La donna che sopprime il suo bambino con l’aborto violenta la sua profonda natura di madre. Un trauma che l’inseguirà per tutta la vita. Ma al quale la misericordia di Dio è pronta a offrire un definitivo rimedio.
Parla Giuseppe Garrone, responsabile di “SOS Vita”.
“Se la donna non si realizza come madre, fisicamente o spiritualmente annichilisce”. L’autore di questa affermazione, forte e sincera, è Giuseppe Garrone, responsabile nazionale del numero verde SOS Vita e curatore del saggio Ma questo è un figlio, che raccoglie le testimonianze di donne che hanno abortito.
La piaga dell’aborto trascina con sé due tipi di vittime: provocatoriamente potremmo dire che i bambini sono le vittime meno colpite perché il loro martirio culmina nell’abbraccio di Dio, mentre alle madri resta una ferita spesso insanabile che fa pensare al famoso verso di Ungaretti: la morte si sconta vivendo.
Il disegno diabolico che vuole sigillare con la violenza le fonti della vita escogita sistemi sempre più raffinati per raggiungere il suo scopo. L’introduzione recente della pillola del giorno dopo, mentre cerca di cancellare le conseguenze traumatiche dell’intervento abortivo, mette in luce ciò che si è voluto negare per anni: abortire non è un gesto di liberazione, un atto che rende la donna più serena e padrona di sé, ma una lesione che lascia in eredità un rimorso così profondo da spegnere la voglia di vivere.
Garrone lo spiega così: “La legge 194, che fu voluta dalle femministe come strumento di liberazione della donna da quello che fu visto come un grande peso: la maternità, parte da un tragico equivoco: la natura della donna è quella di essere madre. Il rifiuto di questa dimensione provoca pesanti squilibri. Abortendo, la donna non elimina un corpo estraneo a sé, quasi il bambino fosse un tumore, ma una parte di se stessa. La prima donna che telefonò al nostro numero verde, il 4 gennaio ’93, descrisse la sua situazione con una frase che non dimenticherò mai: ho abortito 14 anni fa: sono morta allora con il mio bambino. Se non comprende questo aspetto centrale, tutto perde di senso”.
Già, perché l’aborto è stato spacciato anche come mezzo per superare il trauma di una violenza carnale: “// figlio non rappresenta il ricordo dello stupro, esperienza peraltro che non si dimentica mai, ma l’unica strada del parziale recupero: con il suo sorriso, con il suo sguardo il bambino rende meno tragica la violenza. Eliminare il bambino non risolve mai il problema: anzi è sempre vero il contrario”.
Ciò vale anche quando esistono potenzialità di malformazioni del feto: “Bisogna cominciare col dire che spesso le analisi prenatali sono errate: conosco parecchi esempi di diagnosi infelici smentite dai fatti. In ogni caso le conseguenze dell’aborto di un bambino mal formato sono anche più gravi perché questa scelta è solo frutto dell’egoismo. Pretendere di farlo per non mettere al mondo un infelice è solo un crudele alibi: l’egoismo si maschera di amore, ma è solo egoismo allo stato puro che colpisce una creatura ancora più debole perché malata”.
Le testimonianze delle donne raccolte da Garrone descrivono spesso situazioni di abbandono da parte dell’uomo: “La responsabilità del partner è spesso molto maggiore di quella della donna. Il periodo iniziale di una gravidanza può generare nella donna uno stato di prostrazione psicologica notevole, indotta dal disagio fisico: nausee, vomito, crisi di pianto e così via. Se il figlio non è accettato, la donna finisce per addebitare questo stato psicofisico non alla gravidanza, ma alle conseguenze della nuova nascita. In questo stato, la donna ha diritto e necessità di trovare aiuto e affetto nel compagno. Il quale, spesso, nasconde la sua fuga dalle responsabilità nell’apparente concessione di libertà e pronuncia la squallida frase: fai quello che vuoi il cui senso reale è arrangiati”.
Diverse le conseguenze dell’aborto sulla donna: “Dobbiamo considerare due aspetti inscindibili che spesso si confondono, quello psichico e quello spirituale. Le reazioni, molto diverse da caso a caso, comunque ci sono.
