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15.12.2024

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Kerry, una sfida all’esperienza cattolica
31 Gennaio 2014

Kerry, una sfida all’esperienza cattolica

 

 

 

 

E’ a favore dell’aborto, delle unioni gay e della ricerca sugli embrioni. E pretende di ridefinire la dottrina sociale. Ecco perché il candidato democratico alla Casa Bianca è una minaccia per la Chiesa.

 

Come cattolico ho enorme rispetto per le parole e gli insegnamenti del Vaticano. Ma come pubblico funzionario non ho mai dimenticato la sempre attuale lezione del presidente Kennedy, il quale chiarì che in nome della separazione tra Chiesa e Stato nessun funzionario eletto deve essere limitato o condizionato da qualsiasi giuramento, obbligazione o rituale religioso”. Questo è il pensiero di John F. Kerry, sfidante di George Bush per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti che si svolgeranno in novembre. Lo ha espresso già nel gennaio scorso, quando da vari ambienti si criticava la “coerenza” di certi leader politici cattolici, favorevoli alla legalizzazione dell’aborto e al riconoscimento delle unioni omosessuali. La questione è diventata centrale nella campagna per la Casa Bianca, anche perché Bush – che appartiene ad una confessione che si definisce “Chiesa battista” – si è guadagnato il voto di tanti cattolici grazie alle sue battaglie a difesa della famiglia e della vita; e ora si trova di fronte uno sfidante che si presenta ufficialmente come “cattolico”, ma che sugli stessi temi è in posizione opposta rispetto al magistero della Chiesa. Curiosamente in Italia Kerry – divorziato e risposato civilmente – è stato definito da qualche giornale “un cattolico senza ostentazione”, espressione che vorrebbe avere una valenza positiva secondo una certa concezione di laicità. Ovvero la riduzione della fede a fatto privato, senza alcun riflesso sulla vita sociale, politica ed economica. A questa pretesa la Santa Sede ha detto chiaramente “no”, riaffermando il valore dell’unità della persona. L’occasione è stata fornita alla fine di aprile dalla conferenza stampa di presentazione della nuova istruzione “Redemptionis Sacramentum”, che fa chiarezza sulle condizioni per la celebrazione e la ricezione dell’Eucarestia. Rispondendo ad una apposita domanda, il cardinale Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e i Sacramenti, ha chiaramente dato ragione a quei vescovi americani che hanno chiesto di non dare l’Eucarestia a Kerry e a tutti i politici che come lui sostengono posizioni apertamente in contrasto con quelle della Chiesa: non solo l’aborto, ma anche l’eutanasia, il riconoscimento delle unioni fra omosessuali, l’uso degli embrioni per la ricerca. I politici che sostengono pubblicamente queste posizioni, ha detto Arinze, non devono fare la comunione e comunque i sacerdoti devono negare loro questo sacramento. In questo caso infatti non c’è solo la questione della pratica personale, ma soprattutto quella della responsabilità insita nel compito di un legislatore: sia come esempio per gli altri cittadini, sia per le conseguenze pratiche delle sue azioni od omissioni. Un leader politico che sostiene l’aborto, non solo spinge molte persone a considerare morale questa pratica; nell’approvare leggi che legalizzano l’aborto e nel finanziare gruppi e Paesi che lo diffondono nel mondo, diventa corresponsabile dei 50 milioni di vite non nate che si contano ogni anno. L’intervento così chiaro e deciso da parte della Santa Sede sulla questione della partecipazione all’Eucarestia indica inoltre che su questo punto la posta in gioco è altissima, che va oltre l’aborto, ed è proprio il cuore dell’esperienza cristiana. L’effetto della posizione di Kerry, infatti, non è la separazione tra Chiesa e Stato – come lui pretende -, piuttosto è la separazione tra fede e vita, in pratica la negazione dell’Incarnazione e della Resurrezione.
