15.12.2024

/
Infanticidio: torna Erode?
31 Gennaio 2014

Infanticidio: torna Erode?

 

 

L’agghiacciante provocazione di due bioeticisti italiani per legalizzare la soppressione dei bambini appena nati e non desiderati


Lo si chiama «aborto post parto» per attenuarne gli effetti psicologici sull’opinione pubblica. Una tesi aberrante, non nuova. Ma ora si vuole far partire una massiccia campagna che renda culturalmente accettabile l’uccisione di un figlio appena nato

Vostro figlio appena nato presenta una leggera malformazione cardiaca, curabile, ma non avete voglia di occuparvene? Eliminatelo. La bambina che ha emesso i primi vagiti tra le braccia di vostra moglie rappresenta un problema, perché la banca non vi ha concesso il mutuo per una casa più grande? Sbarazzatevene. Pensavate, con la vostra compagna, di essere in grado di accudire un neonato, ma ora che è venuto al mondo siete presi dal panico e non avete nemmeno i soldi per una baby sitter? Toglietevi il pensiero togliendo di mezzo il figlio. Forse, nel giro di pochi anni, assisteremo a una campagna di Pubblicità Progresso imperniata su questi agghiaccianti argomenti. Terrificante, ma non impossibile. E non è fantascienza. L’infanticidio è dietro l’angolo e qualcuno, dopo i primi passi fatti in Olanda dieci anni fa, si sta muovendo dietro le quinte perché diventi una pratica di massa e, soprattutto, entri a far parte del senso comune come una cosa lecita. Anche se, con una certa “delicatezza” unita a una massiccia dose di ipocrisia, lo si chiama – sfacciata manipolazione linguistica! – aborto post-parto. Ancora una volta, Erode è tornato. Occorre una ampia e convinta mobilitazione delle coscienze per evitare una terribile “strage degli innocenti”.

Oltre il «Protocollo di Groningen»

«L’aborto è largamente accettato per ragioni che nulla hanno a che fare con la salute del feto. Al pari del feto, il neonato non ha lo status morale di una reale persona umana. Anche il fatto che feto e neonato indiscutibilmente siano da considerarsi potenzialmente persone umane è irrilevante dal punto di vista etico. Non sempre l’adozione è nel miglior interesse di una persona. Pertanto l’aborto dopo la nascita [cioè l’infanticidio, l’uccisione di un neonato] dovrebbe essere permesso in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, inclusi i casi in cui il neonato non è portatore di disabilità». Insomma: uccidere i bambini appena nati è eticamente lecito. Così il Journal of Medical Ethics (JME), nella sua versione online, ha presentato in sintesi l’allucinante tesi di due bioeticisti italiani, sotto l’incredibile titolo: «Aborto dopo la nascita, perché il bambino dovrebbe vivere?». I due studiosi in questione sono Alberto Giubilini, già dottore di ricerca in filosofia e ora all’Università di Milano, e Francesca Minerva, Post-Doctoral Fellow presso il Centre for Applied Philosophy and Public Ethics (CAPPE) all’Università Nazionale di Melbourne, in Australia. Nel testo dell’articolo i due sostengono che, indipendentemente dalle condizioni di salute del neonato, pur possedendo egli «il potenziale per avere una vita (almeno) accettabile», non deve essere messo a rischio «il benessere della famiglia». In altri termini, gli interessi delle persone coinvolte da una nascita sono preponderanti rispetto a quelli del bambino che, a parer loro, andrebbe ancora chiamato «feto» dopo il parto. E precisano: «Se i criteri come i costi (sociali, psicologici, economici) per i potenziali genitori sono buone ragioni per avere un aborto anche quando il feto è sano, se lo status morale del neonato è lo stesso di quello del bambino e se non ha alcun valore morale il fatto di essere una persona potenziale, le stesse ragioni che giustificano l’aborto dovrebbero anche giustificare l’uccisione della persona potenziale quando è allo stadio di un neonato ». Un discorso lucido e inesorabile, come si vede, che va ben oltre lo stesso spietato Protocollo di Groningen, in base al quale dal 2002 in Olanda è consentito porre fine attivamente alla vita dei neonati con prognosi infausta che, a giudizio dei medici e dei genitori, si trovano in condizioni di «sofferenza insopportabile».