Uno studio dell’università di Padova chiariva come non ci sia una donna che si dichiari felice di aver abortito: sì va dal rimorso fino al disprezzo totale di sé.
Spesso le donne che hanno abortito non riescono a perdonare se stesse. La psicologia non basta a superare questo trauma, che sfocia nella coscienza reale della morte che il peccato causa. La donna sente su dì sé il peccato mortale e quindi l’unico modo per riportarla alla vita è quello di guidarla attraverso la Resurrezione. Ci vuole il perdono di Dio che passa attraverso il perdono di se stessa: bisogna aiutare la donna a comprendere – letteralmente prendere dentro di sé – l’immensità dell’amore di Dio che annulla la morte e guida alla resurrezione. È un cammino lungo e complesso. Sbagliano quei confessori che, per eccesso di misericordia, assolvono la donna che confessa di avere abortito dicendole: stia tranquilla, vada in pace e non ci pensi più. Non possono andare in pace! Tra l’altro l’aborto comporta la scomunica e questo peccato non può essere assolto in una normale confessione, ma seguendo un preciso itinerario: in questo la Chiesa, che è Madre, sì prende cura della donna aiutandola a recuperare il perdono di Dio con una strada che intende curare anche il trauma psicologico. Bisogna scendere con la donna nell’abisso che lei crede invalicabile, il baratro nel quale si sente sprofondata per sempre, per risalire con lei verso la Luce”.
Esiste un percorso da suggerire per aiutare una donna a sopravvivere a questo trauma: “II primo punto è far scoprire che il bambino vive certamente: e che si trova tra le braccia del Padre. La donna deve capire che suo figlio la ricorderà come la sua mamma, colei che gli ha permesso dì raggiungere l’Amore di Dio nell’eternità. Il secondo punto è convincere la donna che il bambino ha diritto al suo nome: ricordo ancora con emozione come una donna chiamò suo figlio. L’ho chiamato Emanuele mi disse che vuoi dire Dio con noi, perché mi prenda per mano e mi conduca a Dio. // bambino è un santo protettore, bisogna chiamarlo, invocarlo nei momenti duri perché guidi al perdono del Padre. Il passo successivo è quello di riaffermare il discorso cristiano: non credo che esista una strada per salvarsi fuori dal cristianesimo. Per noi almeno, perché Dio può scegliere qualunque mezzo per salvare e aiutare. Poi, come il Papa ha suggerito nella Evangelium vitae, invito le donne che hanno superato il trauma dell’aborto a lavorare per la vita: chi riesce a farlo, e anche nel libro ci sono esempi, porta con sé uno spirito speciale, una forza che ha solo chi ha scoperto la vita in modo molto intenso”.
Abortro: tragico inganno
Dietro all’aborto storie di disgregazione familiare: Garrone riferisce di partner assenti e di donne confuse. Don Ugo Borghello approfondisce con due splendidi testi le ragioni metafisiche di questi drammi. In Liberare l’amore (Ares) e Le crisi dell’amore (Ares), più teologico il primo, scritto con taglio psicologico il secondo, parte dall’inganno del peccato originale per spiegare come l’inganno idolatrico, vale a dire il senso della vita riposto in altro da Dio, possa condurre a scelte tragiche in apparente soddisfazione delle proprie aspirazioni, salvo poi condurre all’angoscia più profonda, la medesima che abbiamo ritrovato descritta nelle parole di Garrone. In particolare Borghello spiega come il meccanismo della maternità narcisistica, il figlio a tutti i costi voluto per sé, sia alla radice della mentalità abortistica: “donne che per mentalità acquisita abortirebbero facilmente un terzo figlio, si sottomettono volentieri alle torture della fecondazione in vitro per averne uno”. I due preziosi testi di Borghello hanno il pregio di mostrare con chiarezza immediata come il rischio dell’idolatria sia presente in ognuno di noi e come questa ferita dell’animo umano possa mettere a rischio l’amore coniugale e generare le sempre più frequenti tragedie familiari.
