Verità dogmatica della fede cattolica: quando, da Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce dottrine in materia di fede e morale, il Papa è infallibile. Dottrina antichissima e solennemente definita nel Concilio Vaticano I. Ma anche esigenza irrinunciabile per la verità della fede e della carità. E per la libertà della Chiesa.
L’infallibilità del Papa appartiene in modo singolarmente significativo alla struttura sacramentale ed organicamente ordinata con cui il Signore Gesù Cristo ha istituito la Sua Chiesa.
Secondo il dettato stesso della Costituzione Dogmatica “Pastor aeternus” del Concilio Vaticano I in cui è contenuta la solenne dichiarazione del magistero infallibile: “Ma ciò che il Signore Gesù Cristo, Principe dei pastori e Pastore supremo del gregge, ha istituito nella persona del beato Apostolo Pietro per la salvezza eterna e il perenne bene della Chiesa, deve necessariamente, per volontà dello stesso Cristo, durare per sempre nella Chiesa, che, fondata sulla pietra, resterà incrollabile fino alla fine dei secoli. Infatti nessuno dubita, anzi è noto a tutti i secoli, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ha ricevuto le chiavi del regno da nostro Signore Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano: fino al presente e per sempre è lui che, nella persona dei suoi successori, ossia i vescovi della santa sede di Roma, da lui fondata e consacrata dal suo sangue, vive presiede e esercita il potere di giudicare”.
“Per cui chiunque succede a Pietro in questa cattedra, per istituzione dello stesso Cristo, riceve il primato di Pietro su tutta la chiesa. ‘Rimane, allora, ciò che ha disposto la verità, e il beato Pietro, conservando la granitica solidità che ha ricevuto, non ha lasciato la guida della Chiesa a lui affidata’ (S. Leone, Sermo III). Per questo motivo è sempre stato necessario che ogni chiesa, cioè i fedeli di ogni luogo, si volgesse alla Chiesa Romana, in forza della sua origine superiore, affinché in questa sede, da cui si diffondono su tutti i diritti della veneranda comunione, come membra unite nel capo, si unissero nella compagine di un solo corpo”.
L’autentica esperienza della Chiesa vive dunque nella realtà del popolo cristiano autorevolmente guidato dal successore dell’apostolo Pietro e dal collegio dei successori degli apostoli, uniti da vincoli di profonda obbedienza e comunione con il successore dell’apostolo Pietro: in questa unità e per questa unità la parola di Dio viene rettamente predicata ed autenticamente interpretata, i sacramenti validamente celebrati, la tradizione tramandata di generazione in generazione in modo dinamico e vitale, la comunione ecclesiale ritrova il suo autentico fondamento sacramentale e la missione nasce e rinasce come inderogabile compito di tutto il popolo cristiano.
Indubbiamente quindi la presenza e il magistero del Papa, nella storia bimillenaria della Chiesa, sono state concepite e vissute come la garanzia in ultima istanza per la verità della fede e l’autenticità della carità. Secondo il dettato del Concilio di Firenze: “II vescovo di Roma è il vero vicario di Cristo, il capo di tutta la Chiesa,il padre ed il dottore di tutti i cristiani; a lui, nella persona del beato Pietro, è stato affidato dal Signore nostro Gesù Cristo il pieno potere di pascere, reggere e governare la chiesa universale”.
Difesa ultima, quindi, contro la varietà e la dialettica delle varie opinioni e delle varie opzioni culturali ed ideologiche che, ciclicamente, hanno teso a dividere l’unità della Chiesa ed a sostituire all’esperienza viva della “communio” opzioni intellettualistiche o opzioni politiche.
Non è sufficiente l’ordine sacro per offrire questa garanzia: la storia degli scismi e delle eresie che hanno duramente provato l’organismo ecclesiale, nella stragrande maggioranza dei casi, è storia di ecclesiastici ed anche di vescovi. L’unità della fede e della carità è affidata ad una persona, nel cui magistero si è rigorosamente certi che tutto il dogma della tradizione ecclesiale viene salvato in modo infallibile.
Dottrina antichissima, indiscussa nella vita e nella storia della chiesa, e solennemente esplicitata nel corso del Concilio Vaticano I in presenza di gravi e devastanti provocazioni che il mondo laicistico e secolarizzato poneva alla vita della Chiesa.
Secondo il dettato della Costituzione Dogmatica Pastor Aeternus: “Ma poiché in questa età, in cui questa salutare efficacia dell’ufficio apostolico è più che mai necessaria, non mancano persone che ne contestano l’autorità, crediamo assolutamente necessario affermare solennemente la prerogativa, che ‘unigenito Figlio di Dio si è degnato congiungere col supremo ufficio pastorale.
Per questo noi, aderendo fedelmente alla tradizione accolta fin dall’inizio della fede cristiana, per la gloria di Dio, nostro salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del santo concilio, insegniamo e definiamo essere dogma divinamente rivelato: che il vescovo di Roma, quando parla ex Cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità apostolica, che una dottrina in materia di fede o di morale deve essere ammessa da tutta la Chiesa, gode, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa, quando definisce la dottrina riguardante la fede o la morale. Di conseguenza queste definizioni del vescovo di Roma sono irreformabili per se stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa”.
Nella seconda metà del secolo XIX il processo di formazione di una società decisamente anticattolica nella quale lo Stato, concepito secondo una connotazione totalitaria pretendeva di essere l’unica fonte di potere, di ordine e di razionalità, raggiungeva il suo punto più alto. Parte fondamentale di questo tentativo era la lotta alla Chiesa, vuoi come eliminazione fisica della sua presenza, vuoi come tentativo di inserirla nell’ambito della vita statale. Si tese, in varie forme, a creare “chiese nazionali” separate da Roma e quindi più deboli, più facilmente condizionabili dal potere dominante. La Chiesa capì allora che una più esplicita e solenne dottrina sulla funzione e le prerogative del Pontefice romano era condizione di verità della esperienza ecclesiale e di libertà nei confronti dei vari tentativi che venivano compiuti per assoggettarla al potere mondano. In questo contesto la Pastor aeternus, che, in perfetta coerenza con la tradizione, compie il passo di questa solenne esplicitazione, illumina non soltanto i tempi in cui venne pubblicata ma anche i decenni che dovevano venire.
Senza la presenza e la responsabilità unica del Papa, la Chiesa più difficilmente avrebbe potuto combattere, come in effetti combatté, la sua grande battaglia per la propria libertà e per la libertà dei popoli.
Pastor aeternus
Chi dunque affermerà che il beato Pietro Apostolo non fu costituito da Cristo Signore Principe di tutti gli Apostoli, e Capo visibile di tutta la Chiesa militante; oppure ch’egli ricevette dal medesimo Signore nostro Gesù Cristo direttamente e immediatamente un Primato solamente di onore, ma non una vera e propria giurisdizione: sia scomunicato.
(Concilio Vaticano I, Costituzione apostolica Pastor aeternus, cap. I).
Nessuno dubita, anzi è noto a tutte le generazioni, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ha ricevuto dal Signore nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, le chiavi del Regno; e che Pietro vive e presiede, e giudica, fino ad ora e per sempre, nei suoi successori, i vescovi della santa Romana Sede, fondata da lui stesso e consacrata col suo sangue”.
(Concilio Vaticano I, Costituzione apostolica Pastor aeternus, cap. II).