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13.12.2024

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Il sindaco e la croce
31 Gennaio 2014

Il sindaco e la croce

 

 

Torna alla ribalta il laicismo “alla francese”. Il sindaco di Parigi, omosessuale e massone, contro l’esposizione di una croce. Il rischio della frantumazione e dell’odio nel cuore dell’Europa. Eppure vi sarebbe un’altra strada…

 

Nei primi giorni di novembre 2004 si è svolta a Parigi una azione di protesta contro la presenza di una croce (alta diciassette metri) sul sagrato della cattedrale di Notre Dame, eretta nell’ambito di una campagna per la “nuova evangelizzazione” della capitale francese, dove la frequenza alla Messa è ai minimi europei. Dal momento che la croce non è permanente, la vicenda ha una portata più simbolica che giuridica: quando un tribunale francese dovesse pronunciarsi, la croce sarebbe verosimilmente già stata rimossa. Il sindaco di Parigi, Bertrand Delanoë, è sceso in campo contro la croce invocando l’articolo 28 della legge-cardine dellaicismo francese, quella del 9 dicembre 1905, che vieta l’esposizione di «segni o emblemi religiosi» nei «luoghi pubblici», permettendo la esclusivamente negli «edifici di culto, cimiteri, musei ed esposizioni».
Il sindaco, noto alle cronache anche per la sua militanza omosessuale che lo ha portato spesso a scontrarsi con la Chiesa, ha rivelato in un’intervista a France Presse di essere stato «sensibilizzato» al tema da una lettera di Bernard Brandmeyer, Gran Maestro del Grande Oriente di Francia della massoneria. Delanoë si dichiara tanto più sensibile alla presa di posizione di Brandmeyer in quanto fa parte egli stesso del Grande Oriente. Il Gran Maestro sostiene nella sua lettera che «il sagrato della cattedrale di Notre Dame non è un luogo di culto ma un luogo pubblico dove camminano i parigini», i quali secondo lui hanno diritto di non essere «offesi» da simboli religiosi contrari al laicismo repubblicano. Non si comprende bene che cosa vadano a fare i parigini che provano un sentimento di ripugnanza nei confronti della religione sul sagrato di Notre Dame: potrebbero “passeggiare” pacificamente, per esempio, nella zona a luci rosse di Pigalle, dove incontrerebbero simboli di tutt’altro genere, evidentemente meno sgraditi al sindaco e al Gran Maestro.
La vicenda si inquadra anche nelle polemiche seguite alla pubblicazione del librointervista del ministro delle Finanze Nicolas Sarkozy (probabile prossimo candidato alla presidenza della Repubblica in Francia), La République, les religions, l’espérance (Cert, Parigi 2004), che si dichiara cattolico (anche se solo occasionalmente praticante) e afferma di considerare ormai anacronistico il laicismo alla francese, suggerendo esplicitamente la revisione della legge del 1905.
La problematica in cui nasce il caso Notre Dame, e su cui il volume di Sarkozy – dove pure non tutto è condivisibile – apre la possibilità di un dialogo fra una parte della classe politica francese e i credenti, va al di là della sola Francia. Investe la Spagna delle misure anticlericali di Zapatero e il Parlamento europeo dopo il caso Buttiglione, ma coinvolge anche i paesi di nuova democrazia nell’Europa dell’Est e nell’ex-Unione Sovietica, alle prese con la necessità di inventare una legislazione in materia di libertà religiosa dopo anni di repressione comunista. A questi paesi sono proposti con una certa insistenza in tema di religioni il modello americano – tutte le religioni sullo stesso piano, ugualmente favorite – e quello francese, dove la religione è un’attività privata da guardare con sospetto e ostacolare quando e come è possibile. Molte di queste nazioni hanno una religione maggioritaria che è intrinseca alla tradizione e alla storia nazionale. Un paese come la Georgia – dove chi scrive ha diretto un recente seminario organizzato dall’ambasciata italiana – non assomiglia né alla Francia (dove la pratica domenicale in generale è sotto il1 0%), né agli Stati Uniti, dove un’alta pratica religiosa si distribuisce fra centinaia di denominazioni diverse, e nella cui storia non emerge una confessione maggioritaria. In Georgia oltre l’ottanta per cento dei cittadini è di religione ortodossa e la pratica è intorno al sessanta per cento; pensare la nazione georgiana senza riferimento storico alla Chiesa Ortodossa sarebbe assurdo. Lo stesso vale per la Chiesa Cattolica in Polonia, in Lituania, in Croazia, per la Chiesa Armena in Armenia, e così via. In questi paesi la stragrande maggioranza dei cittadini chiede un riconoscimento per la religione che ha forgiato l’identità nazionale: non accetterebbe né che sia vessata da una continua oppressione amministrativa come in Francia, né che sia messa in tutto e per tutto sullo stesso piano di religioni ampiamente minoritarie o da poco importate nel paese come avviene negli Stati Uniti.
L’Italia offre il suo modello di riconoscimento plurimo delle religioni – con un Concordato che riconosce il ruolo storico unico della Chiesa cattolica, intese che accolgono all’interno di rapporti con lo Stato altre religioni presenti in modo significativo nel paese, e un’ampia libertà religiosa anche per i gruppi con cui per ragioni diverse non è possibile né opportuno al momento concludere intese – come via media fra gli opposti modelli americano e francese.
Questo modello italiano – che oggi conosce qualche problema di adattamento di fronte all’immigrazione e all’islam, ma che comunque assicura al nostro paese la pace religiosa e gli elogi dei vari enti internazionali che vigilano sul rispetto della libertà di religione nel mondo – avrebbe potuto essere adottato per l’Unione Europea. Nulla avrebbe vietato (come riconosce anche Sarkozy nel suo libro) di ricordare l’importanza unica del cristianesimo nel creare e tenere unita l’Europa, e nello stesso tempo di riconoscere il contributo di altre religioni, affermando il diritto alla libertà religiosa per tutti. Il principio su cui si basa il modello italiano è che i diritti delle minoranze possono essere garantiti con il consenso generale solo quando sono chiaramente affermati i diritti della maggioranza. Chi, come la Francia, e oggi la Spagna di Zapatero, non rispetta i diritti della maggioranza cattolica (che anche in Francia è maggioranza culturale, nonostante la bassa pratica) non rispetta neppure i diritti delle minoranze religiose, spesso bollate come “sette” o come corpi estranei la cui identità è negata in nome di un laicismo obbligatorio per tutti. E – come insegna la psicologia sociale – solo dove le maggioranze si sentono rispettate si diffonde una cultura della tolleranza.
Il terrorismo ultra-fondamentalista islamico ha colpito un po’ dovunque in Occidente. Ma in paesi con una forte identità nazionale e religiosa come gli Stati Uniti o l’Italia non si sono scatenate come reazione una caccia al musulmano o una serie di assalti alle moschee. Questi episodi si sono verificati invece dopo l’assassinio del regista Theo Van Gogh in quell’Olanda che si vanta di avere espunto dalla sua legislazione – a colpi di legalizzazione delle droghe, aborto senza limiti ed eutanasia anche per i minorenni – ogni traccia della sua eredità cristiana. Dove l’identità è debole fiorisce l’intolleranza. Se l’Europa vuole che i diritti delle minoranze siano compresi e rispettati, deve garantire anzitutto i diritti della maggioranza cristiana. Non facendolo, sta seminando vento, e comincia già a raccogliere tempesta.

IL TIMONE – N.39 – ANNO VII – Gennaio 2005 pag. 12 – 13

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