Dall’intuizione profetica di Giovanni Paolo II, che nel 1981 volle l’adorazione eucaristica perpetua in Vaticano, alla nascita provvidenziale di una rete che conta oggi 60 cappelle e 15mila adoratori lungo la Penisola. Con i laici protagonisti
Tutto cominciò con quel profeta del Novecento che è stato san Giovanni Paolo II. Avviò l’adorazione perpetua nella Basilica vaticana il 2 dicembre 1981.
Qualche mese prima era stato ferito in piazza San Pietro da Alì Agca, come ricorda Federica Rosy Romersa nel libro che raccoglie le testimonianze del Coordinamento Nazionale Adoratori.
Gettato quel seme, Wojtyla scopre le carte durante il Congresso eucaristico del ’93 a Siviglia e auspica che «in tutte le parrocchie si instauri abitualmente una forma di adorazione all’Eucarestia ». Nel 2000, in pieno Giubileo, un sacerdote di rientro da una missione di 5 anni in Kenya, don Alberto Pacini, incontra in aeroporto un americano, missionario laico dell’Eucarestia.
«Father, would you like to have perpetual adoration?» (Padre, vuole avere l’adorazione perpetua?). Una domanda a bruciapelo, insolita, perfino inopportuna visto il luogo. Ma nessun luogo è inappropriato se passa il Signore. E questi scelse un incontro fortuito nel lungo terminal di Fiumicino per dare vita ad un’esperienza di fede e conversione in continua crescita che in 15 anni ha portato a oltre 60 il numero delle cappelle dell’adorazione perpetua nelle parrocchie italiane e a oltre 15mila il numero degli adoratori che vi si alternano. Quella domanda comportava due sole risposte: o sì o no. Pochi mesi dopo, nominato rettore della Basilica di Sant’Anastasia, il 2 marzo 2001 il missionario apre la prima cappella per l’adorazione eucaristica perpetua in territorio italiano e non legata a ordini religiosi. «Le prime volte la gente veniva in chiesa con la coperta, c’era un’umidità pazzesca», ricorda don Pacini.
Un’udienza privata con il Signore
La notte è il momento privilegiato dell’incontro con il Signore. «Spesso si è soli, è come andare in udienza privata da lui», spiega don Roberto Pedrini, parroco a Lagaro, arcidiocesi di Bologna, sul crinale appenninico. Lui la cappella di adorazione perpetua l’ha inaugurata il 3 aprile 2005, nella domenica della Divina misericordia, a meno di 24 ore dalla morte di Giovanni Paolo II in un passaggio di testimone significativo. «Avevo conosciuto l’esperienza di alcune realtà americane (gli States sono i pionieri dell’Adorazione eucaristica perpetua nei tempi moderni. La prima cappella venne inaugurata nel Nebraska nel 1959. All’inizio del 2000 le cappelle erano 1.500, ma il dato non è aggiornato ndr) e di don Pacini a Roma, ma anche di comunità nel Veneto. La mia parrocchia però aveva appena 1.080 anime. Come avrei fatto a trovare oltre 200 adoratori?». La domanda di don Pedrini ebbe una risposta sorprendente: «Il primo miracolo è stato quello di abbattere i muri – spiega al Timone l’attuale coordinatore nazionale del movimento che raggruppa le esperienze italiane da Feltre a Ragusa e che è stato recentemente riconosciuto dalla Federazione Mondiale delle opere eucaristiche della Chiesa –. Nel 2004 l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra aveva chiesto in ogni vicariato un centro di preghiera eucaristica.
Colsi la palla al balzo, ma mi dovetti scontrare con l’indifferenza da un lato o la scarsa conoscenza dall’altro da parte dei miei confratelli, anche perché per molti parroci era impensabile l’idea di lasciare aperta la chiesa di notte». Don Pedrini non si dà per vinto e in pochi mesi nel suo vicariato di Montagna riesce ad avere l’ok di dieci parrocchie.
Il motore è Dio, ma la benzina sono i laici perché questa è un’esperienza dove il laicato cattolico è protagonista, destinatario e responsabile. Gli adoratori prendono a modello gli angeli delle schiere celesti che cantano la gloria di Dio in eterno. Così per adorare in maniera perpetua in una parrocchia e prendersi la responsabilità di un’ora alla settimana da santificare, bisogna anzitutto calcolare il numero necessario delle forze di questo “piccolo esercito”: delle 168 ore settimanali, escluse una decina per le Messe parrocchiali, bisogna cercare di raddoppiare il numero per consentire che ogni ora abbia almeno due adoratori, in modo che, in caso di assenza dell’uno o dell’altro, l’ora non resti scoperta e si debba fare ricorso a un sostituto.
