L’inizio, nei comuni del Sud, della cancellazione delle vie intitolate al responsabile della sanguinosa repressione dei contadini meridionali durante il Risorgimento, è il primo segnale di una revisione del fenomeno del “brigantaggio”
A marzo, grazie al pressing dei neo-borbonici “Comitati delle Due Sicilie”, i Comuni di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno, e Macerata Campania (Caserta), hanno deliberato l’intitolazione di una piazza a Francesco II di Borbone, l’ultimo Re delle Due Sicilie. Ad Aversa, con una delibera del marzo scorso, la giunta municipale ha approvato il cambio di nome della piazza centrale con la seguente motivazione: “Francesco II di Borbone, ultimo re di Napoli, fu promotore di numerosi interventi per favorire industrie, commerci, ferrovie e opere di assistenza, oltre a progettare il Centro direzionale della Capitale. Difese eroicamente il Regno fino all’ultimo assedio nella fortezza di Gaeta, caduta la notte del 13 febbraio del 1861”. Il Comune di Casamassima, in provincia di Bari, dallo scorso 30 dicembre non ha più una “Via Enrico Cialdini”, sostituita ora con “Via Fabio Massimo”. Anche Lamezia Terme dovrebbe cancellare a breve la targa toponomastica dedicata al generale sabaudo, tristemente noto per aver represso nel sangue il cosiddetto “brigantaggio” meridionale post-unitario. Ma chi era questo protagonista fino ad ora celebrato acriticamente sia nei libri di scuola sia nelle vie e piazze italiane?
Enrico Cialdini (1811-1892), militare del regno dei Savoia e poi politico italiano, fu inviato personalmente dal re Vittorio Emanuele II nel 1861 a Napoli per stroncare, con poteri eccezionali, la reazione del popolo, dei contadini e dei soldati del disciolto esercito borbonico contro il nuovo regime “piemontese”. Di lui nella memoria collettiva, spesso censurata, del Mezzogiorno, rimane la cronaca della repressione, condotta con arresti di massa, esecuzioni sommarie e distruzione di abitazioni e villaggi, portata avanti con i circa 50mila uomini avuti ai suoi ordini. Grazie anche alla proclamazione della legge marziale nel 1863 e la conseguente istituzione di tribunali militari speciali, Cialdini cancellò in pochi anni il fenomeno del “brigantaggio” che, nel 1865, fu in effetti praticamente sconfitto, assicurando quindi al neonato Regno d’Italia il controllo di tutti i territori del Sud.
Ma fu un vero “brigantaggio”?
Nel Dizionario della Lingua italiana Devoto-Oli, alla voce brigantaggio, si legge: “L’attività dei briganti, considerata da un punto di vista criminologico, sociale e giudiziario; per estensione, qualsiasi attività disonesta caratterizzata da una sfacciata mancanza di scrupoli “ (Le Monnier, Firenze 1993, p. 254). Il termine, quindi, conserva ancora oggi quel significato ideologico che è stato adoperato negli scorsi tre secoli per additare spregiativamente tutti coloro che si sono opposti, con le armi, ai vari moti e regimi rivoluzionari ed anticristiani, cominciando dai “briganti” Vandeani realisti durante la Rivoluzione francese (1789). In realtà, non il termine brigantaggio ma bensì quello di insorgenza dovrebbe essere utilizzato per designare la reazione armata delle popolazioni italiane contro il nuovo ordine instaurato con la forza nel 1861. Definire briganti i contadini meridionali e gli ex soldati borbonici insorti, infatti, è servito e serve ancora per giustificare abusi e violenze dei nuovi arrivati al potere contro quelli che si volevano far passare come comuni delinquenti. S’intenda bene: fenomeni di criminalità si sono talvolta frammisti al “brigantaggio” politico anti-unitario ma, nella loro sostanza, questi danno piuttosto luogo ad una patologia sociale, il banditismo, che è ben altra cosa ed è osservata nella storia di ogni tempo e di ogni luogo.
