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15.12.2024

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La Chiesa e la sua banca
31 Gennaio 2014

La Chiesa e la sua banca



La Santa Sede e gli enti religiosi hanno bisogno di istituzioni finanziarie per svolgere la loro funzione primaria di evangelizzazione? Un tentativo di impostare un annoso problema che spesso viene affrontato in modo demagogico

La Santa Sede e gli enti religiosi hanno bisogno di amministrare adeguatamente le proprie risorse, spesso con modalità specifiche che sul mercato non si possono trovare, per sostenere le opere che nascono e sostengono lo scopo primario della Chiesa, cioè l’evangelizzazione. Queste risorse sono il frutto, spesso generato con sacrificio, della consapevolezza dei fedeli che per evangelizzare e aiutare i bisognosi la Chiesa deve disporre liberamente di proprie risorse finanziarie. Naturalmente, è necessario che la loro gestione sia esemplare e rispetti le regole giuste e accettabili richieste dalle circostanze storiche nel mondo globale, che impongono modelli adeguati di comportamento, da seguire per non pregiudicare la credibilità della stessa Chiesa. Tutto ciò sembra ragionevole; perché allora ci poniamo questo problema?

Il potere temporale della Chiesa

Ci poniamo questo problema perché il tema delle risorse finanziarie della Chiesa assomiglia a quello del suo potere temporale, che ha avuto il suo epilogo nel 1870, con la conquista militare di Roma da parte dell’esercito italiano. La Chiesa è un’autorità che, oltre all’evangelizzazione, suo scopo primario, ha il compito di indicare agli uomini che cosa è bene e che cosa è male. E questo non è gradito a tutti. Il cosiddetto potere temporale, di fatto, è per la Chiesa soltanto uno strumento da utilizzare per realizzare la sua missione soprannaturale. Come per tutti gli strumenti, ciò che conta è come lo si usa. Va punito l’abuso, non il principio che le risorse economiche sono mezzi per raggiungere determinati fini.
Le risorse economiche della Chiesa hanno sempre destato appetiti fra i suoi nemici, appetiti orientati a impossessarsene e a privarla di risorse per ridimensionare la sua opera evangelizzatrice.
È utile ricordare la storia della “Questione romana” o della fine del potere temporale della Chiesa, perché è anche la storia dell’attacco, e della conseguente difesa, all’autonomia economica della Chiesa. Essa inizia con la Rivoluzione francese e ha l’obiettivo, oltre che di scristianizzare la società, anche di incamerare i beni della Chiesa per soddisfare gli “appetiti” sopra descritti. Dopo essere riuscita nell’intento di isolare il Papa in Vaticano, a partire dal 1870, i Patti Lateranensi del 1929 sanciscono in Italia una tregua fra Stato e Chiesa. Nel 1984, il card. Agostino Casaroli e l’on. Bettino Craxi rivedono il Concordato e così la religione cattolica cessa dall’essere l’unica religione dello Stato. In compenso, viene concesso alla Conferenza episcopale il famoso 8 per mille dell’Irpef. I Patti Lateranensi del 1929 sono stati necessari per risolvere la Questione romana, una ferita rimasta aperta dopo lo scontro del 1870 tra papato e Stato italiano. La Chiesa ottenne un minuscolo territorio, sufficiente comunque a garantirne la libertà di azione da un punto di vista giuridico e politico.
Da allora ad oggi sono cambiate diverse situazioni. Dopo il 1989, nasce il mercato globale con i suoi rischi; dopo l’11 settembre 2001 esplode il terrorismo globale che impone regole nuove di contrasto, inclusa quella di trasparenza sulla gestione dei flussi finanziari per contrastare il terrorismo con tutti i mezzi. Il Vaticano ha stabilito rapporti con lo Stato italiano, ma la Santa Sede è nel mondo e chi governa il mondo oggi non è più facilmente identificabile come avveniva un tempo. I rapporti tra la Santa Sede e questo mondo globale sono complessi.
Per rispondere quindi alla domanda su chi abbia concepito una istituzione finanziaria al servizio della Chiesa, è bene anche ricordare che lo Ior, l’Istituto per le opere di religione, è stato praticamente creato e adattato da ben tre Papi in tempi e circostanze diverse: Leone XIII nel 1887 (Commissione opere pie), Pio X nel 1908 (Commissione opere di religione) e Pio XII nel 1942 (Istituto opere di religione).

