Nessuna provocazione può giustificare la violenza. Ma il corpo femminile parla un linguaggio capace di irretire. Nonostante il processo di omologazione dei sessi, uomo e donna sono e restano diversi. Accomunati dal peccato originale, entrambi si misurano con la tentazione
La violenza carnale? Colpa di quelle donne che assumono atteggiamenti e costumi provocanti. È stata più o meno questa la tesi che nelle scorse settimane ha suscitato in Italia un vespaio di polemiche, scatenando le reazioni sdegnate della cultura dominante e degli ambienti femministi. L’argomento è delicatissimo, e si presta facilmente al fraintendimento e alla polemica ideologica. Vale la pena di rimettere un po’ d’ordine e di ragionarne a sangue freddo.
Tre premesse necessarie
La prima premessa necessaria è che nessuna circostanza particolare può mai giustificare un delitto: un omicidio resta sempre un omicidio, anche se è stato indotto da una provocazione. Le circostanze possono modificare o attenuare la responsabilità, ma non possono mai assolvere il colpevole. Questo criterio vale evidentemente anche per la violenza carnale: nessuna circostanza può rendere accettabile questo comportamento spregevole.
La seconda premessa è che non si deve fare di ogni erba un fascio: è vero che molte donne oggi esibiscono costumi discutibili, ma è anche vero che non tutte sono omologabili a questo clima “leggero”. Paradossalmente, proprio le donne più “virtuose” possono sentirsi offese da una semplificazione che riduca la violenza a una reazione indotta dalla dissolutezza dei costumi. Sappiamo bene che non è sempre così.
La terza osservazione riguarda la peculiarità del rapporto fra i sessi: lo stupro dimostra drammaticamente che uomo e donna sono diversi. Una diversità insuperabile, connaturale, per nulla frutto di fattori culturali ma inscritta nelle caratteristiche della mascolinità e della femminilità. La donna ha bisogno di essere protetta e difesa perché esprime una fragilità intrinseca. Nonostante gli enormi cambiamenti intervenuti nel rapporto fra uomo e donna, nonostante l’emancipazione femminile, nonostante una impressionante omologazione dei sessi, la violenza carnale rimane un fatto orribile ed esecrabile che attesta il permanere della diversità. Il fenomeno non può essere combattuto negando la differenza, ma al contrario partendo da questo dato di fatto.
Una diversità inevitabile
Il pensiero femminista – che ha saturato per decenni la cultura contemporanea, compresa quella cattolica – ha ripetuto ossessivamente che uomo e donna sono uguali. Un approccio disastroso, che ha cercato di emancipare il mondo femminile dentro una logica fondata sui rapporti di forza: la donna sarebbe stata veramente libera quando avesse raggiunto lo stesso potere dell’uomo. I risultati di questa visione sono sotto i nostri occhi. Si è affermata una parità deteriore, nella quale individualismo sfrenato, carrierismo, abbandono del ruolo educativo sono diventati atteggiamenti comuni tanto all’uomo che alle donne. Portando alla sempre più frequente dissoluzione del vincolo matrimoniale. Il corpo dell’uomo e della donna sono però rimasti come pietra d’inciampo a ricordare che la diversità esiste eccome, e che c’era una saggezza profonda in quella tradizione che imponeva a maschi e femmine atteggiamenti, ruoli e compiti diversi. L’uomo è fisicamente forte, e proprio per questo egli è tenuto al rispetto e alla protezione nei confronti della donna. La donna esercita sull’uomo un fascino e una capacità di condizionamento peculiari, che da sempre incidono in modo decisivo sul comportamento maschile. Riconoscere questa realtà naturale è l’unico modo per promuovere un rapporto pacificato e costruttivo fra i due sessi. Soprattutto in quel campo delicatissimo che attiene alla sfera della sessualità e dell’attrazione erotica.
La donna e il linguaggio del corpo
La diversità dei due sessi si esprime anche in una struttura psicologica e cognitiva che distingue uomo e donna. Il primo attribuisce un’importanza fondamentale a ciò che vede, e in questo senso l’uomo è colpito immediatamente dalla corporeità femminile. Per questo motivo una donna in minigonna e un uomo in pantaloncini corti non producono, normalmente, lo stesso effetto. D’altra parte, la donna ha una sensibilità molto più sottile e raffinata rispetto all’uomo, e per questo attribuisce importanza a sfumature spesso ignorate dall’uomo.
Insomma: il corpo della donna parla, lancia messaggi e segnali, spesso perfino a prescindere dalle intenzioni della donna stessa. Ecco perché il tema del “vestito delle donne” non è il retaggio di una visione maschilista della realtà, ma pone l’attenzione intorno a una questione molto seria. La moda non è affatto un elemento neutrale della relazione uomo-donna, ma è un fattore prevalentemente femminile, capace di orientare i comportamenti in maniera decisiva. L’argomento si fa apologetico: per secoli, la Chiesa ha richiamato l’attenzione sulla purezza e sulla castità anche attraverso una certa misura nell’abbigliamento delle donne. Oggi spesso si sorride con aria di compatimento di fronte a quelle cautele. Ma poi ci si ritrova a osservare una società satura di sensualità, nella quale molte donne hanno perso la capacità di accorgersi del potenziale esercitato dal modo di porsi e di vestirsi. Oppure da donne che usano consapevolmente di questa arma per raggiungere risultati e obiettivi mondani. Da qualunque parte la si guardi, questa logica crea una civiltà del peccato, nella quale tutto diventa lecito e tutto è permesso, purché vi sia il consenso delle parti in gioco. La violenza carnale diventa l’unica azione inaccettabile. Ma è del tutto evidente che, in un clima intriso di sensualità e di licenziosità, questa forma di radicale disprezzo della donna viene sottilmente incentivato: se il corpo dell’altro si può usare per divertirsi, perfino la forza può essere usata per soddisfare la concupiscenza.
L’uomo e il peccato originale
La riflessione sui costumi femminili rimanda anche ad alcune verità fondamentali della dottrina cattolica. In particolare, pensiamo ai temi del peccato originale e della tentazione. La colpa di Adamo imprime una ferita in ogni essere umano, e quindi lo rende fragile; chi si dimentica questa verità abbandona la strada della prudenza e della prevenzione, e così si espone più facilmente al peccato. Anche in casa cattolica si è attenuata la saggia pedagogia che per secoli suggeriva di fuggire le occasione prossime di peccato. Le pulsioni sessuali presenti nella natura umana hanno bisogno di essere orientate e dominate da una volontà allenata e responsabile. Una strada faticosa, ma non impossibile. In questo senso uomini e donne possono decidere che cosa intendono fare. Possono imboccare la strada suggerita dal mondo, abbandonando il pudore e solleticando a vicenda la sensualità, in una relazione sostanzialmente ingannevole. Oppure possono allearsi per aiutarsi a vicenda: l’uomo, rispettando nei suoi gesti e nel suo linguaggio l’altra metà del cielo; e la donna esprimendo tutta la sua femminilità senza scadere nella provocazione più volgare.
RICORDA
«(…) Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell’abbigliamento (…)».
(Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2523)
IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 16 – 17
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