».
Gotti Tedeschi non si ferma qui: il cattolico non è solo autorizzato a diventare ricco o a essere capitalista, ha anche il dovere di incidere sul sistema economico, perché «l'economia cattolica è la migliore in quanto è l'unica che tiene separati fini e mezzi; l'etica l cattolica dà un senso all'economia, altrimenti I è solo un profitto fine a se stesso», È davvero l possibile oggi incidere a certi livelli? «È ovvio i che per un cattolico vero non è semplice, ai massimi livelli si muovono gruppi di potere che non sono certo in sintonia con l'etica i cattolica, ma abbiamo anche il compito di spiegare al mondo laico che noi siamo figli di questo mondo e che vogliamo santificare, dare un senso anche all'economia».
IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 54 – 55