Licenza di uccidere

All’apparenza un ragionamento che non fa una grinza. Se mi è permesso uccidere un bambino a tre mesi o a sei mesi di gravidanza, perché non posso eliminarlo a nove mesi o anche dopo la nascita? «La logica dell’articolo – commenta Gian Luigi Gigli, neurologo dell’Università di Udine – è stringente; il problema è che si tratta di una logica sbagliata». Infatti, una volta stabilito che «gli esseri umani possono essere classificati secondo criteri di tipo utilitaristico» e che è la società, o la convenienza individuale, a «riconoscere quali tra essi sono anche persone umane», chi stabilisce «quali sono le persone e quali le “non persone”»? I due studiosi italiani non fissano nemmeno più la data dell’“inizio” della persona: due settimane dopo la nascita? Di più? Essi si limitano a rimandare la questione a neurologi e psicologi.
Quella avanzata dai due bioeticisti è una teoria, ricorda Gigli, che «riporta alle idee del filosofo americano Tristan H. Engelhardt, che coniò la definizione di “straniero morale” per indicare gli esseri umani che non avrebbero titolo a essere considerati persone umane». E non a caso i due studiosi sono legati all’ambiente australiano: in Australia si sta diffondendo da qualche anno il pensiero di Peter Singer, noto per il suo appoggio all’eutanasia dei bambini. Scrive Singer nella sua Tesi della Sostituibilità: «Principio generale per l’eutanasia neonatale: quando un bambino malato, oltre a comportare sofferenze e stress per i genitori, comprometterebbe la loro possibilità di avere un altro bambino, e diminuirebbe le attenzioni dedicate ai fratelli già nati, è preferibile sopprimere il bambino malato in fase neonatale e sostituirlo con un nuovo progetto creativo». Singeriana è anche l’argomentazione di fondo illustrata dal JME: si legittima l’infanticidio perché i neonati, anche in assenza di una condizione patologica, non avrebbero alcun esplicito interesse a vivere e in questo loro limbo coscienziale non godrebbero nemmeno dello statuto di persona. Uccidere un neonato, insomma, non determinerebbe nessun danno.

La democrazia in pericolo

«In realtà – si legge in un indignato documento del Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore diretto da Adriano Pessina – fin dal suo primordiale sviluppo ognuno di noi manifesta un esplicito interesse alla vita, che potrà poi essere confermato o no con atti e parole se non verremo uccisi prima… L’essere persona umana si inscrive in questa condizione esistenziale, per cui ognuno si qualifica come “figlio” e non soltanto come puro insieme di organi interpretato dalle leggi della medicina e della biologia». Ancora il documento della Cattolica: «Negare questa lettura del venire al mondo e stravolgere così il senso della stessa generazione umana significa violare definitivamente la prospettiva etica, che non è mai puro bilanciamento di interessi, di costi e benefici ». Perciò «interroghiamoci su quale immagine di padre e di madre emerga» e infine inquieta «il fatto che proprio il concetto di persona, divenuto nella cultura occidentale la via breve per riconoscere dignità e diritti a tutti gli uomini, finisca per essere utilizzato per legittimare sul piano teorico la più evidente violazione dei diritti dell’uomo. Il tema diventa decisivo, dunque, anche dal punto di vista politico. Se non siamo in grado di tutelare chi non è capace di auto-tutelarsi, mettiamo fine all’idea stessa di democrazia così come l’abbiamo ricostruita dopo le violenze totalitarie».
«Le cose assurde hanno inizio sempre così», sostiene il professor Gigli, «si comincia con un articolo provocatorio lanciato in un ambiente accademico, apparentemente ben argomentato, e poi si arriva all’assurdo». Ma è un assurdo tragico: torneremo alle nefaste pratiche infanticide dell’antica Roma? Infatti il pericolo concreto è che «se tutto questo viene sostenuto da una spinta culturale e ideologica», conclude Gigli, «finisce prima o poi per essere approvato da una legge». Parole da non sottovalutare.

 

Ricorda

«(…) ci troviamo di fronte ad uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte”, ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi con l’inevitabile responsabilità di scegliere incondizionatamente a favore della vita».
(Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, n. 28).

 

IL TIMONE n. 112 – Anno XIV – Aprile 2012 – pag. 12 – 13
I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista