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12.12.2024

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Ildegarda di Bingen
31 Gennaio 2014

Ildegarda di Bingen


La vita e le opere di una mistica del medioevo cristiano. Che si occupò con competenza di quasi tutto lo scibile umano. Scriveva in latino senza averlo studiato. Benedetto XVI la proclama “Dottore della Chiesa”

L’elenco delle opere scritte da Ildegarda di Bingen (Bermersheim vor der Höhe, 1098 – Bingen am Rhein, 1179), la «Sibilla del Reno», è assai nutrito, ma ancor più vasto è l’elenco dei temi che trattò. Santa Ildegarda, che sarà proclamata Dottore della Chiesa il 7 ottobre da Sua Santità Benedetto XVI, scrisse di teologia, di filosofia, di morale, di agiografia, di scienza, di medicina, di cosmologia; compose liriche, eccelsa musica e intrattenne un fitto scambio epistolare con numerosi corrispondenti di tutta Europa.
Eppure ella si proclamava indocta e attingeva le sue mirabili conoscenze ad una ricchissima cultura infusa. Scrisse sempre in latino, pur non avendolo mai studiato.

La vita
Il ruolo di Ildegarda, nata in un villaggio poco distante da Magonza e decima figlia del nobile Ildeberto di Bermersheim, fu quello dell’intermediaria fra Cielo e terra, di colei che parla non per propria volontà, ma per bocca della Vivente Luce, quella Luce che le trasfuse la Sapienza e che vide già a tre anni. Lei stessa scriverà: «i miei genitori con gemito mi consacrarono a Dio, e a tre anni vidi una così gran luce, che la mia anima tremò; ma, data la mia età infantile, nulla potei dire di questa visione. A otto anni fui offerta a Dio per la vita religiosa e fino a quindici anni ebbi molte visioni e dissi diverse cose con semplicità, per cui coloro che udirono ciò si chiedevano meravigliati, donde questo provenisse e da chi. E rimasi anch’io stupita del fatto che, quando avevo una visione interiore, vedevo anche con gli occhi del corpo; e poiché di nessuno udii una cosa simile, tenni nascosta quanto potei la visione che avevo nell’intimo; e ho ignorato molte cose esteriori a causa del frequente malore di cui ho sofferto da quando venivo allattata da mia madre fino ad oggi, malore che macerò il mio corpo ed indebolì gravemente le mie forze» (Vita di santa Ildegarde, scritta dai monaci Goffredo e Teodorico, Libro II, cap. I, 16).
Questa umile e malatissima monaca benedettina, entrata in convento a 8 anni e che prese i voti perpetui a 15, ebbe ordine dal Signore di parlare e di scrivere per diventare «tromba di Dio». Con i suoi consigli, con i suoi severi e rigorosi ammonimenti indicò la via, anche agli uomini di Chiesa, del ben operare, sciogliendo i dubbi di chi vacillava. Interpellava le alte personalità della stessa Chiesa e dell’Impero ricordando i loro compiti, le loro responsabilità davanti a Dio, prima ancora che davanti agli uomini, e rammentando l’origine del loro potere.

Le opere
Nel Riesenkodex (il tomo manoscritto, che pesa 15 chili, conservato nella Landesbibliothek di Wiesbaden, compilato fra il 1180 e il 1190, e che contiene l’opera omnia di santa Ildegarda, ad eccezione dei trattati di carattere medico-naturalistico) la corrispondenza epistolare è ordinata secondo lo stato sociale di appartenenza. All’ultimo posto umili laici e basso clero, preceduti da abati, badesse, benestanti e nobili, per poi giungere a vescovi, arcivescovi, nobiltà titolata fino al Papa e all’Imperatore. Svariati sono gli argomenti affrontati da questa mistica davvero sui generis, il cui rapporto con il trascendente non avviene attraverso l’estasi, ma nella coscienza piena delle sue facoltà sensibili e intellettive.
Di grande valore sono le 308 questioni sottoposte alla Badessa di Bingen dai monaci del monastero di Villers, le cui risposte formano un trattato dal titolo Solutiones triginta octo questionum. Le domande vertono sull’ordine e sull’essenza della Creazione, sul rapporto che lega Dio agli uomini, sui concetti di corpo, anima, uomo e angelo.  
Nel 1150 fonda il convento di San Roberto nei pressi di Bingen e nel 1165 quello di Eibingen, al di là del Reno. La sua fama si amplia nel continente e viene interpellata anche per tenere prediche contro le eresie. Jean de Salisbury (1120-1180), Vescovo di Chartres, parla della benedettina in una lettera del 1167 e fa allusione alla grande fiducia che ha nei suoi confronti papa Eugenio III (?-1153).
Re Conrad III di Hohenstaufen (1033- 1152), zio di Federico Barbarossa (1122- 1190), nonché duca di Franconia, re d’Italia, re di Germania e imperatore, chiede le sue preghiere e lei lo incoraggia e lo ammonisce nel contempo: «Beati coloro che si sottomettono dignitosamente al candeliere del sommo Re. O re, sii perseverante e monda il tuo spirito da ogni sporcizia. Poiché Dio sostiene coloro che lo cercano con cuore puro e fervente». Esiste anche una corrispondenza fra santa Ildegarda e Federico Barbarossa, che ebbe modo di incontrare personalmente nel 1155, nel castello di Ingelheim.

