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12.12.2024

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La Chiesa come capro espiatorio
31 Gennaio 2014

La Chiesa come capro espiatorio

 

 

Lo Stato italiano nasce senza una specifica identità culturale. Le diverse ideologie che ne segnano la nascita “litigheranno” fra loro: il nazionalismo, il liberalismo e poi il social comunismo sapranno trovare un accordo solo contro le radici cristiane. E così la “questione cattolica” accompagnerà il Paese lungo gli ultimi 150 anni

 

 

Quando ho cominciato ad occuparmi di Risorgimento, l’ho fatto per verificare la validità di un’ipotesi che mi era venuta in mente sulla scorta della lettura dei libri di René Girard e della sua tesi del capro espiatorio.

L’odio come identità nazionale?
Lo Stato italiano, edificato con la menzogna, la corruzione e la violenza nel 1861, che tipo di identità aveva? Era possibile che l’identità italiana fosse un’identità di tipo negativo, fondata soltanto su quello che l’Italia non doveva essere, e cioè sulla persecuzione e sulla negazione della religione cattolica e della sua capillare diffusione in tutti gli Stati italiani? Era possibile che l’unico collante che accomunava i liberali fosse quello dell’odio per la Chiesa cattolica? Odio peraltro mai ufficialmente dichiarato, perché contrastante con la costituzionale affermazione della religione cattolica come religione di Stato?
 Gli amici del Timone sanno che la mia ipotesi è stata ampiamente confermata dall’analisi dei fatti. A partire dal 1861, e durante i decenni successivi, ci si è cimentati nell’impresa di costruire l’identità del Regno d’Italia contro la Chiesa cattolica: veri italiani erano coloro che si ribellavano al cosiddetto giogo di schiavitù che durava da millecinquecento anni; veri italiani erano coloro che costruivano la compagine statale occupando tutti gli spazi della vita civile in odio alla Chiesa cattolica. Italiani erano gli uomini contro: contro la Chiesa di Roma. Questa la loro identità. Un’identità negativa, non propositiva, fondata sulla persecuzione della Chiesa ridotta a capro espiatorio.
Una frase riportata dal Bollettino del Grande Oriente nel 1865 fotografa la realtà dei fatti con molta lucidità: «le nazioni riconoscevano nell’Italia il diritto di esistere come nazione in quanto che le affidavano l’altissimo ufficio di liberarle dal giogo di Roma cattolica. Non si tratta di forme di governo; non si tratta di maggior larghezza di libertà; si tratta appunto del fine che la Massoneria si propone; al quale da secoli lavora, a traverso ogni genere di ostacoli e di pericoli».
 Pio IX e Leone XIII, i Papi del Risorgimento, in decine di encicliche combattono la battaglia della verità: l’identità italiana è un’identità forte, forgiata nel corso di due millenni dalla diffusione capillare del cristianesimo. È un’identità positiva che, proprio grazie al cristianesimo e alla presenza a Roma della cattedra di Pietro, è carica di primati. Tutta la storia d’Italia documenta che le cose stanno come i Pontefici, costretti a confrontarsi con la persecuzione anticattolica, descrivono. Quando l’Impero romano finisce è naturalmente al Papa, come massima autorità di tutto l’Occidente, che la popolazione smarrita ed atterrita chiede protezione. L’Italia è salvata dalla catastrofe degli Unni dall’inerme coraggio del pontefice san Leone Magno (390ca-461). Sono i Papi che fanno fronte ai barbari con l’evangelizzazione, l’organizzazione delle difese e della carità. Non è un caso che ci siano voluti sette secoli per scoprire che la donazione di Costantino era un falso: a nessuno veniva in mente di dubitare che la massima autorità dell’Occidente fosse il Papa.

