Le associazioni di omosessuali hanno cominciato la loro guerra contro chi non la pensa come loro. Vogliono impedire che qualcuno esprima idee non conformi al loro “credo”. Lo fanno interrompendo conferenze, minacciando ritorsioni, disturbando libere manifestazioni. E tutto questo prima dell’approvazione della famigerata legge sull’omofobia. Che cosa succederà dopo?
Da Casale Monferrato a Bergamo, dal caso Barilla all’aggressione alla scuola Faà di Bruno di Torino: una legge contro l’omofobia è ancora in discussione, ma è già diventato un gesto eroico affermare che l’unica famiglia è quella naturale.
L’ultimo episodio è stato a Bergamo il 9 novembre: una tranquilla manifestazione di “Sentinelle in piedi” – 170 persone in piedi per un’ora in una piazza centrale della città, ognuno leggendo un libro – viene disturbata e contestata da un gruppo di attivisti gay. La modalità della protesta delle Sentinelle, che ricalca quanto già avvenuto in Francia, è una contestazione del divieto di manifestare la propria opinione che la legge sull’omofobia vorrebbe introdurre: la lettura del libro in silenzio è il segno che ognuno in piazza ci sta con la sua cultura e il suo pensiero. Cosa ovviamente non gradita a chi pensa di difendere i propri diritti chiudendo la bocca a tutti gli altri. Da dietro al cordone di polizia i contro- manifestanti lanciano slogan, gridano “buuu”, cercano di provocare una qualche reazione. Invano. Resta il brutto spettacolo di una manifestazione di intolleranza.
Ma questo è appunto solo l’ultimo episodio di una lunga serie da quando il disegno di legge contro l’omofobia ha iniziato il suo iter in Parlamento. I gesti clamorosi di intimidazione sono cominciati il 22 settembre, quando un centinaio di attivisti gay arrivati da Torino e provincia hanno fatto irruzione in una sala di Casale Monferrato per tentare di interrompere una conferenza pubblica sul tema dell’ideologia di genere. A organizzarla erano quattro associazioni – Alleanza Cattolica, Comunione e Liberazione, Movimento per la Vita e Giuristi per la Vita – con il patrocinio della locale diocesi: una conferenza soltanto per spiegare i pericoli della legge contro l’omofobia per la libertà di espressione e la libertà religiosa. E più efficace di qualsiasi relazione è arrivato l’intervento di decine di attivisti gay che hanno interrotto i relatori, sono saliti sul palco, hanno tentato una sorta di contro-conferenza. Una situazione che ha fatto tornare indietro nel tempo, a quegli anni ’70 dove scene del genere erano diventate un’abitudine e avevano fatto da preludio a ben altre violenze.
Da Casale in poi è comunque un moltiplicarsi di fatti inquietanti, che arrivano fino alla tv di stato. A Domenica In l’avvocato Giancarlo Cerrelli, vice presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, prima viene invitato a una puntata dove si dovrebbe discutere di omofobia – a proposito del suicidio di un 21enne gay a Roma –, poi l’invito viene ritirato, quasi certamente per interventi “superiori”. Una precedente apparizione di Cerrelli a Uno Mattina estate – dove aveva argomentato le critiche al progetto di legge sull’omofobia – aveva infatti provocato la reazione di parlamentari grillini e Sel (Sinistra, Ecologia e Libertà) che avevano chiesto alla Commissione di vigilanza Rai che non fosse mai più invitato in Rai non solo Cerrelli ma qualsiasi “ultracattolico omofobo”.
Vale la pena sottolineare a questo punto che in nessuno di questi casi si è mai cercato di insultare o mancare di rispetto a persone omosessuali, tanto meno assecondare eventuali atti di violenza. Semplicemente si esprime una critica a progetti di legge che hanno solo lo scopo di limitare libertà garantite dalla Costituzione e si sostiene che l’unica famiglia è quella naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna (e anche questo è un principio costituzionale). Ma tutto questo oggi pare che in Italia – e non solo – sia proibito, non ancora da una legge ma dalla prevaricazione di una minoranza agguerrita e dal clima di isteria creato grazie anche all’accondiscendenza della grande stampa nazionale. Al punto che anche singole scelte, private o aziendali, entrano nel mirino. Come dimostra il caso Barilla, che è il fatto che maggiormente ha attirato l’attenzione dei media in questo periodo.
