Profondamente legato alla tradizione e alla metafisica, questo grande pensatore del XX secolo si è impegnato a far dialogare la fede con la filosofia contemporanea. Molti suoi lavori sono dedicati alle virtù. Purtroppo è ancora poco conosciuto in Italia.
Nato nel 1904 e scomparso nel 1997, il tedesco Josef Pieper è stato uno dei maggiori pensatori cattolici del XX secolo, anche se, specialmente in Italia, la sua notorietà non è molto vasta, cosa che sconcerta un po’, quando si pensi che delle sue numerose opere sono state stampate oltre un milione di copie. Pieper si presenta come un filosofo convintamente credente e profondamente legato alla tradizione e, nel medesimo tempo, impegnato a far incontrare la verità della fede con lo spirito dell’epoca contemporanea, al fine di indicare una possibile via di uscita dalla crisi in cui ha finito per arenarsi il pensiero moderno.
Uno dei concetti centrali della filosofia pieperiana è quello di tradizione, in cui il filosofo tedesco ravvisa un valore indiscutibile, «quell’originaria dote di verità sull’uomo stesso e sul mondo, quell’eredità di cui l’uomo, non solo quello dedito alla conoscenza, ma anche quello dedito all’azione, si nutre e di cui, in fondo, vive». Certo, la tradizione a cui fa riferimento Pieper non è costituita da qualunque contenuto e non tutto è ugualmente degno e meritevole di essere conservato e tramandato. La tradizione mondana, con i suoi principi, istituzioni, costumi ecc. non va sottovalutata e ricopre un ruolo assai importante ai fini di una convivenza umana ordinata; tuttavia, in certi casi, una deviazione da essa, o una sua diversa interpretazione, sono legittime e addirittura auspicabili. Differente è il caso della tradizione sacra, la quale, in ultima analisi, trova la propria decisiva giustificazione nel suo ricollegarsi al divino: infatti, a giudizio di Pieper, soltanto l’autorità divina conferisce alla tradizione un carattere vincolante. Dimenticare la tradizione costituisce, agli occhi del pensatore tedesco, qualcosa di più di una forma di trascuratezza e diventa un vero e proprio peccato che mette a rischio l’identità stessa dell’uomo e della sua storia.
Dinanzi a coloro che, come Martin Heidegger (1889-1976) e Karl Jaspers (1883-1969), negano la compatibilità dell’esercizio della filosofia con l’accettazione della fede religiosa, Pieper mostra che fin dall’antichità il filosofare è stato considerato in stretta correlazione con la dimensione teologica: anche i grandi maestri del pensiero classico, quali Platone e Aristotele, hanno ritenuto che la vera sapienza avesse caratteristiche divine.
Un ruolo particolare e di fondamentale rilevanza all’interno del percorso speculativo pieperiano è occupato dalla dottrina delle virtù, che è strettamente collegata con la concezione antropologica. Secondo Pieper, la virtù è un modo di essere, piuttosto che un comportamento o una serie di comportamenti isolati. Al primo posto tra le virtù cardinali, egli colloca la saggezza, che viene privata di ogni dimensione utilitaristica: non si tratta di una forma di accortezza o di circospezione, come noi siamo soliti intenderla nel nostro linguaggio, ma della prudentia di cui parla Tommaso d’Aquino (il quale si ispira alla phronesis di Aristotele), cioè la capacità di individuare in una situazione concreta le azioni giuste, coraggiose e temperanti che realizzano in una situazione specifica il proposito di essere virtuosi. Pieper fa poi coincidere la giustizia, suprema forma di bontà, con la virtù di chi sa dare a ciascuno il suo, laddove per «suo» si deve intendere ciò che a ogni persona proviene direttamente dal Creatore, che ha dotato i singoli esseri umani di diritti inalienabili.
Il coraggio si identifica, secondo Pieper, con la disponibilità «ad accettare delle offese in nome della realizzazione del bene»: ciò non significa, tuttavia, ricercare il pericolo o il martirio a tutti i costi, bensì, con sapienza e fortezza, una via per il raggiungimento del bene. La temperanza, infine, è orientata all’ordine interiore dell’uomo e si presenta come la più personale delle virtù cardinali, le quali – afferma con decisione Pieper – devono radicarsi in quelle teologali, ovvero nella fede, nella speranza e nella carità: soltanto in tal modo l’etica cristiana, tutta imbevuta di soprannaturale e indirizzata verso di esso, si distingue dall’etica naturale. Tale distinzione risalta in maniera assolutamente speciale riguardo al coraggio, che per un cristiano si fonda sulla speranza dell’aldilà e non rimane ancorato a una dimensione puramente terrena.
Inoltre, è opportuno ricordare l’originale e fecondo ripensamento della filosofia di San Tommaso operato da Pieper: dal sommo Maestro domenicano, il pensatore tedesco mutua alcuni capisaldi speculativi, tra cui spicca la convergenza tra essere e bene garantita dall’azione creatrice di Dio, vero fondamento metafisico dell’antropologia e della morale pieperiane.
A proposito di Josef Pieper ha affermato Thomas Eliot: «Considerata nel suo complesso, la sua influenza dovrebbe operare nel senso di una ricollocazione della filosofia nel rango di una delle cose più importanti per ogni uomo colto e capace di pensare invece di raggrinzirsi nell’ambito di una specie di scienza per iniziati, che influisce sulla vita della comunità solo in modo riflesso e mediato, per così dire subdolamente e in forme deviate. Egli restituisce giustamente alla filosofia ciò che l’intelligenza naturale desidera saldamente cogliere: la scienza e la saggezza».
Ricorda
«È Dio che nell’atto della creazione, anticipando ogni possibile amore umano, ha detto: Io voglio che tu ci sia; è cosa buona, “molto buona” (Gn 1,31), che tu esista. A tutto ciò che in seguito gli uomini potevano amare, dandogli l’assenso, egli ha infuso, insieme con l’esistenza anche l’essere-buono, l’essere cioè degno d’amore e di assenso. Pertanto, l’amore umano è da sempre, secondo la sua natura e inevitabilmente, riproduzione ed una specie di ripetizione di questo amore di Dio. […] altrimenti come si spiegherebbe che il primissimo sentimento d’amore contenga un elemento di gratitudine? […]. Ma, se qualcosa non ci inganna, anche nell’amore umano avviene ben più di una semplice ripetizione e iterazione; avviene al tempo stesso una prosecuzione e, in un certo senso, persino un compimento di ciò che ha avuto inizio con la creazione».
(Josef Pieper, Sull’amore, Morcelliana, 1974).
Bibliografia
Josef Pieper, Per la filosofia, con prefazione di Antonio Livi, Ares, 1976.
Josef Pieper, Sull’amore, Morcelliana, 1974.
Josef Pieper, La luce delle virtù, San Paolo, 1999.
Caterina Dominici, La filosofia di Josef Pieper in relazione alle correnti filosofiche e culturali contemporanee, Patron, 1980.
IL TIMONE – N.49 – ANNO VIII – Gennaio 2006 – pag. 30-31