Morale cattolica e denaro
La morale e l’uso del denaro sono due cose diverse. Di questo si parlava già nel III secolo d.C. e Clemente Alessandrino spiegò che quel che conta è come il denaro è generato e viene impiegato.
Il Magistero della Chiesa considera l’economia uno strumento al servizio dell’uomo. Se così non è, diventa un fine. La storia dell’economia dimostra che non c’è incompatibilità tra un fine e uno strumento, tra morale e economia. Dipende da chi li usa e come lo fa. Si pensi ai monasteri benedettini, che trasformarono il lavoro in progresso dandogli un significato. Si pensi alla Scuola di Salamanca, che elaborò, dopo la scoperta dell’America, le leggi necessarie dell’economia moderna. Si pensi, nel mondo globale, alle encicliche economiche dei Papi (Populorum Progressio, Sollicitudo rei socialis, Centesimus Annus, Caritas in Veritate).
I problemi sono altri e consistono nel nichilismo della cultura dell’uomo, nella globalizzazione accelerata che vuole una morale omogenea e laicista. Il cattolico considera le risorse economiche un mezzo utile a raggiungere un fine. Il fine è legato al senso della vita e necessariamente a quale concezione dell’uomo si fa riferimento. L’uomo di cui parliamo, fatto di carne, intelletto e spirito, non si soddisfa solo materialmente, ma anche intellettualmente e spiritualmente.
Il “laico” (laicista), invece, considera l’economia come un fine. Per lui la vita non ha una dimensione soprannaturale e l’uomo è soltanto un animale intelligente da soddisfare materialmente.

La dottrina sociale

La Chiesa crede di poter dare all’umanità un contributo importante nel campo morale anche per quanto riguarda gli aspetti economici. Ma non se ne vuole sentire parlare, e anche questo spiega perchè la Chiesa per molti, troppi, non deve occuparsi di morale economica.
La dottrina sociale della Chiesa nasce con la Rivelazione, ma viene elaborata come corpo dottrinale nella seconda parte dell’800, quando la Chiesa viene accusata di occuparsi di carità spirituale e non di giustizia sociale. Leone XIII scrive la Rerum Novarum nel 1891 e Pio XI la Quadragesimo anno nel 1931, e un grande economista liberale come Luigi Einaudi (1874-1961) considerò la dottrina sociale della Chiesa come la terza via che conciliava libertà e sussidiarietà nella prospettiva del bene comune.
Che cosa dice la dottrina sociale? Che cosa dicono i principi indicati come fondamento dell’ordine sociale da Pio XII (1939- 1958)? Essi, fra l’altro, propongono di adattare i mezzi ai fini, ricordano che l’uomo necessita unità di vita e distacco dai beni e che le leggi economiche funzionano se non si sprecano le risorse, se c’è uno sviluppo integrale ed equilibrato, se c’è distribuzione equa e se il consumo non è esagerato. Lo Stato non deve essere avido nel gestire l’economia e non deve tassare troppo. Ora il lettore intende bene che il problema sta nel fatto che la proposta morale- economica viene da un’autorità morale, quando invece il mondo vuole morali relative e al massimo inerenti alla vita personale. Così è comprensibile che in economia non si voglia permettere a un’autorità morale di disturbare.
La Chiesa invece ha il diritto (e il dovere) di insegnare. Papa Francesco lo ha ribadito nella sua prima enciclica Lumen Fidei, quando spiega che la Chiesa è una Madre che ha il compito di trasmettere la fede, con il suo Magistero e con i Sacramenti. Ciò perchè quando la fede non si trasmette, o quando viene meno, c’è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno. Come è avvenuto e come aveva previsto Giovanni Paolo II nella sua enciclica Sollicitudo rei socialis e come ha perfettamente descritto Benedetto XVI in Caritas in Veritate. Senza la fede, l’uomo perde la luce potente che illumina le azioni umane, perde la vera libertà. Questa è la storia della crisi economica attuale. La Chiesa ha il compito di trasmettere la fede nella storia, ma per farlo deve avere e poter gestire le risorse necessarie. Le strutture economico- finanziarie sono strumenti; se non funzionano, prima di cambiarle bisogna verificare come sono state gestite. Soprattutto, non devono esser messi in discussione i principi che le hanno ispirate.

IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 52 – 53

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