I significati spirituali di ogni parola della Sacra Scrittura sono fondati sul senso storico, che ne resta la base. In primo luogo nel caso dei Vangeli e degli Atti.
L’esegesi (interpretazione) scritturale cristiana si orientò già dai primi secoli in due tendenze: quella storico-letteralista, rappresentata dalla scuola di Antiochia, e quella allegorista, tipica della tradizione alessandrina, che riprendeva uno strumento esegetico già usato per il mito pagano soprattutto nello Stoicismo e poi nel Medio- e Neo-platonismo, e applicato per la prima volta all’interpretazione della Bibbia da Filone, in ambito giudaico-alessandrino.
Il più eminente rappresentante della scuola di Antiochia fu san Giovanni Crisostomo che, nell’omiletica e nei commentarî alla Scrittura, si occupò prevalentemente di esegesi. Proprio alle polemiche della scuola antiochena contro l’allegoria risale, secondo Edwards, la distinzione fra allegoria e tipologia (interpretazione di figure e fatti dell’Antico Testamento come prefigurazioni di quelli del Nuovo Testamento) nell’esegesi cristiana.
Giovanni fu discepolo di Diodoro di Tarso († 394) insieme con Teodoro di Mopsuestia: entrambi attinsero i principì storicistici dell’esegesi da Diodoro, che commentò la Bibbia e scrisse contro il Porfirio dell’Adversus Christianos. Nel trattato La differenza tra theoría [= il metodo esegetico antiocheno] ed allegoria e nella prefazione del Commento ai Salmi, Diodoro attribuisce importanza al senso letterale e morale delle Scritture e ascrive l’allegoria ai soli pagani, per screditarla: l’allegoresi pagana non considerava storici i miti interpretati, ma «allegorie di verità eterne», come dice il neoplatonico Salustio. Questo preoccupava Diodoro: che l’eccessivo allegorismo vanificasse la storicità delle Scritture. L’esegesi cristiana invece, anche se tipologica, come in Gal 4, 24, non nega la storicità del livello letterale, il che per la Bibbia sarebbe inaccettabile. È vero che un allegorista cristiano come Origene, della scuola alessandrina, insiste sull’importanza del piano letterale accanto a quello morale e allegorico, ma gli esegeti antiocheni temevano la perdita di storicità delle Scritture.
I più eminenti rappresentanti dell’esegesi alessandrina, Clemente e Origene, sulla scorta di Filone e dell’allegoria classica, interpretavano la Bibbia conferendo valore più al senso allegorico che a quello letterale. Per Origene talvolta la Scrittura non ha nemmeno un senso letterale, in quanto presenta impossibilità logiche o fattuali (áloga, adynata), e in tal caso l’unico senso possibile è quello simbolico. Il metodo esegetico antiocheno, invece, non prescinde mai dalla lettera, anche se talora non ricusa di indagare sensi più profondi. L’opposizione tra le due scuole non va comunque esasperata, e va considerata anche sul piano delle origini: il metodo antiocheno si sviluppò dagli studi letterari e storici, quello alessandrino dalla filosofia.
La linea di Diodoro fu seguita da Teodoro († 428), che compose un trattato Adversus allegorizantes da poco recuperato. Anch’egli attribuisce l’allegoria all’esegesi pagana dei miti, destituiti di basi storiche, limitando quella cristiana ai pochi passi in cui si presenta, con relativa spiegazione, nella Bibbia stessa: è un principio fondamentale della teoria esegetica del suo condiscepolo Giovanni, che lo connette all’istanza di «interpretare la Bibbia con la Bibbia».
Anche Giovanni, in effetti, nella sua produzione – oggi meglio nota grazie agli studi dedicativi negli ultimi decenni – di commento sistematico di interi libri biblici o loro vaste porzioni, si concentra sul senso storico, concedendo spazio limitato alle interpretazioni tipologiche.
Nelle lettere paoline insiste sul senso letterale e morale; mentre il Vangelo giovanneo è liquidato in breve, la piccola lettera a Filemone è analizzata a lungo, in tre omelie, con meditazioni sul tema della schiavitù (gli spunti di riflessione etica nelle sue omelie sono numerosi: ad es. le virtù, il distacco dai beni terreni, la carità per i poveri, lo studio delle Scritture, il controllo delle passioni).
Il principio ermeneutico di «interpretare la Bibbia con la Bibbia», che Giovanni usa in chiave anti-allegorica, è paradossalmente lo stesso propugnato da Origene quando considera la Bibbia un tutto unico e ogni punto interpretabile alla luce dei paralleli biblici, poiché la Scrittura è totalmente interconnessa. Entrambi ricordavano infatti il criterio filologico alessandrino di interpretare Omero con Omero quando fissavano il canone dell’immanenza nella Scrittura del proprio principio ermeneutico, ossia l’idea che debba essere la Bibbia stessa a fornire, di volta in volta, la chiave con cui interpretarla, “dall’interno”. Tuttavia, in Giovanni tale canone ha prospettiva ed esiti diversi rispetto ad Origene, contro il soggettivismo interpretativo.
L’esegesi allegorica non è esclusa, ma il suo uso è regolato dalla Scrittura, ove essa suggerisce l’allegoria: ad es., Ez 17, 2-10 espone la parabola dell’aquila e del cedro, e poi ne spiega il senso simbolico. Qui l’allegoria non è lasciata all’arbitrio del lettore: la Bibbia «si è interpretata da sola». Infatti, «quando essa si esprime allegoricamente espone anche l’interpretazione dell’allegoria, per evitare che il desiderio smodato di quanti amano l’esegesi allegorica si estenda ovunque». I passi suscettibili di esegesi allegorica risultano assai ridotti.
Il pericolo avvertito dagli Antiocheni, dunque, non era tanto costituito dall’allegoresi in sé, quanto dal suo essere esposta al rischio dell’arbitrio interpretativo e della vanificazione della storicità delle Scritture. E questo, sia per l’Antico sia per il Nuovo Testamento, è un rischio da cui l’esegesi cristiana doveva, e deve, guardarsi. Particolarmente importante è, infatti, mantenere fermo il valore storico della Bibbia, al di sotto e prima dei sublimi significati spirituali che in ogni parola essa reca, con infinita ineffabile ricchezza. Questi significati sono anzi fondati sul senso storico, che ne resta la base, in primo luogo nel caso dei Vangeli e degli Atti: non sono miti che, come quelli interpretati dai Neoplatonici, narrino di fatti mai avvenuti, adombrando simbolicamente verità eterne; sono invece documenti scritti da fedeli che espongono eventi verificatisi storicamente, dall’Incarnazione ai miracoli alla Resurrezione, anche se il loro significato e i loro effetti, data la trascendenza stessa di Dio, trascendono la storia.
Non è un caso che nei Vangeli si insista tanto sul valore della testimonianza. Per i Cristiani, infatti, la Verità eterna, il divino Logos, si è fatta carne ed è discesa nella storia, per la salvezza del mondo.
BIBLIOGRAFIA
Manlio Simonetti, Lettera e/o allegoria. Un contributo alla storia dell’esegesi patristica, Augustinianum, 1985.
Ilaria Ramelli, Allegoria, I, L’età classica, in collaborazione con Giulio Lucchetta, Vita e Pensiero, 2004.
Idem, Giovanni Crisostomo e l’esegesi scritturale: le scuole di Alessandria e di Antiochia e le polemiche con gli allegoristi pagani, in Giovanni Crisostomo: Oriente e Occidente tra IV e V secolo. Atti del XXXIII Incontro di Studiosi dell’Antichità Cristiana, Augustinianum 2005, pp. 121-162.
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 50 – 51