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15.12.2024

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Il sonno della famiglia genera mostri
31 Gennaio 2014

Il sonno della famiglia genera mostri

 

 

 

 

Una società sana ha bisogno di una famiglia sana. La Chiesa lo sa e lo insegna. Anche i recenti fatti di cronaca nera lo confermano. Purtroppo al laicismo non pare sufficiente.

La famiglia oggi genera mostri? La famiglia è ancora cellula prima della  società? O è diventata il   virus della società? Come interpretare le notizie di cronaca nera che erompono dal focolare domestico  tingendolo  di sangue?
A distanza di tempo dalla sciagurata serie di tragedie familiari che hanno insanguinato la fine dell'inverno – da Novi Ligure a Pompei -è giusto e opportuno interrogarsi su fenomeni che sono solo il violento frutto di una situazione che è stata seminata poco più di trent'anni fa.
Tra le più pericolose malattie della nostra epoca c'è l'incapacità di collegare gli effetti alle cause: è ciò che avviene per la famiglia. Stupisce dolorosamente come maitres à penser, mass media e politici non riescano a mettere in relazione gli effetti, la disastrosa situazione nella quale degrada la società di oggi, con le cause, che esamineremo tra poco: a meno che questa apparente insipienza non sia intenzionale.
Sono molti, soprattutto a sinistra, quelli che si scagliano contro la famiglia, da pulpiti giornalistici, cinematografici e televisivi, addebitandole di essere l'origine di ogni male. Ma di quale famiglia si sta parlando? Una società sana richiede una famiglia sana. Non il simulacro di famiglia che viene oggi presa come rappresentante di questa istituzione e che è ridotta ad un ammasso di rovine grazie allo sciagurato influsso della cultura di sinistra.
Che famiglia ha prodotto la cultura sessantottina? Che cosa rimane della famiglia dopo  l'approvazione  delle leggi sul divorzio e sull'aborto? Come non vedere nelle tragedie di oggi le conseguenze di una politica e di una cultura che hanno esaltato l'egoismo del   singolo   sopra   ogni cosa? La cultura del libertinaggio, dell'autorealizzazione a tutti i costi, vanamente mascherata dal buo-nismo e dalla tolleranza, ha generato una famiglia che non è più se non una forzata coabitazione, un contratto economico, una convivenza a tempo. La cultura del divorzio ha privato i coniugi del naturale sostegno alla umana fragilità: la forza del legame matrimoniale indissolubile aiutava a superare le crisi più o meno profonde, ma spesso emotive ed effimere, per cercare insieme le risorse per una nuova rinascita. Il divorzio ha spalancato le porte alla cultura della soddisfazione personale; invece che lottare è più facile lasciarsi: laddove ricominciare era un verbo della coppia, ricominciare è stato declinato alla prima persona  singolare  ed  è  stato strettamente collegato ad un altro verbo: abbandonare.
La famiglia è così diventata un luogo di egoismi dove le figure di riferimento sono state svuotate e i loro compiti sottratti: sto pensando ad esempio al ruolo del padre e all'autorità. La famiglia di oggi è privata della sua forza e del suo impatto nella società: i frutti? Sono sotto gli occhi di tutti: e se le notizie di cronaca nera colpiscono l'immaginazione, ma non vanno manipolati, sono le piccole disgrazie quotidiane che misurano il grado di sfacelo. La nostra è una società che ha innalzato al ruolo di marchio appetibile, quindi di valore, parole, e quindi contenuti, come arrogance ed egoiste. La mia professione di consulente mi porta a contatto con molte aziende: non immaginate la difficoltà che hanno nel trovare persone dotate delle qualità umane di base: lealtà, coerenza, solidarietà, umiltà, capacità di lavorare insieme ad altri, capacità di superare la frustrazione, capacità di crescere dai propri errori, obbedienza, impegno, permissivismo ha prodotto nuove patologie psichiche: una fra tutte la sindrome del telecomando: di fronte alla difficoltà, si cambia canale, perché tutto sia una eterna festa, una eterna soddisfazione dei propri piaceri, senza fatiche e responsabilità.