I trattati teologici
Tre sono i suoi trattati teologi: Scivias, Liber vite meritorum, Liber divinorum operum. Lo Scivias (Conosci le vie), scritto fra il 1141 e il 1151, e i cui primi capitoli vennero letti da Eugenio III di fronte al Sinodo di Treviri del 1147, è articolato in tre parti ed è un’esortazione a conoscere e seguire le vie che conducono a Dio. Nella prima parte la mistica vede la Luce Vivente e il regno di Dio, l’origine del male, il peccato originale, le sue nefaste conseguenze e le schiere angeliche. La seconda parte tratta della Redenzione, quindi dell’Incarnazione del Figlio di Dio, della Chiesa, del suo contributo alla Salvezza e dei Sacramenti. La terza parte riprende i temi precedentemente affrontati, partendo da Adamo fino al tempo della Salvezza, frutto di eventi quali l’Incarnazione, la Passione, la Redenzione e l’Ascensione; ma si tratta anche di una vicenda individuale, legata alla relazione che l’anima stabilisce con il peccato e con le virtù. Si giunge, quindi, al Giudizio universale, quando il creato avrà ritrovato il proprio ordine e il male verrà punito ed allontanato, lasciando lo spazio soltanto alla gioia e al canto.
La seconda opera teologica, Liber vite meritorum (Libro dei meriti di vita) venne scritta fra il 1158 e il 1163. È un trattato dialettico fra i vizi, presentati in tutta la loro fallace falsità, e le virtù, che sono in grado di smascherare l’inganno dei vizi.
Infine nel Liber divinorum operum (Libro delle opere divine), scritto fra il 1163 e il 1174, l’autrice sintetizza i concetti teologici, le conoscenze scientifiche, le speculazioni relative al funzionamento della mente dell’uomo e della struttura del cosmo. Un testo davvero impressionante per la completezza dell’esposizione e per le sue conclusioni. Il punto di partenza e di arrivo delle sue analisi antropologiche e cosmologiche è l’attività creatrice di Dio. Fede e ragione, in santa Ildegarda, combaciano perfettamente: «L’uomo, in effetti, Egli lo creò a sua immagine e somiglianza; in esso Egli iscrisse, con fermezza e misura, la totalità delle creature. Da tutta l’eternità la creazione di questa opera, la creazione dell’uomo, era prevista nel suo consiglio. […] Attraverso di me in effetti ogni vita si infiamma. Senza origine, senza termine, io sono quella vita che persiste identica, eterna. Quella vita è Dio. Essa è perpetuo movimento, perpetua operazione, e la sua unità si mostra in una triplice energia. L’eternità è il Padre; il Verbo è il Figlio; il soffio che collega i due è lo Spirito Santo» e il perpetuo movimento è intriso di ineffabile e incommensurabile amore. È in questo libro che Ildegarda anticipa la raffigurazione celeberrima dell’uomo al centro di un cerchio (la perfezione), che realizzerà Leonardo da Vinci (1452- 1519) quattro secoli più tardi.

Le opere scritte della «Sibilla del Reno» riguardano anche il futuro del mondo e della Chiesa. Le sue visioni sugli ultimi tempi hanno avuto un grande influsso sul pensiero escatologico medioevale. Ildegarda parlò degli errori e dei peccati del clero, parlò della crisi della Fede, alla quale Benedetto XVI dedica, a partire dall’11 ottobre 2012, un anno intero. Nello Scivias ella afferma, per bocca di Dio: «[…] si prevede ancora la terribile prova dei suoi [di Cristo] membri [del Corpo mistico, ovvero la Chiesa] […]. La figura di donna che prima avevi visto accanto all’altare è la sposa del Figlio di Dio… Le macchie che coprono il suo ventre, sono le numerose sofferenze sopportate da lei nella sua lotta contro il figlio della perdizione, cioè contro Satana. Questi però viene colpito potentemente dalla mano di Dio. […]. È la rivelazione della potenza di Dio, sulla quale si appoggia la sposa di mio Figlio. Si manifesterà nel candido splendore della fede, quando dopo la caduta del figlio della perdizione molti torneranno verso la verità, in tutta la bellezza che splenderà sulla terra». L’esistenza e gli scritti di questo Dottore sono un mirabile impasto di terra e di Cielo: Ildegarda, con linguaggio talvolta virile e talaltra sinfonico, costituito da potenza e grazia insieme, affrontò i temi della teologia con sicurezza e prontezza, forte dell’assistenza dello Spirito Santo. Il suo dire coraggioso e la sua azione determinata e ricca di autorità possiedono l’impeto e la forza di chi è stato direttamente incaricato da Dio di contribuire alla costruzione delle mura della Città Celeste.

Per saperne di più…

Eduard Gronau, Hildegard. La biografia, Ancora, 1996.
Ildegarda di Bingen, Scivias. Il nuovo cielo e la nuova terra, a cura di Giovanna della Croce, Libreria Editrice Vaticana, 2002.
Ildegarda di Bingen, Libro delle creature. Differenze sottili delle nature diverse, Carrocci, 2011.
Lucia Tancredi, Ildegarda. La potenza e la grazia, Città Nuova, 2012.



IL TIMONE  N. 116 – ANNO XIV – Settembre/Ottobre 2012 – pag. 50 – 51

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