Il cardinale Giacomo Biffi ha lasciato l’arcidiocesi di Bologna per limiti di età. Controcorrente, ironico ma soprattutto amante della verità. Così ha sfidato la cultura dominante scandalizzando la stampa «ignorante».
Saranno molti a sospirare di sollievo ora che il cardinal Giacomo Biffi non è più arcivescovo di Bologna, essendosi dimesso (con pronta obbedienza) allo scoccare dei 75. L’uomo ha «disturbato» in quella carica. Quando ha definito l’Emilia, così orgogliosa del suo postcomunismo bonario, «sazia e disperata». Quando ha assicurato, per contro, che in Paradiso si mangeranno tortellini (perché risorgeremo con la carne, dunque anche con lo stomaco). Quando ci ha spiegato (citando Soloviev) che l’Anticristo sarà, anzi è (si trova già tra noi) «pacifista, vegetariano, convinto spiritualista, filantropo, specialista in ecumenismo». Quando ha messo in guardia lo Stato dai rischi di un’incauta apertura dell’immigrazione ai musulmani: «L’Italia non è una landa semi-disabitata, da popolare indiscriminatamente come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e civiltà, che non deve andare perduto». E peggio, quando ha ricordato che Gesù «non ci ha detto: andate e predicate il Vangelo a tutte le creature, tranne ai musulmani e al Dalai Lama».
Don Vitaliano della Sala, il prete dei no-global picchiatori, l’ha perfino querelato per discriminazione razziale. Ma la stampa, soprattutto, è stata continuamente scandalizzata dagli interventi del cardinal Biffi.
E’ facile scandalizzare i giornalisti perché sono ignoranti (sono uno di loro e posso assicurarlo), la loro «cultura» consiste in un miscuglio di luoghi comuni autorizzati, ossia politicamente corretti. Perciò a loro paiono inauditi, e li indignano, argomenti e temi che invece hanno ampia circolazione fra i colti, i pensosi e gli intelligenti. Biffi li ha irritati enunciando verità cristiane che sono in giro da duemila anni.
La domanda vera dunque è questa: non perché il cardinal Biffi abbia scandalizzato la stampa, ma perché sia uno dei pochi a farlo. Ma si capisce se si leggono i suoi scritti direttamente. Alcune frasi: «L’Europa diventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la cultura del niente». «C’è chi identifica il dovere del dialogo, della tolleranza, della cortesia verso tutti con la rinuncia a cercare, conoscere, difendere la verità». Vedete lo stile? Nessuna unzione clericale, nulla dello sciroppo con cui tante, troppe «lettere pastorali» avvolgono le verità cristiane. Niente brodini tiepidi: uno stile franco, diretto, senza fronzoli. Spesso condito con l’ironia e l’humour di un grande intellettuale che sa che con le idee ci si può divertire, e che il paradosso è il sale della dialettica e della polemica.
Tutto ciò è imperdonabile: un prete che scrive e pensa con stile e piglio «laico». In un’Italia dove persino il presidente della Repubblica ormai pronuncia omelie, il cardinal Biffi «non stava al suo posto». Ha «bucato» per anni il rumore di fondo un po’ scemo dell’informazione non «facendo il prete», recitando la parte buonista e ovvia, che tranquillizza le tv, ma nei termini che lui stesso ha saputo imporre: il cristianesimo come realismo, la carità con la lucidità, la fede come impegno e «scandalo». Spero che il cardinale continuerà a scandalizzare ancora, da (ottimo) scrittore e pensatore qual è.
IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 11