Il Vangelo non invita a “star con le mani in mano”, perché “tanto ci pensa Dio”. Piuttosto, nel nostro agire, ci chiede di rispettare l’ordine delle cose: prima viene Dio, che è Padre e come tale si comporterà. Poi, tutto il resto
C’è un aspetto nella visione del mondo che oggi va per la maggiore che penso debba farci pensare, perché dà una buona mano a rendere traballante la nostra fede quando non addirittura a rischiare di scardinarla. È un corollario, se così possiamo dire, di un atteggiamento più generale. Quello secondo il quale l’uomo moderno, conscio delle possibilità della ragione e di quella scienza a cui ha dato origine e sviluppo, ha tutte le possibilità e le risorse per cavarsela benissimo anche senza Dio. Il quale per questo viene messo in un canto, relegato come una sorta di anticaglia, tra i ricordi del passato.
Chi ha avuto modo di rendersi conto non solo della fragilità intellettuale, ma anche della pericolosità di tale ideologia razionalista, non può non sentirsi profondamente addolorato per la prova di forza che questi novelli Prometei hanno ingaggiato con il Cielo. Ma, al contempo può non essere pienamente cosciente del coinvolgimento che questo modo di pensare, portato alle sue estreme conseguenze, finisce per avere anche su di sé.
Un corollario dunque, dicevamo, della mentalità razionalista, quello di cui intendiamo parlare qui. Infatti, la convinzione che sta alla base della mentalità attuale – secondo cui all’uomo praticamente tutto o quasi è possibile – ha tra le sue più importanti conseguenze il tentativo, applicato ad ogni campo della vita, di programmare fin nel dettaglio l’esistenza. Questo, nell’intendimento di riuscire a prevedere al massimo grado tutti gli eventi, soprattutto quelli negativi e quindi di cercare in ogni modo di garantirsi contro di essi. Un esempio di questa mentalità sono, tra gli altri, i pressoché infiniti tipi di assicurazioni che coprono praticamente ogni tipo di rischio, cosicché le compagnie assicurative sono oggi tra le multinazionali più potenti e opulente. Ma si potrebbero citare anche gli sforzi compiuti in molti altri campi del vivere per tutto calcolare e controllare: dalla formazione della vita, compreso il sesso o le caratteristiche dei nascituri; fino – che so? – ai contratti prematrimoniali tesi a prevedere, ancora prima di celebrare una unione, le condizioni da mettere in atto quando già si prevede che fallirà.
Lo so che per molti non vi è nulla di male in tutto ciò. Non è forse buona cosa il cercare di organizzare al meglio la vita, attutendone in qualche modo i contraccolpi più gravi? È difficile non essere d’accordo. Ma con un limite, che per un credente consiste, all’interno di questo sforzo di tutto prevedere e programmare – di tutto ingabbiare, verrebbe qualche volta di dire – di non smarrire un altro aspetto non meno importante della propria esistenza. E cioè che, al di là di ogni pur giusto sforzo umano per cercare di migliorare i propri giorni terreni, esiste un fattore che sfugge ad ogni calcolo e che pure si rivela decisivo. Esiste quel “qualcosa” nel quale stentiamo spesso a credere ma che, se appena abbiamo occhi per vedere e cuore per sentire, porterà anche noi ad esclamare stupiti, per dirla con il Manzoni: «La c’è la Provvidenza!».
Del resto, le parole di Gesù sono chiarissime e inequivocabili: «Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi per quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, per quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure vi dico che neanche Salomone con tutta la sua gloria vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai di più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? che cosa berremo? che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,25-34).
Ecco, dunque, la vera mentalità evangelica, che non è un invito a non fare nulla, perché tanto Dio provvederà al posto nostro. È invece un sospingerci a capire qual è l’ordine vero delle cose: cercare anzitutto Lui, che è il creatore, ma è anche il Padre e che come tale si comporterà. È un sollecitarci ad accumulare tesori nel cielo, cioè a vivere fondamentalmente di ciò che anche in cielo resterà, cioè di quell’amore che è la vera energia vitale che muove ogni cosa lassù e quaggiù. E poi, il resto, tutto il resto, anche ciò che è materiale, seguirà come una conseguenza inevitabile e necessaria.