I fatti sono noti: Guido Barilla, presidente dell’omonimo gigante dell’industria alimentare, famoso per la pubblicità che esalta la famiglia, rispondendo a una domanda durante una trasmissione radiofonica nota per le provocazioni, afferma che i suoi soldi li investe come gli pare, per questo “lui non farà mai una pubblicità per famiglie gay” perché crede che la famiglia sia solo quella naturale e che se ai gay questo discorso non piace sono liberi di acquistare qualsiasi altra marca. Apriti cielo: è stato un massacro mediatico, Guido è riapparso soltanto con un video di scuse e dicendosi pronto a riparare in qualche modo dopo aver capito che sull’evoluzione della famiglia ha molte cose da imparare. Intanto a parlare per la Barilla sono il fratello Luca e altri dirigenti, che sconfessano apertamente Guido e probabilmente lo costringono a fare ciò gli ripugna. “Per il bene dell’azienda”, ma i Barilla avrebbero fatto meglio a fare un sondaggio tra i loro clienti: avrebbero scoperto che, rispetto ai possibili clienti persi per presunta omofobia, sono molte di più le persone che non compreranno Barilla per essersi piegati al ricatto di Franco Grillini e soci (Grillini è presidente onorario di Arcigay e consigliere regionale dell’Emilia Romagna che ha accolto Guido Barilla nel suo studio come se questi fosse Enrico IV che va a Canossa).
Se quello di Barilla è stato l’episodio mediatico più clamoroso, c’è però un altro fatto che ha avuto meno rilevanza nazionale pur essendo potenzialmente più grave. Ci riferiamo al caso della scuola paritaria Faà di Bruno a Torino, dove lo scorso 8 novembre era in programma il primo di tre incontri per genitori dedicati all’ideologia di genere. Si è scatenato un tale putiferio e una mobilitazione delle associazioni gay da consigliare i dirigenti della scuola di annullare l’incontro, pur ribadendo con un comunicato l’inaccettabilità di tali pressioni e denunciando il clima di intolleranza e prevaricazione che si è venuto a creare. Denuncia fatta poi propria anche dalla diocesi di Torino. Quello che salta agli occhi è l’assoluta sproporzione tra il fatto contestato – un incontro non destinato alla cittadinanza, ma semplicemente a poche decine di genitori di una scuola – e la mobilitazione per impedirlo. Non solo le proteste pubbliche delle associazioni gay, ma anche una loro lettera all’arcivescovo di Torino e poi interrogazioni in Consiglio comunale con la richiesta di sospendere qualsiasi convenzione con la scuola “omofoba”.
Proprio qui dovrebbe scattare il segnale di allarme. Grazie alla “Strategia nazionale per la prevenzione dell’omofobia”, approvata dal Dipartimento delle Pari Opportunità al tempo del ministro Fornero (governo Monti), si stanno moltiplicando in tutte le scuole italiane programmi di vero e proprio indottrinamento di ragazzi e insegnanti per “superare gli stereotipi di genere”, vale a dire la credenza che in natura esistano solo due sessi, maschile e femminile, a favore di una concezione che vede la scelta sessuale come culturale, e comunque frutto di una decisione personale che può anche cambiare più volte durante la vita.
Si sta cercando di rendere tutto ciò obbligatorio ed è significativo che il Decreto scuola approvato dal Senato in via definitiva l’8 novembre preveda fondi per la formazione degli insegnanti in tal senso. Vale a dire che presto le scuole paritarie – che già sono discriminate economicamente rispetto a quelle statali – si troveranno davanti alla minaccia di vedersi ritirato ogni sostegno economico se non accetteranno di insegnare l’ideologia di genere.
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