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Impresa è bello (nel nome di Cristo)
31 Gennaio 2014

Impresa è bello (nel nome di Cristo)


Nel mondo dell’impresa, non tutto è profitto e cinismo. Per molti imprenditori la fede è decisiva. La testimonianza di Cesare Ponti, Fabio Sghedoni e Alba Bonacina

Per Adriano Olivetti, l’industriale (1901-1960) convertito al cattolicesimo in età matura che cercò di armonizzare la logica dell’impresa con una forte spiritualità, il fine di un’industria non può ridursi a perseguire profitti. Nella vita di una fabbrica, c’è «qualcosa di più affascinante: una trama ideale, una destinazione, una vocazione».
Un’altra grande convertita (sia pure in articulo mortis), la militante politica e mistica francese di famiglia ebraica Simone Weil (1909- 1943), sognava la fabbrica ideale come un luogo in cui «ogni sera uscissero il maggior numero possibile di prodotti ben fatti e di lavoratori felici». Insomma, il lavoro non è schiavitù e l’impresa un’arena in cui si contrappongono da antagonisti il datore di lavoro e l’operaio, secondo il classico, e ormai invecchiato, schema marxista. Già sant’Ambrogio sosteneva che «ogni buon lavoratore è una mano di Cristo» e per Gregorio Magno «chi non lavora non ama».

Perché si crea un’impresa? Perché lo fa un cristiano? Le imprese possono avere un’anima, cioè una motivazione ideale, o sono solo pragmatiche attività tese al guadagno? Sì, si può vivere l’impresa e la vita dentro l’impresa in un modo diverso, nutrito dai valori cristiani. Ne è ben consapevole Cesare Ponti, amministratore delegato dell’omonima, celebre azienda che produce aceti, sottaceti e sottoli. «Per me al primo posto all’interno della fabbrica deve esserci l’attenzione alla persona che vi lavora», spiega, «seguendo quattro direttrici: la coesione, la fiducia, la coerenza, la comunione di intenti». Ponti, 72 anni, alla guida di un’azienda familiare nata nel 1867 nel Novarese come impresa artigianale e oggi leader mondiale nel settore (con cinque stabilimenti, 170 dipendenti e 115 milioni di fatturato), si richiama esplicitamente all’enciclica sociale Centesimus Annus di Giovanni Paolo II (1991): l’Enciclica indica all’impresa di non accontentarsi dell’efficienza economica, ma di puntare ad essere una comunità di lavoro, preoccupata della qualità del prodotto, dei bisogni dei dipendenti e della cura dell’ambiente.
Precisa il “re” dell’aceto: «La Centesimus Annus non si limita a richiamare un maggior dialogo e collaborazione, ma sottolinea che tutte le parti sociali (…) devono contribuire a svolgere un’azione culturale per sviluppare un maggior senso di responsabilità nei confronti dell’impresa». Nel concreto, Cesare Ponti è riuscito ad attuare una rivoluzione organizzativa che si può così riassumere: cambiamento quasi radicale del clima di lavoro; maggior attenzione nella qualità dei prodotti; individuazione ed accettazione di diversi livelli di responsabilità; riconoscimento delle qualità di leader fra i dipendenti; maggior coinvolgimento e dialogo tra la direzione, i quadri e i lavoratori; possibilità di comporre il consiglio di fabbrica con persone competenti e motivate. In conclusione, «la riscoperta di una tensione verso i comuni interessi». Ma ci tiene a puntualizzare: «Certo, molti imprenditori laici si comportano come noi, partendo dal rispetto delle persone e delle regole, ma noi cristiani abbiamo una motivazione in più, che ci aiuta nei momenti difficili come questo». Una ricetta per la crisi? «Occorre dare speranza. Le basi ci sono, il sistema industriale non sta franando. Ma deve cambiare la politica». Intanto entra in azienda Lara, la figlia di Cesare, espressione della quinta generazione dei Ponti. Si occuperà di organizzazione del personale. E così la storia continua…

