Per il Parlamento Europeo – come direbbe una vecchia canzone di Jannacci – “l’importante è esagerare”. E, naturalmente, prendere a colpi di martello la famiglia. Così, nelle scorse settimane, il vecchio continente è stato messo a rumore dalla notizia che a Strasburgo è passata – con una robusta maggioranza – una risoluzione che invita gli Stati membri a legalizzare le unioni fra persone dello stesso sesso. L’obiettivo è affiancare in dignità e normalità al matrimonio tutte le possibili varianti di unioni, che nulla hanno in realtà a che fare con la famiglia. Ma andiamo con ordine, cercando di fornire una sintesi degli argomenti razionali che si oppongono al riconoscimento giuridico delle coppie dello stesso sesso.
1. Il provvedimento adottato a Strasburgo è un vero e proprio mon-strum giuridico, che fa appello alle presunte potenzialità magiche del diritto. Caligola con un decreto riuscì a trasformare un cavallo in senatore; gli eurodeputati, non meno “impazziti” del folle imperatore romano, con uno scrutinio segreto pensano di tramutare una convivenza tra omosessuali in una famiglia.
2. Il guaio, per questi affossatori della verità, così come per tutti gli epigoni dei diritti civili e dell’uguaglianza tra “diversi”, è che il diritto non può “creare” un bel nulla, ma semplicemente limitarsi a riconoscere l’esistenza di realtà, istituti e corpi intermedi che esistono prima e al di sopra dello Stato. Quando questa corretta prospettiva si capovolge, allora è il tempo del totalitarismo: lo Stato crea diritti con la stessa facilità con cui li distrugge; teorizza il suo primato, logico e storico, rispetto alla persona, alla società e ai corpi intermedi, tra i quali il fondamentale è appunto la famiglia.
3. Questa idea patologica, malata, serpeggia da almeno trent’anni: si predica e si pratica la centralità, la supremazia e dunque la “divinità” dello Stato, rispetto al quale la persona, la famiglia e la società sarebbero soltanto delle variabili. È grazie a questa orribile cecità dell’intelletto che le legislazioni moderne hanno potuto perpetrare un vero e proprio scempio nei confronti della famiglia: divorzio, riforma del 1975, aborto, sono le tappe significative del tracollo patito dal sistema giuridico italiano in questi trent’anni.
4. Adesso arriva l’ultima frontiera: una patologia sessuale viene elevata a norma morale e giuridica. L’omosessualità come variabile speculare ed equivalente dell’eterosessualità. Termine, quest’ultimo, inventato di sana pianta in questi tempi, per ratificare l’assoluta identità di valore tra le diverse “tendenze sessuali”.
5. In realtà, anche il processo di omologazione tra i sessi, alimentato dal femminismo negli anni Settanta, ha fornito una formidabile leva ai fautori del riconoscimento sociale e giuridico del l’omosessualità: in un mondo nel quale la persona è identificata con quello che fa, teorizzare che uomini e donne hanno i medesimi ruoli significa annullare le preziose differenze che da sempre li caratterizzano. Finendo con il credere che l’uomo e la donna siano uguali.
6. Ora, qualcuno certamente dirà che questi provvedimenti sono un atto di tolleranza nei confronti dei “diversi”. Ma si tratta di una truffa dialettica: non era affatto in gioco, infatti, la libertà di peccare e di compiere scelte di vita abnormi, perché in nessun paese dell’Unione Europea l’omosessualità è più considerata un reato. La posta in gioco è completamente diversa e molto più alta: negare che la famiglia sia una realtà oggettiva, definita una volta per tutte dalla natura umana, e data dall’unione indissolubile tra uomo e donna, aperta alla generazione di nuove vite.
7. Se viceversa ha ragione Strasburgo, allora dobbiamo mettere in conto che lo Stato riconosca il titolo di famiglia anche ad un gruppo di vecchi amici che convivono insieme; o a una anziana donna che ha sotto il suo tetto tre gatti e due cani… Tutti casi in cui esiste una mutua assistenza e un legame affettivo anche molto forte.
8. Allora perché fermarsi alle unioni affettive tra due persone dello stesso sesso? E non ricomprendere per esempio nello status di famiglia anche gruppi di tre, quattro, cinque, che con vivessero per motivi di disordinata concupiscenza. Esempi sgradevoli, paradossali se si vuole, ma che dimostrano come sarà impossibile porre limiti alla deriva giuridica, una volta entrati nella logica per cui è lo Stato a inventarsi la realtà. Caligola è ancora fra noi.
9. Se poi, dal versante giuridico e sociale, per il quale è sufficiente applicare le categorie della legge naturale comune a tutti gli uomini, credenti e non, ci spostiamo sul piano della fede, allora è chiaro che per il cattolico l’omosessualità incarna un disordine morale gravissimo. I pronunciamenti del magistero, dei Padri della Chiesa, di molti Santi su questo peccato sono di straordinaria durezza. Alcuni fanno letteralmente rizzare i capelli in testa; ma non sono altro che lo specchio fedele della terribile condanna che si trova nelle Sacre Scritture.
10. D’altra parte, rimane nostro compito aiutare i fratelli che soffrono di questa colpa, odiando l’errore ma amando l’errante. Spesso essa si configura come una vera e propria patologia della psiche. Con la stessa fermezza dobbiamo pregare per loro, e praticare la prima forma di carità che sta nel dire la verità: queste convivenze non sono famiglie e possono soltanto essere tollerate dalla società, ma non certo riconosciute giuridicamente.
RICORDA
“(…) Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati”.
“Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali innate. Costoro non scelgono la loro condizione omosessuale; essa costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”.
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358).
TIMONE – N. 7 – ANNO II – Maggio/Giugno 2000 – pag. 4-5