Ricordate il film Agorà sulla filosofa Ipazia assassinata nel IV secolo ad Alessandria? Gli dedicammo una puntata di questa rubrica, chiarendo che Ipazia fu linciata per motivi politici e niente affatto religiosi. Ci torno sopra perché il film in questione è uscito in DVD e i DVD, è noto, recano anche gli “extra”, in genere interviste al regista e agli attori e/o qualche ripresa sulle riprese (“making of”).
Nel DVD Agorà il maggiore di questi “extra” è il video del convegno tenuto in occasione dell’uscita in italiano del film, convegno cui hanno partecipato il regista Alejandro Amenábar, Umberto Eco, Vito Mancuso, Eva Cantarella, perfino Franco Tatò (non si capisce a che titolo) e altri. Perfettamente schierato, il convegno ha avuto quale unica voce cattolica il teologo Mancuso, docente all’università milanese San Raffaele (quella di don Verzè). È stato il solo a strappare l’applauso a scena aperta quando, nel commentare la scena del film in cui s. Cirillo di Alessandria appare quale mandante del linciaggio di Ipazia, ha citato una frase di Benedetto XVI, che definisce s. Cirillo «uomo di grande energia». Lunga pausa, sorriso beffardo del teologo e ovazione spontanea del pubblico L’intervento più benevolo è stato quello della romanista Cantarella, la quale ha ricordato che Ipazia era un’eccezione, in quanto il mondo pagano non aveva alcuna considerazione per le donne. Ma ha concluso dicendo che Alessandria finì prima in mani cristiane e poi musulmane, così che le donne rimasero del pari escluse ed emarginate. Con buona pace del cristianesimo, il quale ha una donna in cima alla classifica (Maria, madre nientemeno che di Dio!) e molte donne Dottori della Chiesa, oltre ad averne sugli altari una miriade ricoprenti la massima carica politica (regine). Il regista, dal canto suo, ha chiarito di non aver voluto fare un film anticristiano, tuttavia chi il film l’ha visto riporta ben altra impressione, dal momento che gli assassini di Ipazia recano grandi croci al collo e sono inturbantati di nero come talebani.
Il film, va detto, è molto ben fatto, talmente bene (potenza dei soldi: scenari faraonici e larghissimo impiego di mezzi) che anche un kattolico si sente emotivamente portato a parteggiare per la “libera scienza” contro i cattivissimi e fanatici cristiani. Non illudiamoci, è praticamente inutile produrre libri e saggistica che spieghino come sono andate veramente le cose: un kolossal si fronteggia con un altro kolossal, non con i pur benemeriti opuscoli-articoli-saggi-conferenze, né basta la Lux Vide con le sue fiction minimali sui santi. «Il cinema è l’arma più forte», diceva il Duce, che infatti creò Cinecittà e il Festival di Venezia. Per questo il beato Alberione aveva fondato un’intera congregazione religiosa, i paolini, che si consacrassero alla battaglia dei tempi moderni, quella dei media, e non per niente fu la SanPaoloFilm a produrre il primo film italiano a colori, Mater Dei (in una sequenza compare lo stesso Beato, che ne fu consulente in prima persona). Se vivesse oggi, don Bosco farebbe, e da par suo, il produttore cinematografico.
Ma torniamo al convegno su Ipazia, il cui clima unanime ho descritto. L’intervento più atteso era, ovviamente, quello di Umberto Eco, «l’intellettuale italiano più noto all’estero» (tant’è che il regista cileno si è detto onorato di sedere allo stesso tavolo di Eco, degli altri relatori non aveva mai sentito parlare). Ebbene, mentre tutti pendevano dal labbro del Maestro, questi ha deluso un po’ cotanta aspettativa perdendo tempo a beffeggiare indovinate chi? Proprio il vostro Kattolico preferito, Rino Cammilleri, «non quello di Montalbano ma il difensore dell’ortodossia» (cito). Perché? È una lunga storia, che comincia molti mesi fa, quando il film Agorà non era stato ancora doppiato in italiano. Ben sapendo che nessuno – dico nessuno – sapeva chi fosse Ipazia (su di lei abbiamo solo due – dico due – fonti storiche e nessuno se la filò mai fino ai tempi di, naturalmente, Voltaire), partì su Internet una raccolta di firme e un appello contro il Vaticano, la cui onnipotente censura avrebbe ostacolato (sic!) l’uscita del film nelle sale italiane. La cosa andò avanti parecchio e finalmente la stampa si mosse, qualcuno cominciò a parlarne e il film vide la luce anche da noi.
