Siamo di fronte a uno dei dipinti più intensi e drammatici dell'arte spagnola del Seicento. Francisco de Zurbaràn ci ha introdotto nella casa di Nazareth, in una tranquilla serata domestica tra Gesù adolescente e Maria. Giuseppe è assente.
Ma tanto tranquilla non è. Qualcosa è successo. Una calda luce soprannaturale invade la stanza, alcuni angioletti si affacciano tenuemente. Gesù intrecciava assorto una corona di spine e si è punto. Pensa alla sua passione, non c'è dubbio, e contempla grave il suo sangue, primizia di quello redentore. È tra i volti più lancinanti della storia della pittura. La Madre ha interrotto il lavoro di cucito e lo guarda di sbieco con acuta amarezza. Sospira, forse piange, ma non osa dire niente, che cosa potrebbe dire? È sottinteso il dolore, il dolore che verrà e che è già accettato, “lo per questo sono venuto nel mondo”. Le due colombe ai piedi di Maria ricordano a tutti una scena che lei porta conficcata nel cuore. “Quando venne il tempo della loro purificazione […] portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore […] e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi […]. Un uomo di nome Simeone […] lo prese tra le braccia e benedisse Dio […] e parlò a Maria, sua madre: '[…] E anche a te una spada trafiggerà l'anima'“ (Le 2, 24-35). A fianco di Maria, un bouquet di gigli e rose allude alla sua purezza e al suo amore. Le due figure sono nettamente separate, si direbbe anche distanti. Maria non può fare niente, oltre ad accettare e amare, offrendo se stessa. Il redentore è Gesù. Lei non riesce nemmeno a consolarlo. Come consolarlo se la passione e la morte sono volute? Ma nella composizione del dipinto, un tavolo con alcuni oggetti di natura morta crea il raccordo tra i due personaggi. Il cassetto aperto e i frutti, secondo molti autori, sono simboli della redenzione. I libri, più ovviamente, della parola di Dio. Ecco ciò che unisce Gesù e Maria. Gli oggetti sono disposti in leggera curva che continua la linea ovale delle due figure. E la forzata prospettiva del tavolo rende il clima più metafisico. Zurbaràn (1598-1664) è tra i grandi pittori del Seicento. Ha imparato (di seconda mano) la lezione caravaggesca e ha sviluppato un personalissimo modo di indagare l'interiorità. È il pittore del silenzio, della pietà, della santità.
Volti bellissimi, panneggi ai limiti del virtuosismo, atteggiamenti composti e meditativi, e uno spazio sur-reale sono gli strumenti per rendere l'invisibile delle anime, per parlare visivamente del rapporto con Dio e di Dio stesso. È artista essenziale, lontano da ogni aneddoto. I suoi volumi tendono alle forme primarie. Semplifica.
È colorista ricchissimo e quasi spregiudicato. Famosi sono i suoi bianchi, una immensa gamma di bianchi che rifulgono sui bruni tenebra delle sue tele. Sua è una mistica luce dorata che tutto lambisce ed eleva. È pittore religioso per antonomasia. Guardiamo la composizione del nostro dipinto, conservato al Cleveland Museum of Art. La figura di Gesù si iscrive in un triangolo e più chiaramente ancora quella della Madonna. I due triangoli non giungono a toccarsi. Una sorta di rombo viene a crearsi tra di loro. E due linee oblique divaricanti, a partire dalla luce e in continuità con le vesti, attraversano tutto lo spazio. Una larga curva passa dalla spalla di Gesù a quella di Maria attraversando gli oggetti sul tavolo. Identico schema si ripete in tutte le versioni di quest'immagine, di cui la migliore, sicuramente autografa, è questa di Cleveland.
Zurbaràn ha creato una iconografia innovativa. Si discute ancora sulle origini di questa singolare scena domestica. Certo la devozione all'infanzia di Gesù è molto diffusa nella Spagna dei secoli XVI e XVII e il riferimento di Gesù Bambino alla passione viene esplicitamente ricordato in gran quantità d'immagini, chiamate genericamente “Bambini della Passione”. Lo stesso Zurbaràn ha riprodotto in altri dipinti la sola figura di Gesù che si punge con la corona di spine. Ma qui il discorso è più ampio e riguarda il coinvolgimento di Maria nella passione, da vera corredentrice.
Che cosa succedeva nella casa di Nazareth? Quante volte la domanda ha risuonato nell'anima dei santi! I vangeli apocrifi hanno cercato di inventare risposte, per lo più strampalate e lontane dalla delicata sobrietà dei testi canonici. Alcuni santi hanno avuto in dono visioni relative agli anni di nascondimento del Signore, con tutti i limiti delle rivelazioni private. Molti di più sono quelli che si sono applicati, per non dire lasciati andare, a una ricostruzione che è diversa dalla semplice “fantasia devota”. È un entrare nelle pagine del vangelo e immaginare in quell'ambito di liceità, abbastanza ampio, come un regista o un artista mette in scena il testo senza contraddirlo.
Lo diceva santa Teresa di Lisieux: “Come sarà delizioso, in cielo, conoscere tutto quello che è avvenuto nell'intimità della Sacra Famiglia! Ciò che mi fa del bene, quando penso alla Sacra Famiglia, è d'immaginarmi ch'essa conduceva una vita del tutto ordinaria, ben diversa da quanto si racconta o si suppone” (Derniers entretiens).
È solo l'amore che vuole sapere. È quello che possiamo chiamare “contemplazione paraevangelica”. E la prospettiva della passione non poteva essere lontana dal comune sentire di ogni giorno nella casa di Nazareth.
IL TIMONE N. 11 – ANNO III – Gennaio/Febbraio 2001 – pag. 50-51