Dalla Sicilia agli Appennini
Sul sito www.adorazioneeucaristicaperpetua.it si possono trovare tutte le informazioni tecniche necessarie. Spesso vista come la fascia più difficile da organizzare e da coprire (il timore di addormentarsi è un rischio concreto e fisiologico, ma affrontabile), la notte invece rappresenta un momento di sorprendente bellezza eucaristica e di legame con la realtà: «Alcune madri hanno pensato di coprire le ore del sabato notte per lottare contro quelle tenebre del male che attanagliano i loro figli», prosegue don Pedrini. Ravenna, Battipaglia, La Spezia, passando per Senigallia e fino a Comiso in Sicilia. «Ci manca solo la Sardegna – fa notare don Pedrini – serve una missione ». Già, l’aspetto missionario è decisivo. L’adorazione oggi ha anche una valenza dottrinale. «L’adorazione mette in risalto il senso di una fede autentica – aggiunge il coordinatore nazionale – oggi è andato in crisi il senso di una presenza reale di Non solo laici. Se l’adorazione eucaristica è arrivata fino a noi come culto privilegiato è anche grazie ai tanti ordini monastici e religiosi, soprattutto femminili, che nei secoli hanno alimentato questa forma di carità perfetta.
Prima ad esclusivo appannaggio delle suore di clausura, oggi gli ordini contemplativi che hanno come carisma e come vocazione quella del culto eucaristico sono tanti e sparsi lungo lo stivale, secondo una regola non necessariamente di clausura. Ci sono ad esempio le Monache benedettine del Santissimo Sacramento che hanno il loro cuore a Grandate (Como). Nate dopo il Concilio di Trento con l’esigenza di confutare le tesi protestanti e calviniste su intuizione di madre Mectilde de Bar, nella loro regola fanno coincidere l’«adorare » e l’«aderire», ossia: «Adorare è aderire a Dio, ai suoi disegni su di noi, alla sua volontà.
Nel momento in cui cessiamo di essere fedeli a ciò che ci è richiesto da Dio attraverso la realtà e le circostanze, cessiamo di adorare». Dal carisma di don Orione sono nate nel ‘900 le Suore Sacramentine non vedenti, che nell’adorazione offrono la loro privazione della vista per i fratelli privi di fede, perché possano scorgere il passaggio di Dio nella loro vita quotidiana. Di recente costituzione è la comunità monastica dedita all’adorazione eucaristica del Monastero di San Lazzaro e Santa Maria Maddalena a Pietrarubbia (Pesaro-Urbino), mentre le Adoratrici perpetue del Santissimo Sacramento (fondate dall’italiana Beata Maria Maddalena dell’Incarnazione, www.adoratriciperpetue.org) hanno diverse sedi in Italia, Spagna, Austria e Africa. Dal carisma concesso da Dio alla Venerata Madre Maria Francesca Foresti sono nate invece le Suore francescane adoratrici, mentre la Congregazione delle suore Adoratrici Ancelle del SS. Sacramento e della Carità, fondate in Spagna nel marzo del 1856, sono presenti in molte parti del mondo dall’Argentina alle Filippine, passando per l’Italia. (a.z.)
Accanto al Santissimo, giorno e notte
Cristo, soprattutto nella Messa. Ecco perché l’adorazione eucaristica è un ottimo modo per controbattere con la testimonianza viva dei fedeli le tesi protestanti».
A San Martino in Rio, diocesi di Reggio Emilia, l’adorazione è nata dal desiderio di alcuni laici che avevano conosciuto esperienze simili dopo frequenti pellegrinaggi a Medjugorje. I sacerdoti dell’Unità pastorale, tra cui il giovane curato don Pietro Rabitti, oggi parroco a Roma, capirono al volo e si misero a disposizione per “formare” i fedeli. Chiamarono i missionari della Santissima eucarestia, veri e propri “risolvi problemi” sparsi nel mondo, che vivono la speciale vocazione dell’evangelizzazione eucaristica. Uno di questi, padre Justo lo Feudo, arriva spesso in Italia per supportare le comunità che intendono partire. Oggi nel piccolo centro emiliano l’adorazione perpetua è diventata un segno tangibile anche di fronte alla città: la parrocchia ha restaurato con risorse proprie e il generoso contributo dei fedeli una vecchia abitazione che rischiava di crollare. È
nata così la cappella Sacramentum Caritatis: un centro staccato dalla chiesa che permette oltre che una maggiore sicurezza anche una più elevata identificabilità e visibilità in centro. â–
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