Ebbene, quando ancora il tam-tam internettiano muoveva i primi passi, un lettore mi scrisse chiedendomi chiarimenti. Io, che di Ipazia avevo solo una vaga reminiscenza, risposi di getto quel che ricordavo, cioè l’assassinio per motivi politici e non religiosi. Poi, dato il secolo, la buccia di banana: pensai che la fonte fosse il solito Eusebio di Cesarea, storico della Chiesa vissuto nel IV secolo. Già, ma Eusebio era morto trent’anni prima dei fatti, cosa di cui mi accorsi quando andai a verificare (mai fidarsi della memoria). Subito vergai una rettifica, scusandomi con i lettori per l’errore. Naturalmente, a fare il giro del web fu l’errore, non la rettifica, perché i laicisti non aspettavano altro. Eco, il quale conosce bene me e la mia opera (deve aver letto anche il mio Sherlock Holmes e il misterioso caso di Ippolito Nievo: cfr. il suo ultimo Il cimitero di Praga), ne parlò nella sua rubrica sul settimanale L’Espresso con tono canzonatorio. Il senso del discorso era il solito: eccoli, i kattolici, cercano di discolpare la Chiesa dai suoi misfatti falsificando le carte; beccàti, invece, con le dita nella marmellata. Poco credibili, non vale neanche la pena di discuterci. Così, l’errore non è più quello, privato, di Rino Cammilleri, ma di tutta l’apologetica in blocco.
Peccato che anche i Mostri Sacri scivolino sulle saponette (ma le loro sviste sono scusabili, mica come quelle degli apologeti, che sono per definizione enormi). Pur sapendo che il sottoscritto non è l’autore di Montalbano, Eco scrive il mio nome con una “emme” sola. Così, ho messo su Facebook la foto in cui io e il Maestro di Tutti Noi siamo ritratti insieme, pasciuti e sorridenti, con una mano sulla spalla. Nella didascalia facevo garbatamente presente che l’età non fa commettere sviste solo a me. Macché. Al convegno ecco ribadita l’ignoranza degli apologeti e, dunque, la Chiesa farebbe meglio a stare zitta.
Signori, il delitto è servito e la condanna senza appello è stata pronunciata: Ipazia, donna-scienziato, è stata linciata dai cristiani su istigazione di Cirillo, che la Chiesa, impunita, ha osato fare Santo e Dottore. L’intellighenzia che scrive su L’Espresso, La Repubblica, il Corriere della Sera e può contare su Hollywood ha parlato. E pure in dvd. Contro tale potenza di fuoco che possiamo noi, poveri untorelli? I nostri registi “cattolici” (quanti sono? uno? due? mezzo?) si guardano bene dal fare le pulci alla cultura laicista, le cui vittime si contano con molti zeri. Invece, la controparte va a pescare un episodio-pelo-nell’uovo e lo attualizza (nel film il bagno a Ipazia lo fanno gli schiavi maschi, a indicare che il paganesimo era sessualmente disinibito, cosa falsissima). Ma non c’era bisogno di andare a pescare un fatto del IV secolo, e pure controverso e scarsamente documentato. I cristiani dei primi secoli, per esempio, venivano spesso rimproverati da prelati come Basilio di Cesarea o da calibri come s. Agostino per i balli sfrenati cui si abbandonavano in occasione delle feste dei martiri; sì, andavano a fare picnic sulle loro tombe e non di rado finiva in gozzoviglie con ubriachezze moleste. E quei vescovi-conti che avevano le favorite? E, diciamola tutta: non erano cristiani battezzati i giacobini, i nazisti e i bolscevichi? Hitler e Goebbels non erano cattolici? Gli studi a Robespierre non li aveva pagati il vescovo di Arras? Stalin non aveva studiato in seminario?
Tutti i relatori del convegno su Ipazia sono cattolici, in quanto battezzati; anzi, alcuni ritengono di esserlo più e meglio di noi apologeti. Noi, dal canto nostro, possiamo vantare un solo regista che fa apologetica come si deve: Mel Gibson, alcolista, divorziato e spesso nei guai con la giustizia. Ma noi non siamo farisei e non ci scandalizziamo a ogni piè sospinto. Il nostro cattolicesimo è come quello descritto da Oscar Wilde, bisessuale praticante: «La Chiesa Cattolica è fatta di santi e peccatori. Per le brave persone basta quella Anglicana». O quella relativista.
IL TIMONE N. 101 – ANNO XIII – Marzo 2011 – pag. 20 – 21