Oltretutto è ormai evidente che la candidatura di Kerry si presti a una più grande operazione di attacco al cuore della Chiesa cattolica, contando anche sul fatto che la sua è una posizione tutt’altro che isolata: secondo il Los Angeles Times sono ben 412 i funzionari americani eletti (nei singoli Stati o al Congresso) che si presentano come cattolici pur agendo in opposizione a ciò che la Chiesa insegna. E se guardiamo alla nostra Europa possiamo ben vedere che le cose non vanno meglio, sia per i candidati sia per gli elettori.
Tornando a Kerry, si deve notare che la sua posizione “anti-vita” è stata ben “ostentata” fin dall’inizio: sia prestando visita, proprio all’alba della sua candidatura, alla sede della Planned Parenthood of America, l’organizzazione abortista più potente e radicale; sia inserendo la credenziale “pro-choice” (“per la libera scelta”, come si definiscono i gruppi abortisti) fin dal primo spot elettorale; sia recandosi appositamente in Parlamento per votare contro le leggi che intendono proteggere gli embrioni. Non è un caso che a metà aprile la Planned Parenthood sia scesa ufficialmente in campo – per la prima volta nella sua secolare storia – per sostenere un candidato alla Casa Bianca, ovviamente John Kerry. Allo stesso modo lo sfidante di Bush ha “ostentato”, davanti ai fotografi accorsi per l’occasione, la comunione ricevuta il giorno di Pasqua nella cappella del Paulist Center di Boston, un istituto “teologico” noto per la diffusione di tesi “progressiste”. Per capire la portata di questo gesto dobbiamo notare che a sostegno della rilettura della “presenza cattolica in politica” operata da Kerry si sono schierati con decisione i Catholics For a Free Choice (CFFC, Cattolici per la libera scelta), un movimento che ha lo scopo esplicito di dimostrare che la legittimità dell’aborto è in continuità con la tradizione cattolica, e lo scopo non dichiarato di ridurre al silenzio la stessa Chiesa. Non a caso sono i CFFC ad aver lanciato tre anni fa la campagna per togliere alla Santa Sede lo status di Osservatore permanente presso le Nazioni Unite. E i CFFC, pur sconfessati dalla Chiesa, sono sostenuti finanziariamente da una cinquantina di importanti fondazioni (prima fra tutte la Fondazione Ford) note per il loro attivismo anti-cattolico e anti-vita.
In questa prospettiva l’obiettivo di chi sostiene Kerry è di dimostrare che la gerarchia cattolica – definita come abbarbicata ai suoi vecchi e ammuffiti principi e alle manovre di potere – ha perso ogni contatto con il suo popolo, e fa appello agli ultimi indecisi perché isolino definitivamente i loro pastori. Ciò dovrebbe servire nell’immediato a trasferire i voti cattolici da Bush verso Kerry, cosa che potrebbe risultare decisiva per la corsa alla Casa Bianca, ma in una prospettiva più ampia l’obiettivo diventa la Chiesa cattolica, ovvero la possibilità che l’annuncio di Cristo continui a vivere nella sua integralità.

 

 

 

RICORDA

 

“Si assiste invece a tentativi legislativi che, incuranti delle conseguenze che derivano per l’esistenza e l’avvenire dei popoli nella formazione della cultura e dei comportamenti sociali, intendono frantumare l’intangibilità della vita umana. I cattolici, in questo frangente, hanno il diritto e il dovere di intervenire per richiamare al senso più profondo della vita e alla responsabilità che tutti possiedono dinanzi ad essa. Giovanni Paolo Il, continuando il costante insegnamento della Chiesa, ha più volte ribadito che quanti sono impegnati direttamente nelle rappresentanze legislative hanno il «preciso obbligo di opporsi» ad ogni legge che risulti un attentato alla vita umana. Per essi, come per ogni cattolico, vige l’impossibilità di partecipare a campagne di opinione in favore di simili leggi né ad alcuno è consentito dare ad esse il suo appoggio con il proprio voto”.
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 11-4).

 

 

 

IL TIMONE – N. 34 – ANNO VI – Giugno 2004 – pag. 8 – 9
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