Il ruolo dei Papi

Sono ancora i Papi che difendono la memoria storica del cristianesimo chiamando alle crociate e sono sempre i Papi che organizzano la resistenza contro l’islam, prima saraceno poi turco, sempre spietato nella rapina e nella volontà di conquista. Per fare un salto di qualche secolo, è ancora un Papa che, le braccia in croce, va a pregare a San Lorenzo dopo il bombardamento di Roma. Poco tempo prima il Re e il Maresciallo Pietro Badoglio (1871-1956), ossia le massime autorità civili, erano scappate, ma il successore di Pietro, Pio XII (1939-1958), scongiurato da tutti di restare in Vaticano, affronta il pericolo a fianco della popolazione. Alla morte di Giovanni Paolo II, nel 2005, si è tornati a vedere quale potenza morale, ma anche civile e storica, rappresenti il papato. Sono venuti a Roma, non come capitale dello Stato italiano ma come sede di Pietro, tutti i maggiori leaders mondiali.
 Fra i meriti storici del papato, fra le tante opportunità che ha comportato per l’Italia, Leone XIII nell’enciclica Etsi nos (15 febbraio 1882) menziona un aspetto che ai nostri giorni è di particolare evidenza: «Né ultima fra le glorie dei Romani Pontefici è l’aver mantenuto unite, mercé la stessa fede e la stessa religione, le province italiane diverse per indole e per costumi, e l’averle così liberate dalle più funeste discordie. Anzi, nei peggiori frangenti più volte le cose pubbliche sarebbero precipitate in situazioni rovinose se il Romano Pontificato non fosse intervenuto a salvarle». Oggi che l’unità d’Italia è messa a repentaglio da tante parti, le parole del Papa risaltano con grande chiarezza. Il denominatore comune che per tanti secoli ha permesso alla nazione italiana di esistere è in primo luogo la fede. Oggi che la fede è in bilico, anche l’unità della nazione è in pericolo.

L’identità positiva
Per salvare l’unità d’Italia, l’unica strada possibile è collegarsi alla sua identità positiva che, senza alcun dubbio, è l’eredità cristiana. La retorica dei padri della patria sbandierata negli ultimi decenni non serve a nulla. Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini sono nella loro diversità accomunati dal nulla che professano e dalla violenza che impongono. Il progresso, la scienza e la felicità – ideali in nome dei quali il Risorgimento è stato realizzato – non stanno con chi si propone di annientare e ricostruire da zero il patrimonio storico ed ideale di una nazione. Il progetto di rifare gli italiani ha avuto come conseguenza solo un impoverimento di massa tanto drammatico da costringere milioni di persone ad una dolorosissima emigrazione.
«Il popolo italiano, abbandonando la religione cattolica, dovrebbe forse aspettarsi una pena anche maggiore [delle altre nazioni], perché all’enormità dell’apostasia aggiungerebbe l’enormità dell’ingratitudine », continuava Leone XIII. Stiamo assistendo al disastro che segue l’abbandono della verità cristiana. A cominciare dal suicidio collettivo che da decenni commettiamo non mettendo al mondo figli. Sarebbe ora che tornassimo a raccontare la verità dei fatti. Sarebbe ora che tornassimo a collegarci con la nostra linfa vitale, che è cristiana, e che tornassimo a gloriarci della cultura, delle opere di carità, della bellezza, della vitalità che derivano dall’ascolto della Parola di Dio.

Il “peccato originale”
Sarebbe ora che ammettessimo, nella sua gravità, il peccato originale, l’apostasia, che accompagna la nascita del nostro Stato. Le nostre classi dirigenti non riescono a compiere questo atto di verità. Non riescono ad ammettere l’errore. Dichiararlo comporterebbe chiedere perdono. Cosa che la gnosi non può fare, pena la messa in discussione della propria natura: dovrebbe ammettere che le analisi fatte da quanti si ritenevano (e si ritengono) i migliori non erano (e non sono) tali. Che dalla Rivelazione e dal Magistero derivano frutti di vita, mentre dalla rivoluzione progettata dal pensiero “illuminato” frutti di morte. Che la storia che si sviluppa a partire dalla fede nell’amore di Dio è piena di santità, di consolazione, di bellezza e di speranza. Che, al contrario, la fede nella potenza dell’uomo che si pretende capace di stabilire la distinzione fra bene e male, ieri come oggi, provoca solo distruzione e solitudine.

 

 

 

 

Dossier: UNITÀ e RISORGIMENTO: 150 anni, tre ferite

 

IL TIMONE  N. 99 – ANNO XIII – Gennaio 2011 – pag. 37 -38

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