La mancata riforma agraria
Ma perché il nuovo regime risorgimentale “dichiarò guerra” ai contadini e alla gente del Sud? Soprattutto perché ricevette l’appoggio dei grandi proprietari fondiari del Mezzogiorno, che costituirono un solido sostegno (anche finanziario) del nuovo governo unitario che, per questo motivo, evitò adeguatamente di affrontare il problema agrario. Molti contadini del Sud erano però allora privi di terra e trascorrevano una vita durissima come braccianti agricoli. Le terre demaniali e le terre degli enti ecclesiastici, prima destinate agli “usi comuni”, erano state infatti acquistate a prezzi di favore dai latifondisti e la tentata divisione in quote dei terreni demaniali per distribuirle ai contadini fu poco più che una finzione da parte del nuove potere, ingolfandosi subito per complicazioni burocratiche e giuridiche. Non a caso appena inviato a Napoli, Cialdini organizzò una “guardia nazionale” mobile, composta prevalentemente di elementi borghesi decisi a stroncare l’insorgenza dei contadini e la loro “ipoteca” sulla proprietà privata. Il generale piemontese, privo di un servizio informazioni attendibile, colpì duramente tutti i ceti sospettati di lealismo borbonico, espellendo dal sud quasi tutti i vescovi e alcuni aristocratici. Si dice che l’allora presidente del Consiglio (1861-62) Bettino Ricasoli (1809-1880) non approvasse i suoi sistemi illegali ma, date le necessità, li facesse passare “perché mancava il tempo”.
Ad ogni modo, la mobilitazione popolare fu la reazione consapevole all’usurpazione dei diritti del Re e del Papa, quindi all’imposizione manu militari dei princìpi rivoluzionari che, pur se fossero stati presentati in modo più “graduale” o in circostanze non di guerra, in ogni caso non avrebbero ricevuto migliore accoglienza da parte delle genti del Sud.
L’inquinamento storiografico
La matrice tradizionale e religiosa delle insorgenze popolari italiane risulta quindi negata dalla maggior parte della storiografia italiana dell’ultimo secolo e mezzo, e la resistenza armata di interi popoli, che in tutta Europa si sono battuti in difesa del “Trono e dell’Altare”, è ancora oggi ignorata da molti o ricordata con disprezzo in fiction, riviste o rievocazioni storiche le più varie.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la resistenza anti-risorgimentale nel Regno delle Due Sicilie ebbe inizio fin dall’agosto del 1860, subito dopo lo sbarco sul continente delle unità garibaldine provenienti dalla Sicilia. Le prime sollevazioni ebbero luogo in Basilicata e in Calabria, nella misura in cui gli avvenimenti delusero fin da subito l’aspettativa di un rivolgimento che avesse cancellato l’usurpazione borghese delle terre demaniali prima al servizio della collettività.
Una interpretazione “nuova” del brigantaggio
Un’interpretazione esauriente del fenomeno del “brigantaggio” dovrebbe quindi partire dalla considerazione che l’opposizione armata fu soltanto uno degli aspetti della resistenza delle popolazioni meridionali, che presentò contorni più vasti e profondi di quelli che avevano caratterizzato le insorgenze dell’età napoleonica (1796- 1815). Negli anni successivi al 1860, come ha scritto Francesco Pappalardo, «la resistenza si presenta con forme molto articolate, di cui offrono testimonianza l’opposizione condotta a livello parlamentare, le proteste della magistratura, che vede cancellate le sue gloriose e secolari tradizioni, la resistenza passiva dei dipendenti pubblici e il rifiuto di ricoprire cariche amministrative, il malcontento della popolazione cittadina, l’astensione dai suffragi elettorali, il rifiuto della coscrizione obbligatoria, l’emigrazione, la diffusione della stampa clandestina e la polemica condotta dai migliori pubblicisti del regno». Fra questi spicca il napoletano Giacinto De’ Sivo (1814-1867) che, nella sua Storia del Regno delle Due Sicilie dal 1847 al 1861 (Roma 1864), ha descritto i fatti realmente accaduti ed i “moventi occulti” che hanno portato alla fine della dinastia dei Borboni (cioè le ingerenze imperiali britanniche e i “lealismi” massonici internazionali). Il “brigantaggio”, dunque, è stato un fenomeno molto più complesso di quello che ci viene ancora oggi raccontato, un vero e proprio “scontro di civiltà”, insomma, da “revisionare”, dunque, anche con una “bonifica” della nostra toponomastica…
Per saperne di più…
Guido Vignelli-Alessandro Romano, Perché non festeggiamo l’unità d’Italia, Edizioni Il Giglio, 2011.
Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Edizioni Ares, 2011.
Giuseppe Brienza, Unità senza identità. Come il Risorgimento ha schiacciato le differenze
fra gli Stati italiani, Edizioni Solfanelli, 2a edizione, 2010.
Francesco Mario Agnoli et al., L’unità divisa. 1861-2011: parla l’Italia reale, Il Cerchio, 2010.
Francesco Pappalardo, Il brigantaggio postunitario. Il Mezzogiorno fra resistenza e reazione, D’Ettoris Editori, 2004.
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