Che cosa dovrebbe essere allora la famiglia? Che cosa è la famiglia?
La famiglia è ancora cellula prima della società, la quale si è evoluta dalla famiglia stessa. “Famiglia, diventa ciò che sei!” implorava nel 1981 Giovanni Paolo II nell'enciclica Familiaris consortio. Il progetto cristiano di famiglia è quello che serve alla nostra società per ricostruirla.
Secondo la definizione della Gaudium et spes, la famiglia è “intima comunità di vita e di amore”, è luogo di affetti, “comunità di persone, per le quali il modo proprio di esistere e di vivere insieme e la comunione” (Lettera alle famiglie), dove si è accettati per quello che si è, non per quello che si fa o per il titolo che si detiene. La famiglia è il luogo dove si impara a crescere e sviluppare le virtù – ma sì non abbiamo paura ad usare questo vocabolo – del buon cittadino. Questo è la famiglia: il luogo in cui si impara tutti gli uni dagli altri, nella mutua correzione e nel reciproco amore. Nella famiglia sana, costruita sull'amore, ciò che conta è la felicità dell'altro, perché è intimamente connessa con la mia felicità, perché i nostri bisogni sono interdipendenti e la fiducia è così implicita che possiamo aiutarci a migliorare senza paura di esercitare l'autorità e dove l'obbedienza è ancora una virtù.
Dove si insegna che la libertà è un mezzo per giungere al bene e non un fine, come invece insegna la cultura dominante attingendo dalla filosofia comunista. E questo bene è non solo quello personale, ma quello comune. La famiglia diventa il luogo privilegiato dove la persona, valorizzata in quanto tale, vale a dire l'essere vivente unico ed irripetibile caratterizzato da intelletto, volontà, affettività e passioni, impara a sviluppare tutte le sue potenzialità grazie all'obbedienza, grazie alla fatica, grazie alla serenità di una educazione mirata. Questa cura della persona può avvenire solo dove la comunicazione sia facilitata e favorita da un senso dell'amore e del sacrificio che hanno nell'insegnamento cattolico il loro fondamento. Solo in un ambiente d'amore disinteressato è possibile parlare di autorità come autorevolezza e non autoritarismo: auctoritas e non potestas.
Laddove la cultura permissivista ha insegnato che per l'uomo c'è solo il sì, sì a tutto, fior di pedagogisti oggi insegnano che il modo migliore per educare è dire “no”: opporre cioè al libertinismo la responsabilità personale forgiata nell'esercizio razionale della volontà.
Il pensiero dominante vuole distruggere la famiglia per impedirle di esercitare questo suo compito: perché al permissivismo per prosperare servono persone prive di capacità critiche, tutte preda delle loro passioni, sempre pronte a seguire solo il loro istinto, incapaci di collegare gli effetti alle cause.
Per ricostruire una società sana c'è bisogno di ricostruire la famiglia perché il sonno della famiglia genera mostri.

RICORDA

“La grandezza e la responsabilità della famiglia sono nel fatto che essa è la prima comunità di vita e di amore, il primo ambiente in cui l'uomo può imparare ad amare e a sentirsi amato, non soltanto da altre persone, ma anche, innanzitutto, da Dio. Per questo a voi genitori cristiani spetta di formare e custodire un focolare in cui germogli e maturi la profonda identità cristiana dei vostri figli: l'essere figli di Dio”.
[S.S. Biovanni Paolo II, Messico, 10 maggio 1990].

BIBLIOGRAFIA

Arturo Cattaneo con Franca & Paolo Pugni, Matrimonio d'amore. Tracce per un cammino di coppia, Ares, Milano 1999.
Ugo Borgheilo, Le crisi dell'amore. Prevenire & curare i disagi famigliari, Ares, Milano 2000.
Antonio Sicari, Breve catechesi sul matrimonio, Jaca Book, Milano 1994

IL TIMONE  N. 13 – ANNO III – Maggio/Giugno 2001 – pag. 6-7

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