Fabio Sghedoni ha 47 anni, è sposato con Carla e ha quattro figli. Con il fratello Gianluca, che ne è l’amministratore delegato, è titolare della Kerakoll di Sassuolo (Modena), che con 1200 dipendenti (preferisce chiamarli «collaboratori »), una decina di stabilimenti in Italia e all’estero e un fatturato di 320 milioni di euro, è tra le prime cinque aziende al mondo nella produzione di adesivi e prodotti speciali per l’edilizia. «Ho imparato a vedere negli altri che lavorano con me», dice convinto Fabio, «innanzitutto delle persone, creature volute da Dio, che vanno in primo luogo ascoltate. Oggi non siamo più capaci di ascoltare, purtroppo. In azienda siamo in tanti, ognuno ha la sua sensibilità e i suoi bisogni, ma cerchiamo il più possibile di far sentire tutti come a casa loro. Da noi non si urla, c’è dialogo. Il rapporto tra imprenditore e lavoratore non è una continua sfida, come siamo abituati a vedere ovunque, ma un confronto sereno e serio. Che tuttavia non esclude, quando serve, che se uno sbaglia possa venir richiamato. E chi si impegna è riconosciuto e viene premiato. Il nostro intento è far emergere tutti i talenti». Esiste una ricetta per l’Italia, a partire dall’esperienza, dallo stile che si respira in Kerakoll? Fabio Sghedoni, uomo generoso, che è anche un grande devoto della Madonna di Medjugorje ed è vicino all’esperienza di Nuovi Orizzonti di Chiara Amirante, non ha esitazioni: «Viviamo in momenti difficili per tutti, non lo si può negare, e il mondo delle imprese ne soffre in modo acuto. Ma non si cambia rotta solo con misure tecniche e soluzioni economiche più o meno valide. Se l’uomo non torna a mettersi in ginocchio e a riconoscere la sua dipendenza da Dio, non ci sarà nessuna politica capace di tirarci fuori dalla crisi profonda in cui viviamo».

La Guardian Angels di Gattico (in provincia di Novara), è un’azienda piccola, con una quindicina di dipendenti e alcuni agenti esterni, e un fatturato di meno di tre milioni di euro l’anno, ma è molto attiva e vivace nel suo campo: installa sistemi di allarme e video sorveglianza per privati, negozi e aziende (in vendita o in affitto), ed è in continua crescita. Alba Bonacina, 64 anni, uno dei due soci, che si occupa di amministrazione e organizzazione del lavoro, è attenta a curare ogni aspetto della vita della società, senza trascurare le esigenze dei dipendenti. Alba, una vita sofferta alle spalle (è vedova due volte), ha cominciato a vivere la sua esperienza cristiana ancora ragazzina in Gs (Gioventù studentesca), per poi approdare al movimento Regnum Christi. «Per me vivere da cristiani l’esperienza imprenditoriale significa innanzitutto fare le cose bene, con rigore, rispettando le norme di sicurezza: questo è importante per tutti, lavoratori, fornitori e clienti. Non a caso abbiamo la certificazione di qualità ai massimi livelli. Siamo pochi, e nelle emergenze ci si deve dar da fare. Io poi ho un carattere collerico, è il mio difetto; così rischio di essere dura, anziché autorevole. Ma la mia preoccupazione principale è trovare sempre la soluzione ai problemi. Un posto centrale occupa la formazione, che è essenziale, mentre c’è la massima attenzione verso i bisogni dei ragazzi che lavorano con noi, spesso sposati da poco e con figli piccoli: se necessario, non neghiamo un anticipo della liquidazione o un prestito, senza troppe formalità». Un simpatico clima familiare che trova il suo culmine il 2 ottobre, festa degli Angeli custodi, cioè… onomastico della Guardian Angels! «Per noi è davvero un giorno di festa», racconta la Bonacina. «Partecipiamo alla Messa e poi a pranzo tutti insieme: titolari della società, dipendenti, collaboratori, fornitori e clienti». E la crisi? «Sono cristiana, perciò ottimista per natura, ma anche realista. Ognuno deve far la sua parte, con responsabilità e coraggio. Non ci sono altre soluzioni».

Dalle belle testimonianze di questi tre imprenditori scopriamo, nell’anno della fede, i legami profondi che legano il lavoro d’impresa con l’esperienza della fede. Ciò che emerge è il non rassegnarsi alla speculazione, ai guadagni facili, non cedendo al fascino di breve respiro del semplice interesse materiale. Perché ciò che conta di più è collaborare con il «Dio imprenditore» nella realizzazione del Suo Regno.



IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 52 – 53

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