Tappe della vita
a. Fecondazione: è il primo atto della costituzione di un organismo umano. Consiste nell’incontro e nella fusione di due cellule molto speciali, una di origine paterna detta spermatozoo, l’altra di origine materna detta ovocita. Da questo incontro ha origine lo “zigote”, la prima cellula del nuovo organismo.
b. Lo “zigote” ha 46 cromosomi. Ogni specie vivente ha un suo numero fisso di cromosomi: la mosca ne ha 6, la cipolla 14, la patata 48, il pollo 78. L’uomo ne ha 46. Il numero di 46 cromosomi dimostra che lo zigote è senza dubbio una cellula appartenente alla specie umana. Nel DNA dello zigote è contenuto il futuro e completo sviluppo del corpo umano.
c. Al 20° giorno è già manifesto il primo abbozzo del sistema nervoso.
d. Intorno al 25° giorno il cuore comincia a pulsare.
e. Alla fine della 4° settimana compaiono gli abbozzi degli arti. Nella stessa settimana si riconoscono gli emisferi cerebrali, il cervelletto, l’organo olfattorio, la retina.
f. Nel corso della 6° settimana i processi morfo-genetici si perfezionano: compare il palato secondario, si formano le ghiandole surrenali, mentre le gonadi acquistano il carattere specifico del sesso genetico. Si distinguono chiaramente le dita delle mani.
g. L’aspetto dell’embrione è ora riconoscibile ad occhio nudo: viso appiattito, padiglione auricolare a conchiglia, alluce grosso.
h. All’8a settimana il cervello è completamente presente.
i. A 9 o 10 settimane il feto socchiude gli occhi, inghiottisce, muove la lingua e, se lo si urta sul palmo della mano, chiude il pugno.
j. A 11-12 settimane (tre mesi) succhia il pollice, respira regolarmente il liquido amniotico e continua così fino al momento della nascita.
k. All’11a settimana i sistemi del corpo, ormai tutti presenti, sono anche tutti funzionanti. D’ora in poi il feto presenta solo fenomeni di accrescimento.
Processi di morte
Entro i primi tre mesi di gravidanza, le tecniche più usate per sopprimere la vita umana nel grembo materno sono cinque:
a. la “pillola del mese dopo” (RU 486). Non è una pillola “anticoncezionale”, ma “abortiva”, perché provoca il distacco e l’espulsione dell’embrione già impiantato nell’utero. È efficace fino a un mese dal concepimento.
b. la “pillola del giorno dopo” (Nor-Levo): si tratta dì due compresse contenenti un ormone da assumere entro le prime 72 ore. Provoca l’espulsione dell’ovulo fecondato.
c. la cosiddetta “spirale” (IUD). È un oggetto filiforme, per lo più avvolto a spirale che, inserito nell’utero, impedisce l’impianto dell’embrione nell’utero stesso, provocandone l’aborto.
d. “l’embriotomia”, ossia il “taglio a pezzi” dell’embrione all’interno dell’utero mediante uno strumento (un “coltello”) a forma di cucchiaio, col quale si procede poi allo svuotamento della cavità uterina e al “raschiamento” delle sue pareti. Il feto ne esce a pezzi.
e. “l’aspirazione” (metodo Karman) consiste nell’introdurre nell’utero un tubo di gomma collegato a una potente pompa aspirante. Il feto viene “risucchiato” e maciullato. Ne esce ridotto in poltiglia.
Dopo il terzo mese di gravidanza, le tecniche sopra descritte risultano pericolose per la donna e, pertanto si ricorre al metodo dello:
f. “avvelenamento”. Consiste nell’iniettare nel liquido amniotico sostanze chimiche velenose che fanno morire il bambino per asfissia, tra atroci sofferenze. Dopo qualche giorno la donna partorisce un bambino morto.
BIBLIOGRAFIA
Abbiamo ricavato le informazioni suddette da:
L’aborto in Italia: realtà e problemi a cinque anni dall’introduzione della legge abortista,
in Sacra Doctrina, nn. 3-4, maggio-agosto 1983.
Jean Marie de la Croix, Piccolo manuale di bioetica, Mimep-Docete, Pessano (MI) 2000
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