Un paradosso? Forse, soprattutto per questa nostra mentalità moderna che vede nell’uomo il mezzo ma anche il fine.
Ma è un atteggiamento naturale per una mentalità religiosa che fa della vita il mezzo ma di Dio il fine. E noi? Riusciamo a mantenere il giusto equilibrio tra una sana prudenza, che giustamente ci spinge a prevedere il prevedibile, e un distacco interiore che ci fa porre mente e cuore oltre ogni evento per quanto importante, nelle braccia paterne di Dio? Siamo capaci di vincere l’ansia e l’angoscia che nascono dalla paura di ciò che di negativo ci può accadere, vivendo nel presente della grazia e dell’amore del Signore? Siamo davvero capaci di vivere questa fede piena, abbandonata, fiduciosa, e perciò stesso serena, gioiosa, sicura che Dio vuole sempre e soltanto il nostro bene?
I santi, ricordiamolo, erano tali proprio perché sapevano vivere così. Sappiamo come hanno dato vita alle loro opere sociali. Partivano sempre senza un soldo, eppure riuscivano alla fine a costruire opere che hanno attraversato i secoli e lasciato segni indelebili nella storia. Lavoravano per il Regno, e questo bastava loro per avere una fiducia incrollabile nell’aiuto divino. E continuavano anche dopo su questa medesima strada. Conosciamo tutti quale fosse lo stile del Cottolengo in quella sua cittadella torinese nella quale accoglieva i rifiuti della società. La mattina, le buone suore non sapevano che cosa avrebbero mangiato le centinaia di persone bisognose di cibo e di assistenza. E tale situazione talvolta si protraeva fin quasi all’ora dei pasti. Poi, regolarmente avveniva qualcosa di sorprendente: qualcuno bussava portando ciò di cui si aveva necessità. Era lo stesso stile, e fu la stessa avventura, di quell’altro grande apostolo della fiducia totale nella Provvidenza che fu san Giovanni Calabria. Un uomo di Dio forse non ancora conosciuto come si dovrebbe.
Guai a cercare di disinnescare quello slancio d’amore che parte da Dio e che ci raggiunge per poi ritornare a Lui. Guai a tentare di reciderlo come in molti oggi si sforzano di fare. Guai ad appiattire la vita su una dimensione solo orizzontale. E questo perché nulla, se non l’amore di Dio, potrà proteggerci davvero e soprattutto darci la forza di superare certe sofferenze e certe difficoltà. Certo, una buona previdenza potrà aiutarci ma solo la Provvidenza potrà toglierci quell’angoscia radicale che nasce dal sentirsi in balia di forze che ci sovrastano alla ricerca di un senso per la nostra vita e soprattutto per la nostra morte.
Lasciamo dunque spazio a questo amore provvidente, affinché possa vivere ed operare in noi, cercando di non conformarci alla mentalità corrente. Nella certezza che la vita di fede, se lasciamo che si sviluppi con pienezza, non incapsulandola in schemi che la soffocano, è ricca di colpi di scena. E questo perché essa è un contatto vivo e continuo con quelle energie divine capaci, quelle sì, davvero di tutto: di moltiplicare pani e pesci per sfamare moltitudini, di guarire in un istante corpi affranti dalle più terribili malattie, di convertire radicalmente cuori che ogni umana previsione avrebbe giudicato immodificabili.
RICORDA
«La divina Provvidenza consiste nelle disposizioni con le quali Dio, con sapienza e amore, conduce tutte le creature al loro fine ultimo».
(Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 321).
IL TIMONE N. 100 – ANNO XIII – Febbraio 2011 – pag. 56 – 57